Nello spazio di LetteralMente Donna una donna eccezionale che ha dato un contributo enorme all‘etnomusicologia e alla musica popolare e politica. Il suo nome è Giovanna Marini e questa è la sua storia

Giovanna Marini, il ricordo e l’approccio alla musica popolare

Lo spazio di LetteralMente Donna è dedicato a Giovanna Marini, fonte  lasinistraquotidiana.it
Marini, fonte lasinistraquotidiana.it

Giovanna Marini è una delle personalità più deflagranti del nostro secondo dopoguerra. Seguendo il suo percorso, le sue passioni e i suoi incontri, si può seguire la storia non ufficiale del nostro paese”. Con queste parole, come riportato dall’Adige, Moni Ovadia ha ricordato una signora del canto popolare italiano, definita la “Joan Baez italiana” come Giovanna Marini recentemente scomparsa dopo una breve malattia. Una definizione non sbagliata se si guarda l’enorme contributo dato alla memoria culturale, etnografica e civile da questa cantautrice che ha scoperto il mondo della musica direttamente in famiglia.

Infatti il padre della Marini era Giovanni Salviucci, un affermato compositore della scuola di Ottorino Respighi mentre la madre era un’insegnante di armonia a Santa Cecilia. Proprio in questo conservatorio la Marini si diplomò in chitarra classica perfezionandosi con il famoso chitarrista Andrés Segovia. Negli anni 60′ la Marini si avvicinò alla tradizione e alla musica popolare grazie all’incontro con diversi importanti intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino. In particolare la Marini si avvicinò e collaborò con gruppo musicale molto importante negli 60′ per la musica popolare come il Nuovo Canzoniere Italiano impegnato nel recupero di canti popolari e di protesta. Con loro, lavorando come arrangiatrice e performer, ha partecipato a spettacoli che hanno fatto la storia del canto popolare come il celebre e controverso “Bella ciao” di Spoleto e “Ci ragiono e ci canto” di cui Dario Fo curò la regia.

Il lavoro di recupero della memoria popolare e le cantante

Al tempo stesso Giovanna Marini si impegnò nella ricerca etnografica raccogliendo e recuperando un vasto repertorio di musica popolare non solo in lingua italiana ma anche nei vari dialetti locali come dimostra il lavoro svolto in Salento negli anni 60′ e la collaborazione con l’Istituto Ernesto De Martino di cui diventò una colonna portante. Un lavoro i cui la Marini faceva particolarmente attenzione ai timbri, ai colori vocoli e alla micropause cercando di preservare la memoria dei canti raccolti attraverso un sistema particolare di trascrizione musicale da lei inventato.

Accanto a questo lavoro etnomusicologico di ricerca, divenuto anche didattico perchè insegnò anche etnomusicologia a Parigi, la Marini continuò negli anni 70′ il lavoro di peformer e di cantautrice grazie alla composizione delle sue celebri cantate polifoniche dopo la fondazione del suo celebre quartetto. Nei suoi lavori, come dimostrano i brani e le composizioni realizzati per la Scuola di Musica Popolare del Testaccio di cui è stata fondatrice, fuse diversi stili e modelli per dar luogo a composizioni originali. In particolare nelle sue cantate si alternano parti polifoniche ad elementi narrati e recitati in cui si mette in risalto, come dimostra la celebre cantata sulla morte di Pasolini, la figura del cantastorie resa attuale dal ricorso a tematiche sociali e contemporanee.

D’altronde aveva dichiarato la stessa Marini, come riportato da Ignazio Macchiarella in “Il canto necessario”, che “Le mie ballate, ma anche le opere per il quartetto, nascono dal desiderio di raccontare storie, di raccontare quello che mi succede e quello che vedo intorno a me. Un po’ alla maniera dei cantastorie. Ho sempre amato raccontare delle storie!”.

Il documentario di Morelli

Negli anni 90′ l‘etnomusicologo e musicista Renato Morelli dedicò a Giovanna Marini un documentario-intervista intitolato “Giovanna Marini. Le vie del canto”. In esso, ha ricordato Morelli sull’Adige in occasione della morte della celebre cantautrice, “Giovanna tocca vari argomenti: il rapporto fra la musica popolare di tradizione orale e la musica colta, la sua famiglia con quattro generazioni di musicisti, l’incontro con Roberto Leydi e lo storico spettacolo Bella ciao, la scoperta dell’impegno politico, l’inizio della ricerca sul campo, l’incontro con Pasolini, la nascita della scuola del Testaccio, l’insegnamento in Francia, il caso del Miserere di Santulussurgiu, il suo rapporto con Piero Arcangeli”.

Stefano Delle Cave

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