Cultura

Giuseppe Giusti, il poeta “onesto”

Giuseppe Giusti fu un poeta e scrittore italiano del XIX° secolo. Nato a Monsummano Terme in Toscana il 13 Maggio 1809 e morto a Firenze il 31 Marzo 1850, è ricordato per le sue satire dal titolo “Scherzi” che raccontano le sventure italiane degli anni antecedenti all’anno della sua morte. Originale, vitale e lontano dalle raffinatezze sociali, Giuseppe vide le sue opere diffondersi in tutta la penisola garantendogli fama e variegati apprezzamenti. Nominato accademico della Crusca, egli creò il mito della “paesanità” simbolo di limpidità, saggezza e onestà, lontano dalle falsità dell’alta società. Carducci stesso prese da lui ispirazione, non mancando comunque di criticarlo.

Giuseppe Giusti, il poeta “onesto”: biografia

“Avvezzatevi per tempo a bastare a voi stessi, e cercate rifugio nei vostri libri”.

Giuseppe Giusti

Giuseppe nacque in una famiglia di proprietari terrieri. Dai sette ai dodici anni ebbe come insegnante Don Antonio Sacchi, ma quando l’istituto frequentato chiuse nel 1822 egli dovette trasferirsi presso il Seminario e Collegio Vescovile di Pistoia. Dopo poco però, nel 1823, si trasferì per volontà di suo padre (che non era contento dell’istruzione elargita), nel prestigioso Real Collegio Carlo Lodovico a Lucca. Nel 1826 si iscrisse, infine, all’Università di Pisa, e per tre anni trascorse la sua vita tra salotti e teatri dando un solo esame, quello di filosofia. In particolare era solito frequentare il famoso caffè dell’Ussero, dove perdeva tempo in improvvisazioni, “scherzi” che gli regalavano il plauso della gente. Riuscì, poi, a laurearsi nel 1834.

«L’ultima batosta – scriveva al Vannucci, il 14 settembre 1844 – avuta a Livorno fu così inaspettata e così fiera, che io credeva di dover finire inchiodato in un fondo di letto».

Giuseppe Giusti

Nel 1844 un editore anonimo pubblicò, a Lugano, a sua insaputa, una raccolta poetica dal titolo “Poesie Italiane tratte da una stampa a penna”. Tale edizione fu pagata da Ciani e la sua gestione fu erroneamente attribuita a Giuseppe Mazzini. Il poeta, offeso dal gesto, decise di pubblicare un’altra raccolta dal titolo “Versi” nell’edizione di Livorno. Al suo interno, nella dedica alla marchesa Luisa D’Azeglio parlava dello stampatore come “sfrontato” e “disonesto”. Nell’anno successivo, 1845, fece inoltre pubblicare trentadue dei suoi “Scherzi” senza il suo nome anche se tutti sapevano che fossero i suoi. Nell’estate dello stesso anno partì insieme alla marchesa D’Azeglio e alla figlia di Alessandro Manzoni, Vittorina Manzoni, per Milano. Tutti i versi di Giuseppe erano nelle menti e nei cuori dei Lombardi che respiravano l’aria rivoluzionaria dell’indipendenza. Manzoni lo chiamò il “toscano Aristofane” e lo accolse con tanto ardore. Egli infatti disse questo di lui:

«Son chicche che non possono esser fatte che in Toscana, che da Lei; giacché, se ci fosse pure quello capace di far così bene imitando, non gli verrebbe in mente d’imitare».

Alessandro Manzoni

Gli ultimi anni della sua vita li passò sperando in un’Italia unita e ricoprendo incarichi politici. Fu infatti eletto nel 1847 “a furore di popolo” come maggiore della guardia civica di Pescia, e nel 1848 deputato all’Assemblea legislativa toscana. Sempre nello stesso anno fu ,inoltre, nominato accademico della Crusca. Morì giovane, quarantenne, a causa della rottura di un tubercolo polmonare. Il suo lascito è incommensurabile, la sua rilevanza ineguagliabile. Lui fu “lo scrittore onesto” dalla personalità ribelle ed estremamente burlona.

Giusy Celeste

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