Benvenuti nel nostro appuntamento con la narrativa di StoryLine. Visto l’avvicinarsi del suo centoquarantesimo compleanno abbiamo deciso di dedicare il nostro appuntamento di oggi a San Giuseppe Moscati. In vita per sempre al servizio dei più deboli e bisognosi questo medico dei poveri ha guarito innumerevoli persone. Un’opera continuata anche dopo la morte con numerosi eventi miracolosi ed inspiegabili che hanno portato alla santificazione di questo dottore.
Giuseppe Moscati, l’inizio
Giuseppe era in un letto di ospedale da mesi. Un ascesso alla gamba destra lo aveva costretto a ricoverarsi ed allontanarsi dalla sua vita nevrotica e densa di fumo di sigarette che caratterizzava le sue giornate nel suo studio di commercialista. Ora l’aria era più pulita e la sigaretta ne era diventata una sola a tarda notte di nascosto dalle infermiere. In particolare si fermava sempre davanti a un ritratto sbiadito accanto alla scrivania di un custode. L’uomo raffigurato, gli avevano spiegato era Giuseppe Moscati, un medico che aveva donato la sua vita per i poveri, morto a soli 47 anni 50 anni prima. “Ora è persino santo”, pensò tra se ironicamente, “io invece non sono nemmeno beato”. Già, perché, anche lui di miracoli ne faceva, a suo dire, dovendo sempre cavar di impiccio ogni suo cliente da qualsiasi tassa. Nessun papa, concluse con una vena di certa gelosia, lo aveva chiamato, mentre invece era finito in ospedale dove quasi non poteva più neanche fumare. “E che sarà mai questo piccolo vizio”, aveva cercato invano di spiegare ad un infermiera poco compiacente senza nemmeno prendersela più di tanto. Pensava infatti che presto sarebbe uscito quanto meno per evitare che i suoi collaboratori gli rovinassero il suo studio e che venissero a galla certi piccoli imbrogli fatti al cospetto di un facile guadagno.
Il sonno della morte
Eppure le sue condizioni poggiarono tanto che le sue passeggiate notturne divennero sempre più rade. I medici gli parlarono di un problema tubercolare dovuto al fumo che lentamente stava distruggendo i suoi polmoni coadiuvato da un forte stress. Giuseppe, non accettando la gravità della situazione, si era detto convinto che presto sarebbe stato curato e guarito anche se i medici gli avevano detto che c’era ben poco da fare. Pregare, non era nel suo stile, pensava Giuseppe che continuava insistentemente a credere in una cura. D’altronde non aveva mai pregato o chiesto niente a nessuno mandando anche a quel paese il cosiddetto prossimo quando non seguiva i suoi desideri. Ci rimuginò ancora per tutta la sera poi nonostante la grave fiacchezza scese dal letto. Se ne andò come sempre di soppiatto a fare la sua solita passeggiata ma stavolta rinunciando alla sua sigaretta. Dopo pochi passi si fermò alla solita scrivania nell’androne a fissare il quadro di Giuseppe Moscati irradiato da un fioco raggio di luna proveniente da una finestra socchiusa. “Chissà lui cosa farebbe”, pensò sedendosi e appoggiandosi con la testa alla scrivania. Gli stava tornando nella mente il discorso di un suo cliente che non curandosi della morte la definiva solamente un semplice sonno senza sogni. Così pensò pure lui di addormentarsi cosi se fosse arrivato il momento non avrebbe sentito nulla.
L’operazione
Si sentì più disteso mentre una luce gli penetrava gli occhi. “Infermiera mi passi il bisturi, apriremo la gamba e poi il polmone”, disse un uomo in camice bianco che non riusciva a riconoscere per la vista appannata. “Cosa? ”, disse fievolmente. “Non si preoccupi andrà tutto bene signor Giuseppe “, continuò il misterioso dottore, “ma lei deve promettere che dovrà respirare in futuro più amore e meno indifferenza e si ricordi tutti i soldi dei suoi clienti non fanno la felicità”. Non riusciva a comprendere inizialmente le parole di quell’individuo poi si ricordò di quelle strane misteriose apparizioni di cui gli parlavano le devote amiche della madre da bambino. Pensò che si trattasse di un angelo mentre una luce calda lo avvolgeva. Sentiva improvvisamente la gamba destra alleggerirsi e il fiato tornare poi capì. “È la pace con se stessi e il mondo che fa la felicità”, esclamò. “Esatto”, disse il misterioso medico allontanandosi, “questa è la cura migliore che posso darle”. “Aspetti ma come si chiama, come posso ringraziarla?”, chiese Giuseppe. “Non mi ringrazi comunque mi anche io Giuseppe”, disse il medico, “Giuseppe Moscati”. La luce svanì e Giuseppe si risvegliò. La brezza fredda di una giornata di febbraio gli sferzava il volto ricordandogli che la vita vera è un lungo sogno di amore e pace.