Ci ha lasciato, questa mattina, a Roma, il più grande regista italiano contemporaneo, Bernardo Bertolucci, a cui dobbiamo pellicole dalla bellezza infinita, come Ultimo tango a Parigi, con Marlon Brando, Io ballo da sola, con la figlia d’arte Liv Tyler, Il conformista, tratto dall’omonimo romanzo di Moravia, o The dreamers.
Una carriera, quella di Bertolucci, che ha presentato al grande pubblico storie dalla bellezza maestosa, in cui l’eros, le perversioni, i sogni dei protagonisti vengono esorcizzati e tradotti in imprese impossibili e idilli amorosi destinati, quasi sempre, a culminare in tragedia.
La ricchezza di dettagli e l’impeccabile selezione degli attori protagonisti hanno fatto di Bertolucci un’icona intramontabile, che ha avuto il coraggio di affrontare temi e situazioni che solitamente vengono considerati un tabù impenetrabile dal mondo cinematografico.
Se pensiamo al film “Stealing Beauty”, tradotto in lingua italiana come Io ballo da sola, ci rendiamo conto che mai, prima di allora, un regista era stato in grado di affrontare il tema delle comuni libertarie con la disinvoltura con cui invece il nostro regista raccontò la storia di Lucy Harmon (Liv Tyler), che dall’America ritorna in Italia, alla ricerca di un padre di cui non conosce l’identità, dopo la morte per suicidio di sua madre, poetessa dalla vita travagliata, ritrovandosi in una comune di intellettuali in un’enorme villa della Toscana. Scenario, quest’ultimo, che omaggia la tradizione toscana di stampo anarchico, associando alla libertà di pensiero anche il fascino paesaggistico e un contesto culturale elevato, che va dalla condivisione di musica ai confronti più filosofici.
Alla stessa maniera, storie come Ultimo Tango a Parigi e The Dreamers riportano lo spettatore in una Parigi dai tratti rivoluzionari, in cui lo spirito di libertà si esprime attraverso storie di passione e amore carnale non convenzionali: nel primo caso, tra un uomo molto più grande e la sua giovane amante; nel secondo, tra due gemelli di sesso opposto e il loro migliore amico, in un triangolo che è in parte incestuoso, in parte amicale, nei giorni di rivolta armata studentesca.
L’attaccamento affettivo al contesto francese riemerge in quasi tutte le sue opere e, anche laddove non sia stato possibile ambientare un film in Francia, come nel caso di Novecento, girato in Emilia Romagna, la scelta degli attori sopperisce comunque all’esigenza del regista di un ésprit de finesse (in questo caso con Gerard Depardieu).
L’artista, anche nel raccontare storie di regime, come nel sopra citato Novecento o ne L’ultimo imperatore, non si è mai rivelato troppo noioso, ma ha sempre conferito quell’atmosfera postmoderna ai suoi racconti, capace di inventare sempre nuovi aneddoti laddove il mondo del cinema sembrava essersi esaurito in un ripetersi costante degli stessi intrecci. La riproduzione cinematografica di un romanzo della portata de Il conformista di Alberto Moravia è emblematica della costante compresenza, in lui, di cinema e letteratura, testimoniata anche dalla sua forte amicizia con Pier Paolo Pasolini.
Un personaggio troppo grande, Bertolucci, per poter essere sintetizzato in poche righe di un articolo, ma che merita oggi, giorno della sua scomparsa, una celebrazione in memoria del fascinoso scandalo che seppe sempre creare con i suoi capolavori. Basti pensare alla scena del rapporto sessuale anale mediante l’uso del burro tra Marlon Brando e l’attrice Maria Schneider in Ultimo Tango, lampo di genio che gli costò non poche accuse dalla critica, oppure a quella dell’amplesso adolescenziale tra i tre personaggi di The Dreamers, culminata in una vasca da bagno. Bertolucci si è sempre visto, insomma, costretto a difendere la propria arte come un ladro la propria fuga o un Milo Manara le proprie tele, pur consapevole di non meritare assolutamente che il suo eros venisse mai confuso per cattivo gusto o indecenza.
Per fortuna, però, la cosa che maggiormente contribuì a non far crollare emotivamente e psicologicamente un regista abbastanza bersagliato ed invidiato come Bertolucci di fronte alle stroncature troppe volte ingiustamente ricevuto, fu la complicità che egli seppe creare con i suoi attori; in un’intervista recente, il regista raccontava infatti di quanto fosse stato duro reclutare il protagonista di Ultimo Tango a Parigi, dal momento che Jean-Paul Belmondo aveva rifiutato la parte, tacciando il film di pornografia, mentre Alain Delon disse che avrebbe accettato, a patto di poter essere co-produttore del film e dunque cambiare le sorti dell’intera pellicola, in un certo senso. Capitò, poi, invece, una sera, che Bertolucci pensò di contattare Marlon Brando, che dopo il film de Il Padrino risultava “sparito” dalle scene. Brando invitò Bertolucci un mese a Los Angeles, dove il regista non era mai stato, ospitandolo a casa sua. Lungo la strada verso casa, dove, «Incontri il deserto proprio dietro casa», incontrarono un coyote e nei giorni a venire parlarono «Dell’eternità, della vita e della morte e mai del film». Da lì, il regista ebbe la conferma, come spiega, che Marlon Brando fosse l’unico uomo a non nutrire alcun tipo di pregiudizio morale o artistico nei suoi confronti. Lo scelse dunque per la parte. Ciò costituì un trionfo, come un trionfo fu anche l’aver scelto “Bellezza indecente” di Eva Green nel film sui “sognatori”, in cui l’attrice si presta al ruolo di musa e di geisha performativa nel compiacere le idee del cine-demiurgo.
Che si sia trattato di ponderazioni o semplici coincidenze, fatto sta che ogni attore che abbia avuto a che fare con Bernardo Bertolucci ha sempre un parallelismo tra la storia interpretata nei suoi film e altre faccende: Liv Tyler, che in Io Ballo da sola era una ragazzina in viaggio verso l’Italia alla ricerca di suo padre, compieva nella vita lo stesso tragitto, alla ricerca di Stefano Tallarico (o Stephen Tyler), il cantante degli Aerosmith di origine calabrese che, dopo la sua nascita, aveva lasciato lei e sua madre. Non diversamente, Marlon Brando, dopo aver interpretato Paul in Ultimo Tango, si ritrovava bersagliato da quella stessa critica che anni prima aveva voluto imputargli la gran colpa di aver accettato di interpretare un’altra scena di “violenza” in Un tram che si chiama desiderio. Nessuno, dunque, meglio di loro, avrebbe mai potuto immedesimarsi nelle aspirazioni del regista, consapevoli di aver condiviso con lui il prezzo di una storia già vissuta, in maniera forse meno poetica, ma più triste.
Nell’augurare a Bertolucci il miglior trapasso in una vita ultraterrena, ci piacerebbe immaginarlo, nella Nouvelle Vague della sua anima, intento alla stesura della sua prossima sceneggiatura, mentre affetta ogni paura come se fosse burro. Quello stesso burro maneggiato da Brando per squagliare, nelle proprie mani e nel corpo dell’amante, il mito ipocrita della famiglia tradizionale e del perbenismo sociale che logora mente e cuore di ogni libero individuo. Quello stesso burro che fece di Bertolucci, in Italia, l’unico premio Oscar per miglior film.
GIORGIA MARIA PAGLIARO