Hans Christian Andersen, l’uomo che inventò le favole

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Di Redazione Metropolitan

Hans Christian Andersen, l’uomo che inventò le favole. Hans Christian Andersen nasce il 2 aprile del 1805 nei quartieri poveri della città di Odense, in Danimarca. I suoi  primi anni  sono ricchi di frequentazioni letterarie e sollecitazioni fantastiche. Egli ama passare il tempo leggendo brani di commedie di Ludvig Holberg e racconti tratti da “Le mille e una notte” e a mettere in scena spettacoli in un suo teatrino delle marionette, spesso si tratta di opere teatrali dello stesso Holberg, Shakespeare e altri autori, imparate a memoria oppure completamente create da lui.

Gli esordi di Hans Christian Andersen

L’attività letteraria di Andersen, piuttosto vasta (le opere complete in lingua danese, pubblicate a Copenaghen tra il 1854 e il 1879, comprendono ben trentatré volumi) coincide sostanzialmente con il termine del periodo di studi. Già dal 1835 appare la prima pubblicazione di Fiabe Eventyr, che costituiranno la sua produzione più importante, sebbene non subito riconosciuta come tale.

Copertina raccolta Eventyr. Fonte: Bog e Idè
Andersen
Copertina raccolta Eventyr. Fonte: Bog e Idè

Le pubblicazioni si succedono fino al 1872 (non di rado la prima edizione è in inglese, anziché in danese). L’insieme di queste danno origine a diverse raccolte.

L’ispirazione di trasformare i racconti popolari

Le ispirazioni sono diverse: folklore popolare, racconti per l’infanzia, fiabe, novelle tradizionali, dove la materia esistente è lasciata senza modifiche sostanziali (Principessa sul pisello, I vestiti nuovi dell’Imperatore), oppure viene trattata come semplice spunto e rielaborata sulla base di invenzioni personali (ad esempio La Regina delle nevi, Compagno di viaggio) dando vita, per la prima volta, alla fiaba d’autore, propriamente intesa, o per meglio dire contemporanea.

Sorge spontaneo un paragone con gli altri due grandi scrittori di favole di tutti i tempi: i fratelli Grimm, che per essere più precisi però,  raccolgono le loro fiabe direttamente dai racconti popolari del popolo tedesco, al contrario di Andersen che partendo da ricordi del “corpus magnum” del racconto lo rielabora e modifica con la propria fantasia. Lo spunto tradizionale si piega al suo volere e mai il contrario.

Molti dei racconti, infatti, traggono origine da episodi di vita vissuta: la danzatrice de Il tenace soldatino di stagno è probabilmente la trasfigurazione di quella che derise da giovane Andersen per i suoi modi sgraziati e le sue continue lettere di raccomandazione. Cinque in un baccello trae spunto dalla memoria di un vaso di legno in cui erano piantati un aglio e un’unica pianta di pisello davanti alla casa dello scrittore da bambino.

Scena tratta dal cortometraggio Disney ispirato al Il tenace soldatino. Fonte: Sogni d'oro
Andersen
Scena tratta dal cortometraggio Disney ispirato al Il tenace soldatino. Fonte: Sogni d’oro

Dal suo apparente caos linguistico (e grazie proprio anche a esso), traspare il profondo spirito popolare danese, definito lune, un insieme di bonomia, modestia, di allegria e monelleria, di fierezza ingenua, caratteristico della terra natìa di Andersen.

Hans Christian Andersen: Il tema del “diverso”

È piuttosto evidente che le molteplici esperienze giovanili (non ultima quella scolastica) siano correlabili alla maturazione del tema del “diverso” che lotta per essere accettato, centrale nell’opera dello scrittore danese, come si riscontra, ad esempio, ne Il brutto anatroccolo.

Copertina d'epoca del racconto Il brutto anatroccolo. Fonte: Le Réveil
Andersen
Copertina d’epoca del racconto Il brutto anatroccolo. Fonte: Le Réveil

Un’altra delle ragioni principali per cui Andersen si sente emarginato e rifiutato è da far risalire, senza meno, al modesto aspetto fisico (poco attraente, è alto un metro e ottantacinque, dinoccolato e si dice porti scarpe tra il numero 47 e il numero 50) e ancor più nelle sue inclinazioni sessuali. Si innamora, tra gli altri, del giovane Edvard Collin.

L’idea del diverso in Andersen rimanda, per molti versi, a quella di “non collocato o non collocabile”, riferito a qualcuno che ineluttabilmente, per sua natura che non può trovare il proprio posto nella realtà che lo circonda, come “sospeso” tra due mondi ed a nessuno dei quali può appartenere appieno.

Hans Christian Andersen: il “lieto fine”

In fondo, anche il “lieto fine” dei racconti, quando compare, suona ambiguo, quanto meno volutamente duplice per il pubblico dei ragazzi e quello degli adulti: la gioia dell’anatroccolo mutato in cigno induce piuttosto il lettore a riflettere se la vera felicità del protagonista non risiedesse piuttosto nella sua vita precedente, quando nuotava nel fango a contatto con la più profonda essenza della natura, anziché nel superbo, appagante distacco della sua nuova condizione.

Il tema del “doppio”

La percezione di “sospensione“, di “essere e non essere” nello scrittore danese inclina altresì verso quello di “doppio” in cui pare di poter cogliere il suo convincimento di essere “imprigionato” in una personalità a cavallo tra realtà diverse, senza poter appartenere veramente a nessuna, che non sia quella ideale ove si realizza l’unione tra poesia e natura.

Il tema del “macabro”

Non poche opere sono intrise della presenza della morte e del macabro e dal loro speculare contrario: l’immortalità quale trasformazione in qualcosa di superiore, di congiungimento o ricongiungimento all’affetto perduto, o sottratto prima ancora di essere posseduto.

Il più popolare scrittore per ragazzi della storia

La fortuna dell’opera di Andersen è quasi del tutto legata alla produzione fiabesca che ha messo profonde radici nella nostra cultura. Tutti conoscono La sirenetta, Il brutto anatroccolo, Il soldatino di stagno, I vestiti nuovi dell’imperatore, La piccola fiammiferaia, La principessa sul pisello (si consideri che, alla data del 2005, le fiabe di Andersen erano tradotte in ben 153 lingue)

La piccola fiammiferaia. Fonte: Favole per bambini
Andersen
La piccola fiammiferaia. Fonte: Favole per bambini

Interessante è l’annotazione di Simonetta Caminiti, riprendendo una considerazione di Elias Bredsdorff:

“Il comportamento dei traduttori e dei critici (vittoriani) anglosassoni verso Andersen sarebbe stato pari ‘a quello che tutto il mondo ha tenuto verso Jonathan Swift e Daniel Defoe: hanno spinto Andersen in una nursery e ce lo hanno chiuso dentro. Per sempre”.

La nursery in questione si riferisce non soltanto all’aver dato enfasi, di fatto, alla produzione fiabesca dello scrittore danese, relegando la sua produzione sugli scaffali per i ragazzi e tralasciando la copiosa restante produzione di pregio, ma, soprattutto di aver operato scientemente “tagli”, stravolgendo spesso l’opera del danese, attenuandone la carica innovativa e, per certi versi, non convenzionale.

Andersen ai giorni nostri

Purtroppo gran parte del resto del mondo è entrato in contatto con Andersen, attraverso queste versioni anglosassoni ottocentesche, formandosi un’idea poco rispondente all’originale, di cui solo recentemente si inizia ad apprezzare il valore, grazie a versioni accurate dal danese (ancora rare, soprattutto in Italia) tese a riscoprire l’autore di Odense in tutte le sue sfaccettature e promuovendo anche opere non fiabesche. In particolare, eliminando i paludamenti vittoriani, eccessivamente buonisti.

Al nome di Andersen sono dedicati diversi premi del settore della letteratura per ragazzi, tra cui lo Hans Christian Andersen Award e, in Italia, il Premio H.C. Andersen Baia delle Favole di Sestri Levante che dal 1967 premia le fiabe inedite e il Premio Andersen, che dal 1982, premia i migliori libri italiani per l’infanzia editi nel corso dell’anno precedente, suddivisi secondo l’età dei destinatari e per autori, illustratori.