Gold Mass | “Transitions” (recensione)

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

Il suo nome è Emanuela Ligarò, ma la sua musica l’ha immaginata, scritta e suonata con un’altra identità artistica: Gold Mass. Vi raccontiamo del suo primo album, uscito pochi giorni fa…

La copertina del primo album di Gold Mass: "Transitions".
La copertina del disco d’esordio di Gold Mass: “Transitions”

La mia musica ha un’anima oscura e intima. Non c’è malizia né superficialità nel momento creativo. Non c’è nemmeno il pensiero di un pubblico. Scrivere per me è prima di tutto un atto intimo, non c’è nient’altro, non c’è nessun altro. Le mie canzoni nascono sempre da una tensione che ho bisogno di esprimere con parole e suoni. Scrivo solo di cose che vivo. Questo è il mio modo di capire ciò che provo e di emanciparmi da esso. Solo allora mi sento liberata. Alcuni dicono che l’arte è un esorcismo, la musica è una grande preghiera“.

Come spesso accade, la migliore introduzione possibile al mondo intimo e sonoro di un artista arriva dalle sue stesse parole: questa qui è estrapolata dal suo sito Internet e ci è utile per immergerci nelle intenzioni, negli umori, nel tessuto connettivo che da vita ad un’aura, all’esperienza che si fa intuizione e si tramuta in canzone. Entriamo insieme nell’incantesimo.

Altra immagine iconica di Gold Mass
Altra immagine iconica di Gold Mass

E iniziamo col dire che la musica entra in maniera laterale ma decisiva nel percorso dell’attrice protagonista di questa avventura sonora.
Già, perché Emanuela Ligarò, pisana d’origine, è laureata in fisica e nella vita di tutti i giorni si occupa di acustica nel reparto ricerca e sviluppo di una multinazionale tedesca.

Eppure la fame di espressione artistica/creativa non è arrivata per lei né di recente né all’improvviso. La nostra ha infatti alle sue spalle studi da musicista classica. Studia pianoforte per una decina d’anni, con ascolti legati soprattutto a quell’ambiente. Poco per volta, però, la voglia e il bisogno di altri stimoli si fa insaziabile: e così, complice una nutrita discografia familiare e le curiosità personali, ecco nascere l’amore per Bob Dylan e Patti Smith, tanto quanto la seduzione esercitata dai lavori del pianista tedesco Nils Frahm o le ondivaghe malinconie del Trip Hop.

Emanuela vive le sue esperienze, suona e scrive: non forma gruppi, non fa parte di collettivi. Trasporta piuttosto la sua urgenza espressiva e la sublimazione in arte dei suoi traumi col tramite delle note sulla tastiera. Prova a scrivere in italiano, poi scopre che la lingua inglese è quella che più le è congeniale per raccontare il suo mondo.

E fa tutto da sola: dall’incisione dell’album alla promozione sui social media e i rapporti con la stampa, fino alla ricerca di date per suonare dal vivo. Questa reale autarchia la soddisfa e, al netto delle ovvie difficoltà del caso, la fa sentire pienamente autonoma, artista “Indipendente” nel pieno senso del termine. Non che le etichette discografiche non si facciano avanti, data la qualità del materiale: ma le proposte finiscono per svilire il prodotto finale, così vengono rifiutate.
Il futuro non è scritto…

Ammaliante scatto di Emanuela/Gold Mass
Ammaliante scatto di Emanuela/Gold Mass

Ma torniamo a ciò che invece possiamo vedere, percepire, ascoltare: le dieci gemme che fanno parte di “Transitions” il disco di debutto di Emanuela/Gold Mass. Album che, va detto subito, vanta la produzione artistica di un grande ‘regista’ del rock internazionale: lo scozzese Paul Savage, già dietro le quinte con Mogwai, Arab Strap, Franz Ferdinand.

E’ lui la “levatrice” che fa la differenza: personaggio stimato capace di dare alla musica il suono giusto ed internazionale. Accetta l’incarico dopo essere stato contattato via e-mail, apparentemente il più fluido e naturale dei modi possibili, là dove ci saremmo immaginati chissà quali o quante barriere tra il desiderio astratto e la sua realizzazione concreta per mano di un uomo-chiave capace di credere nel nostro progetto.

A partire dallo scorso ottobre, cinque brani con relativi (e splendidi) videoclip sono usciti a intervalli regolari: “Happiness In a Way“, “Our Reality“, “May Love Make Us“, “Sentimentally Performed” e “Mineral Love“. Infine, lo scorso venerdì, il disco vero e proprio.

Dieci canzoni come altrettante onde di un unico flusso di coscienza. Pennellate su di un quadro dipinto con pochi colori, ma tutti essenziali, come scintille dorate e crepitanti. Il cuore pulsante del disco è fatto di cantautorato synth pop, con influenze elettroniche e trip hop.
Tessuti preziosi e scuri, avvolgenti, trame tenui e sinuose, oniriche, misteriose e affascinanti. Piano, tastiere, synth; sezione ritmica.
Qua e là, frequenze/timbri volutamente alterati, manipolati, disturbati. Inserti di parlato pre-registrato (indicazioni sull’arrangiamento dei brani, quando si era ancora in fase di pre-produzione) che fanno da involontari intro o outro. E alla fine dell’ascolto ogni dettaglio acquisisce il suo senso.

A livello di scrittura, i pezzi sbocciano dall’autobiografia ed esplorano l’universo femminile: dal dolore vissuto nelle relazioni abusanti, alla comunicazione violenta, la manipolazione e l’orgasmo. E anche se i riferimenti dichiarati dall’autrice sono altri (Nick Cave; Lou Reed; Cat Power; James Blake; Blonde Redhead) noi ci azzardiamo ad aggiungerne altri due, ovvero Anna Calvi e Beth Orton.

Tutti artisti padri e madri di sonorità scure ed inquiete, nelle quali fragilità e forza coesistono senza contraddizioni.

Our Reality” ti fa entrare lentamente dalla porta socchiusa, ed è un canto di sirena. “Happiness in a way” è invece il raggio luminoso e mistico che rischiara il buio. E che riporta alla Luce. Con “Fade Out” si torna a uno spazio piccolo, intimo, autunnale, e che pian piano si alza in volo radente. “May Love Make Us” ha un incedere sensuale, con quel refrain che ti si appiccica addosso come un’ossessione. “Mineral Love” è una sorta di preghiera laica a due passi dal precipizio. “Honey and Blood” pare sospesa su una nuvola, panorama a 360° su una metropoli immaginaria dalla sommità di un grattacielo altissimo. E “Mayday“: solo piano e voce e suoni atmosferici lontani che ondeggiano in secondo piano. E si ferma su quella nota che non ti aspetti, con un senso di inquietudine e sospensione.

Il mondo musicale di Gold Mass sotto forma di fotografia.
Il mondo musicale di Gold Mass sotto forma di fotografia

Questo disco è un fiore raro e delicato. Merita la giusta attenzione e diversi ascolti per essere intuito fino in fondo. Eppure, come solo la grande musica sa fare, riempie le nostre stanze senza alcuna difficoltà.

Auguriamo a Emanuela/Gold Mass tutta la fortuna che si merita. E ci congediamo svelando un ultimo mistero. Quello legato al nome d’arte dell’artista e alla scelta del titolo del disco. In questo breve scritto dell’autrice ci sono le chiavi di cui avete bisogno…

La mia testa è un assedio di pensieri.
Il mio corpo percepisce
Non siamo nient’altro.
Un processo così potente con il quale esploriamo il mondo e reagiamo.
Passiamo da uno stato all’altro. Sperimentiamo transizioni.
Questa è tutta la vita.
Conserviamo le informazioni, tutti i ricordi che portiamo con noi.
Elaboriamo e costruiamo le nostre convinzioni.
Noi siamo la nostra esperienza
La mia espressione nella vita è femminile. La mia risposta è intensa.
Il mio cuore è una dimora con molte stanze in cui convivono inquietudine, fragilità, ironia, sensualità e forza.
Qualsiasi gesto o parola rivelerà una tale sovrapposizione di stati d’animo.
Non sento assolutamente nessun contrasto.
Il nucleo interno di tutto, la massa d’oro, è l’unica cosa che conta.
La nostra essenza
“.

Ariel Bertoldo