Gli effetti della pandemia suggeriscono che andare dallo psicologo è importante, non dobbiamo vergognarcene

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Di Redazione Metropolitan

Qualche giorno fa, in maniera del tutto spontanea, mi è stata posta una domanda: come stessi vivendo questo periodo e che cosa era davvero cambiato rispetto allo scorso anno, quando una reclusione forzata ha investito la nostra quotidianità. Non ero dallo psicologo, era solo una chiacchiera con un’amica curiosa di sapere quanto si fosse evoluta la mia vita, e il mio modo di “esprimermi” in particolare. Piuttosto stupita, la prima cosa che ho risposto è stata “relativamente bene rispetto alle aspettative”. Dovendo fare una sorta di paragone, quello iniziato lo scorso marzo è stato un anno che mi ha destabilizzato ma fino ad un certo punto. Certo, chiudersi in casa equivale a rinunciare a tantissime cose, ma la mia reazione è stata un po’ diversa. Non ne ho fatto un dramma, per farla breve. Rea di essere una persona tendenzialmente incline alla solitudine, pur avendo sempre vissuto appieno la socialità, ne ho tratto dei benefici da quella ‘clausura’. Ecco perché chiunque mi chieda come abbia vissuto il lockdwon, rispondo in modo quasi indifferente. Piuttosto è stato il post-lockdown ad avermi riservato delle sorprese. Se fino a prima quell’esperienza così ‘statica’ aveva in qualche modo spento i miei turbamenti, compresa la mia ansia, i mesi successivi hanno cambiato molto il mio rapporto con lei. L’estate mi ha consentito di poter ricominciare a piccoli passi, frequentando le persone con cui mi sono sempre sentita a mio agio e, contemporaneamente, potendo continuare a giustificarmi per evitarne altre meno piacevoli. Ha fatto un po’ da “tutorial” su come tornare alla vita normale. Ma poi la seconda ondata non ha permesso un vero e proprio progresso psicologico: un’altra volta ci si è trovati tra le mura di casa interrompendo quel processo graduale verso la riappropriazione della vita, in maniera del tutto sana. A quel punto ho capito che questo poteva trasformarsi in un problema, l’ansia sociale.

Perché è importante andare dallo psicologo anche se non si è subito un trauma?

Come me ce ne sono tante di persone che mettendo il piede fuori casa hanno scoperto di risentire di un qualche malessere interiore, mentre altri lo hanno avvertito già prima, al punto che mettere il piede fuori, adesso, è una sfida, più che l’occasione di una boccata d’aria. Senso di solitudine, emarginazione, paura, ansia, sono l’oggetto delle segnalazioni raccolte dal mondo giovanile durante la pandemia da coronavirus. L’allerta sul sostegno psicologico è alta, tanto che le Nazioni Unite hanno lanciato un monito presentando un rapporto sull’impatto che il Covid-19 ha avuto sullo stato psicologico dei soggetti vulnerabili e non, esortando gli stati membri ad attuare azioni globali per la Salute mentale. In Francia, ad esempio, in questi giorni, ha accesso grande attenzione la dichiarazione del presidente Emmanuel Macron riguardo la decisione dello Stato di rimborsare dieci sedute da uno psicologo per tutti i bambini e gli adolescenti compresi tra i 3 e i 17 anni di età, la cui salute mentale è stata particolarmente segnata dalla pandemia e dalle conseguenti misure restrittive, quali appunto l’isolamento e i lockdown. “Oggi abbiamo un problema sanitario che tocca i nostri bambini e adolescenti, e che si aggiunge all’epidemia”, ha detto durante una visita al reparto di pedopsichiatria dell’ospedale di Reims, in riferimento al benessere psicologico delle nuove generazione che, seppur colpite indirettamente dal virus, subiscono più di altre gli effetti diretti del confinamento. Dieci sedute che, tuttavia, rappresentano solo una risposta parziale e non risolutiva per i medici, considerato che dall’inizio dell’emergenza sanitaria il personale protesta per i tagli alla sanità, per la carenza di letti in terapia intensiva, e in generale per la mancanza di risorse. Nonostante le insistenze degli epidemiologi, il governo francese ha sempre rivendicato come motivo di orgoglio la decisione di tenere le scuole aperte, in virtù del rifiuto verso la didattica a distanza che, secondo il presidente, “approfondisce le fratture sociali e non mette tutti gli studenti su un piano di uguaglianza”. Ma il numero di contagi e morti hanno costretto poi ad una marcia indietro. “Sta succedendo qualcosa che non si era verificato in occasione del primo confinamento, un anno fa – ha sottolineato Macron –  ovvero la diffusione di stati di ansia e angoscia tra i giovani che sono registrati dalle statistiche. Le emergenze pediatriche di tipo psicologico e psichiatrico sono aumentate del 40 per cento”.

In Italia, invece, sono diverse le indagini che hanno portato a galla problemi piscologici significativi. Quella dell’Istituto “Giannina Gaslini”, che sin dalle prime fasi ha attuato un programma di monitoraggio e di intervento dedicato al supporto della popolazione pediatrica e delle loro famiglie, ha sottolineato quanto la necessità del confinamento abbia messo alla prova la capacità di adattamento dei cittadini, “non solo per la limitazione della libertà personale e la necessità della riorganizzazione della routine domestica, ma anche per la quantità di informazioni (talora contrastanti) che sono state divulgate, rendendo il momento storico particolarmente critico e pervasivo per la nostra vita sociale ed emotiva”. Con un sondaggio svolto a circa 3 settimane dal lockdown, è emerso che i bambini al di sotto dei 6 anni, nella maggior parte dei casi, hanno iniziato a risentire di disturbi del sonno, irritabilità e ansia; mentre nei bambini e adolescenti tra i 6 e i 18 anni, i disturbi hanno coinvolto la “componente somatica”, producendo disturbi d’ansia o sensazione di mancanza d’aria, oltre che difficoltà di addormentamento, e difficoltà di risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa. Nella popolazione dei più grandi, in particolare, è stata riscontrata un’aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti d’umore. Il livello di malessere era, inoltre, correlato in maniera significativa con il grado di malessere dei genitori, indipendentemente dalla loro pregressa presenza di disturbi psichici. All’aumentare di sintomi e comportamenti tipici da stress per la condizione “Covid”, i disturbi comportamentali, coma da riflesso, si verificavano nei figli piccoli o adolescenti. “Questi dati preliminari sottolineano come la situazione di confinamento abbia determinato una condizione di stress notevolmente diffusa con ripercussioni significative a livello non solo della salute fisica ma anche di quella emozionale-psichica dei genitori e dei bambini”, si legge in conclusione.

Che gli adolescenti siano la categoria più a rischio, in fatto di ansia, depressione e stress, è stato l’allarme dell’Ordine nazionale degli psicologi a evidenziarlo. Il presidente, Davide Lazzari, ha parlato più volte di “psicopandemia”, termine che evidenzia le enormi ricadute che oltre un anno di pandemia ha avuto sulla dimensione psicologica della popolazione, in tutte le fasce di età. Ecco perché chiedeva “interventi concreti per dare risposta soprattutto alle situazione più vulnerabili e fragili”. Le risposte del governo sono state i 40 milioni stanziati ad agosto dello scorso anno per attivare sportelli di ascolto psicologico, in funzione del rientro in classe; mentre alcuni dei 150 milioni inclusi nel Decreto Sostegni possono essere impiegati dagli istituti per offrire supporto psicologico ai propri studenti. Fondi inadeguati, ha lamentato Lazzari che, al Corriere della Sera ha chiarito: “Nel 70% delle scuole sono stati attivati sportelli col primo fondo, significa che abbiamo portato 6 mila psicologi in 8 mila scuole. Ma per dodici ore al mese, indipendentemente dal numero di alunni. Un’inezia. E i nuovi fondi non sono vincolati: avrebbero dovuto inserire una clausola perché una quota specifica venisse destinata al supporto psicologico. Le scuole potranno usarli per questa esigenza ma anche no”.

Eppure gli effetti della pandemia continuano a dimostrare quanto in Italia sia importante iniziare a tutelare davvero la salute mentale. Antonio Caresa, neuroscienziato dell’Istituto per la Ricerca e l’innovazione Biomedica del CNR, ha sottolineato che una soluzione simile a quella della Francia si potrebbe adottare anche nel nostro Paese, in cui soprattutto 2 sono le fasce di popolazione a risentire maggiormente delle conseguenze della pandemia: “Da una parte le persone più colpite dal virus fra i 60 e i 90 anni” che, tornando a casa, “hanno continuato ad avere sintomi: uno di questi è l’ansia per il 76% delle persone – ha spiegato – Dall’altra parte ci sono i ragazzi fino ai vent’anni. Tanti che, a Roma, il reparto di neuropsichiatrica infantile dell’ospedale Bambino Gesù si è riempito come mai era successo”. Il disturbo dei più giovani nasce dalla pressione sociale, non dalla malattia. Dunque, “La cosa più semplice che possiamo immaginare è l’intervento di uno psicologo, che sappia usare il mezzo e che abbia buone capacità di comunicazione, nelle ore di lezioni on line”, suggerisce l’espero del Cnr, sottolineando che “il problema è soprattutto per i ragazzi delle scuole superiori, quelli che più sono rimasti a casa”. Finché il ritorno alla vita di prima resta ancora utopico, la possibilità di intraprendere un percorso psicologico resta infatti la soluzione ottimale, nell’ottica in cui “lo scopo dello psicologo in questo momento non è lavorare sulla speranza o l’illusione di poter tornare immediatamente alla vita di prima, ma lavorare sulle sensazioni del corpo che i ragazzi perdono a forza di una vita asettica. È un modo per tamponare questi momenti in attesa di tornare ad andare in palestra e a uscire. La gestione dell’ansia e dello stress non face to face, ma a distanza”.

Su questo aspetto potremmo star qui a parlare per ore, considerato che non c’è solo carenza di aiuti concreti dal parte del governo, ma anche una considerazione della figura dello psicologo in sé che se per alcuni è inutile, per altri è addirittura dotato di poteri sovrannaturali che potrebbero “fottere” il cervello, nonostante nessuno lo abbia mai visto con bacchette magiche in mano o leggere le carte per predire il futuro. Questo vuol dire che se il problema è fisico viene naturale rivolgersi al medico, quando invece è psicologico non c’è lo stesso istinto. Secondo una recente ricerca della Società italiana di Psichiatria, sono circa 17mila gli italiani con problemi di salute mentale, tra cui ansia, depressione, stress, insonnia, ai quali solo una fascia tra l’8 e il 16% fa corrispondere l’incontro con un professionista. Per rapportarci ad un Paese già citato, in Francia, secondo un sondaggio Mediprism, il 33% si è già rivolto ad un professionista, riscontrandone i benefici nel 65% dei casi. Allora forse il problema è più radicato di quanto pensiamo, e deriva da noi. Perché quello che può considerarsi come un blocco alla base della scelta di rivolgersi ad uno psicologo e iniziare un percorso interiore è da ricondursi alla natura umana, e alla sua difficoltà di conoscersi a fondo. Non è il timore del giudizio altrui – che giudizio non è – ma di scoprire lati di sé stessi che potrebbero destabilizzare, mettere in crisi, risultare un grosso ostacolo per l’accettazione del proprio io. Dimenticando che, in verità, è proprio dalla presa di consapevolezza del sé che si determina un cambiamento. I malesseri psicologici, tradotti in milioni di modi e travestiti in milioni di forme, resteranno anche una volta finita la pandemia, esattamente come sono rimasti i disagi del lockdown. Non è tornare alla vita di prima che ci permetterà di accantonare o addirittura rimuovere le sensazioni vissute e tuttora presenti. Perché la pandemia più che dentro casa ci ha chiuso dentro noi stessi. Per dirla con le parole di una psicologa, Marta Fanfoni, specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale, “la pandemia, come tutti i momenti di grande cambiamento, ci ha portato a guardarci indietro, a riflettere, a soppesare, a rimpiangere ciò che abbiamo perso”. E’ proprio da queste motivazioni che dovrebbe partire la spinta per affrontare coraggiosamente noi stessi e tornare alla vita normale con il benessere interiore necessario a farci percepire realmente quella normalità. “La psicoterapia si fonda proprio sulla motivazione e sull’impegno per arrivare al cambiamento”, sottolinea la Fanfoni. La mente è qualcosa che pensiamo di poter sempre controllare, in realtà è lei a farcelo credere. Conoscerne i meccanismi con cui a volte prova ad ingannarci è parte di un percorso che porta solo a star meglio.  

Francesca Perrotta