Un commando armato di mercenari, alcuni dei quali parlavano spagnolo, ha ucciso la notte scorsa verso l’1 locale (le 7 italiane) nella sua residenza il presidente di Haiti Jovenel Moise, ferendo gravemente la moglie, Lady Martine. Il portale di notizie InfoHaiti.net ha pubblicato un comunicato del primo ministro, Claude Joseph, che ha assunto la conduzione del Paese ed ha condannato quello che ha descritto come un «atto odioso, disumano e barbaro».

Il premier ha convocato una riunione speciale del consiglio di sicurezza, invitando la popolazione a mantenere la calma. «La situazione nel Paese – ha sostenuto – è sotto il controllo della polizia nazionale e delle forze armate haitiane». Il portale riferisce anche dal quotidiano The Miami Herald, che gli attaccanti «hanno affermato di essere agenti della Dea statunitense», secondo quanto risulta da un video ripreso da persone che si trovavano nella residenza di Moise.

Un funzionario del governo haitiano ha però categoricamente smentito che possa essersi trattato di agenti della Dea, ed ha assicurato che «questi erano mercenari». Residenti hanno riferito di aver visto aggirarsi nella zona uomini in tuta mimetica nera ed avere sentito spari di armi di grosso calibro e notato volare dei droni.

Il giornale statunitense sostiene che «la morte del Presidente getterà Haiti in un gravissimo caos». Moise, insediatosi nel 2017 dopo che il suo predecessore si era dimesso, da gennaio 2020 governava per decreto, e senza la presenza di un Parlamento. Affrontava crescenti proteste da parte di associazioni politiche, sociali e religiose, che lo accusavano di aver creato ad Haiti una profonda crisi politica e costituzionale, usando bande armate per rimanere al potere. Proprio ieri Moise aveva nominato un nuovo primo ministro, Ariel Henry, per preparare il paese alle elezioni che avrebbero portato il 26 settembre allo svolgimento di un referendum costituzionale e all’elezione di un presidente e di un nuovo parlamento.

Moise aveva affrontato accuse di corruzione e un’ondata di proteste anti-governative, spesso anche violente. All’inizio dell’anno, c’erano state diffuse manifestazioni nella capitale e in altre città, che chiedevano le sue dimissioni. Era stato accusato, tra le altre cose, di aver represso gli oppositori politici e di voler restare in carica oltre il suo mandato, che secondo l’opposizione doveva finire il 7 febbraio scorso. Quel giorno, aveva denunciato di aver sventato «un golpe per rovesciarlo e assassinarlo». In un contesto politico altamente polarizzato, tra carenza di beni alimentari e una persistente crisi umanitaria, si teme che ora il Paese precipiti nel caos.

La Repubblica Dominicana, che si trova sulla stessa isola di Haiti (Hispaniola), ha ordinato la «chiusura immediata» del suo confine. La Casa Bianca, Londra e Madrid hanno tutte condannato l’accaduto parlando di omicidio «terribile». L’aggressione arriva sulla scia di un’ondata di violenze tra gang e polizia a Port-au-Prince per il controllo del territorio. Negli ultimi mesi sono aumentati anche i rapimenti con richiesta di riscatto, che riflettono l’accresciuta influenza dei gruppi armati nel Paese. Haiti – una delle nazioni più povere al mondo, vittima di cronici disastri naturali e che ancora deve riprendersi dal devastante terremoto del 2010, che fece 250mila morti e 300mila feriti – doveva tenere a settembre un referendum costituzionale, posticipato già due volte a causa della pandemia. Sostenuto da Moise, il testo di riforme costituzionali mirava a rafforzare l’esecutivo, ma è stato respinto dall’opposizione e dalle organizzazioni della società civile.