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Settembre 10, 2024, martedì

Health Gap: disparità sanitaria e cultura del dolore

La disparità di genere si manifesta in molteplici aspetti della vita quotidiana e la salute non è esclusa da questo atteggiamento. Si chiama Health Gap o disparità di trattamento sanitario. In Italia se ne parla pochissimo, ma questo non vuol dire che non esista tale forma di discriminazione.

Health Gap: radici culturali della disparità

Parlando delle mutilazioni genitali femminili abbiamo domando come si possa spiegare tale violenza in una società nella quale questa pratica è definita “cultura e tradizione”. La disparità di trattamento sanitario (health gap) pone lo stesso dubbio. Come si può spiegare l’esistenza di questa forma di discriminazione in una società nella quale alle donne viene rimproverato l’uso dell’epidurale, nel quale il congedo mestruale è ancora un diritto chiuso in un cassetto di Palazzo Chigi e il dolore cronico viene spesso banalizzato?

La donna è obbligata per “natura” a soffrire? The Vision poneva la questione da un punto di vista cattolico cristiano. In Genesi 3,16 si legge: “Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli“. Eppure sembra che “ètzev” si traduca come “sforzo” non “dolore”. Ci poniamo la domanda sbagliata domandandoci se con una traduzione corretta ci sarebbe stata un’altrettanta diversa cultura del dolore?

Cultura del dolore interiorizzata

Dio non ha condannato la donna al dolore, al massimo alla fatica, se vogliamo leggere una costatazione per una condanna. L’uomo invece ha condannato e lo ha fatto in base al genere, costruendo la narrazione della “sopportazione del dolore” del quale solo le donne sembrano capaci. In questo modo si è trasmessa l’interiorizzazione del dolore e della sofferenza da madre a figlia.
Per i dolori mestruali si cercano consigli in rete, rimedi casalinghi e della “nonna”, mai cure specifiche. “Non stai morendo, è normale” o “Non farne un dramma” sono le frasi che spesso le donne si sentono dire quando parlano dei loro dolori. Ma fino a che punto è normale provare dolore e quando inizia a essere un problema medico? Questo tipo di retorica è dannosa per la salute, il rischio concreto è non ricevere una diagnosi tempestiva.

Viene dato per scontato che la donna debba soffrire, sempre, senza alternative. Non bisogna parlare apertamente del ciclo, non bisogna chiedere, si deve accettare la sofferenza e basta. Nelle sedute ginecologiche normali, neanche si parla di dolore, perché è ‘normale’, nonostante nella medicina qualsiasi patologia abbia come primo sintomo per la diagnosi proprio il dolore“, racconta Silvana Godente, studentessa di Biologia.

Dismenorrea e pregiudizi di genere

Definite pigre o svogliate, le donne sono vittime di pregiudizi legati al genere, anche quando l’argomento è la salute. Scusa per non lavorare, per non andare a scuola o per oziare, la dismenorrea colpisce tra il 60% e il 90% delle donne. Questo dato comporta alti tassi di assenteismo scolastico (dal 13% al 51%) e sul posto di lavoro (5% al 15%).

Per dismenorrea si intendono i dolori associati al ciclo mestruale e si controlla tramite l’assunzione di antidolorifici, la quantità varia a seconda di quanto debilitante sia il dolore per le attività quotidiane. Sappiamo che gli stessi sintomi sono legati a patologie come l’endometriosi, adenomiosi, fibromi uterini, infezioni e infiammazioni. In questo caso si parla di dismenorrea secondaria, poiché si conosce l’origine della patologia.
Il fatto che esiste il termine ‘dismenorrea’ come a indicare una patologia è ridicolo. Questa diagnosi serve solo per non indagare le reali cause del dolore. Il dolore è un sintomo, mai una condizione“, spiega Silvana.

Health Gap e politica

Il connubio perfetto tra disparità di genere sanitaria e di lavoro si manifesta sul tema del congedo mestruale. Il congedo viene inteso come un capriccio, un elemento che aumenta la disparità. Se le donne vogliono essere considerate pari all’uomo allora, con dolore e sofferenza, non capite e ridicolizzate dai medici, devono affrontare il posto di lavoro in qualsiasi condizione. Questo racconta il lungo silenzio sulla proposta di legge del 2016. La richiesta è semplice: tre giorni di congedo al mese e retribuiti al 100% per le donne che presentano certificazione medica.
Non solo si viene poco seguite da un punto di vista medico, se non insistendo nella ricerca di ginecologi capaci nel privato, ma persiste il silenzio della politica. Eppure sono in tanti a parlare di indipendenza femminile e a pretendere la rinuncia al diritto all’aborto per aumentare i dati sulla natalità. Doveri, ma senza diritti.

Health Gap: ignoranza, disinteresse o violenza?

Il problema alla base di questo Health Gap è culturale, ma si è trascinato ben oltre le soglie della modernità. La medicina si basa quasi del tutto sulla fisiologia maschile. Ma bisogna riconoscere le diversità biologiche, non è una questione di uguaglianza. L’omologazione fra uomo e donna non è possibile in senso strettamente medico. E se questo in passato ha dato il via alla disparità, decretando un sesso debole e una forte, oggi dovremmo essere in grado di applicare tale concetto alle necessità che ci differenziano.
L’esclusione delle donne dalle sperimentazioni sui farmaci ha portato a una carenza di dati. Negli Stati Uniti il processo di inclusione di donne e minoranze nella ricerca clinica è iniziato nel 1985, ma solo nel 1993 è divenuta Legge (103-43). Un gap che non ha smesso di influenzare la ricerca, lo abbiamo potuto notare anche in tempi recenti con la sperimentazione sul vaccino per la COVID-19 e i dubbi sul suo uso durante la gravidanza o l’allattamento per via dell’esclusione di queste categorie.

Vulvodina, basta un bicchiere di vino?

Documentata per la prima volta nel 1880 e descritta come “ipersensibilità della vulva”, negli Stati Uniti soffre di vulvodinia il 16% delle donne. Si prova un bruciore intermittente, durante il sesso o stando a lungo sedute, per alcune donne il bruciore è costante, 24 ore su 24.
Pur essendo una patologia frequente, spesso non è diagnosticata perché considerata “psicogena”. In realtà alcune ricerche parlano di disturbi autoimmuni, danni ai nervi, reazioni allergiche o infezioni croniche. Così tanto poco studiata che tanti ginecologi rispondono al dolore con sarcasmo e noncuranza. Tara Langdale-Schmidt ha raccontato alla BBC di numerose visite ginecologiche finite con consigli come: “Si rilassi prima di fare sesso” o “Beva un bicchiere di vino”.
In Italia, per avere ulteriori informazioni, si può visitare il sito dell’Associazione Italiana Vulvodinia.

“Partorirai con dolore” come condizione della violenza ostetrica

La violenza ostetrica è sistematica nel nostro paese. Può manifestarsi sotto forma di insulti più o meno velati, fino alla mancanza di soccorso in stato di sofferenza.
Secondo un indagine condotta da Doxa e OVOItalia (osservatorio sulla violenza ostetrica) risulta che 1 milione di donne in 14 anni sia stata vittima di violenza ostetrica. 4 donne su 10 ha dichiarato di aver subito pratiche lesive della propria dignità fisica e psicologica. Questi dati hanno effetto sulle nascite, tanto care agli anti-abortisti: si parla di 20mila bambini non nati ogni anno, secondo le dichiarazioni delle donne che non hanno più voluto figli dopo la prima traumatica esperienza.
Il rifiuto dell’epidurale viene spesso accompagnato da affermazioni sessiste, come racconta una donna: “Hai fatto sesso, ti piaciuto? Ora soffri”.
Ma esistono altre forme di violenza ostetrica, come la negazione del parto cesareo anche in presenza di sofferenza fetale.
Per ascoltare alcune delle storie di violenza ostetrica vi rimandiamo a una raccolta di video su YouTube e alla raccolta firma #BASTATACERE.

Endometriosi e l’assenza di diagnosi

L’endometriosi è una patologia cronica e spesso progressiva. “È una malattia che causa la presenza della mucosa che riveste l’utero (endometrio) al di fuori dell’utero. Si può disseminare sulle ovaie, sulle tube, sul peritoneo, sulla vagina e anche sull’intestino”, ha spiegato a FanPage la ginecologa Manuela Farris.
Secondo uno studio olandese, per avere una diagnosi ci vogliono in media 7,4 anni. In Italia sono 3 milioni le donne alle quali è stata diagnosticata l’endometriosi, ma molte altre ne soffrono. La diagnosi spesso si ottiene privatamente, questo perché nella sanità pubblica mancano i ginecologi specializzati e questo è uno dei motivi per i quali non si ricevono aiuti tempestivi.

“Tutto ciò era evitabile”

Silvana Godente racconta per BRAVE come è arrivata ad avere una diagnosi tardiva:
“Ho sofferto tantissimo già da quando avevo 11 anni (prima ancora che mi venisse il ciclo), ma ovviamente i miei sintomi furono scambiati per una banale gastrite. Da quando ho cominciato ad avere le mestruazioni la cosa è peggiorata di anno in anno. Ma visto che le donne sono destinate a soffrire, tutto ciò veniva considerato normale e io ero solamente una ragazzina troppo sensibile e melodrammatica (parole che venivano da genitori, amici, parenti e insegnanti). Da quando ho iniziato a pensare di avere qualcosa di sbagliato – ossia quando ho iniziato la mia dipendenza da antidolorifici in dosi fuori dal comune per una mestruazione – alla diagnosi sono passati tre anni. In questi tre anni le mie visite dalla ginecologa sono sempre state un ‘lei non ha niente, posso prescriverle degli integratori per aiutarla con il dolore'”.

Quando stamattina mi sono svegliata, lucida, ho pensato che ho 24 anni e non ho più una tuba. […] Però penso si possa capire questa sensazione di incompletezza, di perdita – racconta Silvana in un post su Facebook per sensibilizzare – “Non tanto per la parte corporea in sé, ma perché tutto ciò era evitabile. Non avevo un problema grave, all’inizio. È stato curato male da un medico che mi ha trattata con superficialità e solo così è degenerato“.

Come diminuire l’Health Gap?

Non essere prese sul serio, veder banalizzati dolori e altri sintomi o addirittura vederli additati come “solo nella propria testa” non deve scoraggiare le donne. “Essere una donna non dovrebbe avere alcuna influenza sulla capacità clinica di un medico di diagnosticare una malattia“, hanno scritto gli autori del rapporto “The Voice of 12,000 Patients”.

Alle donne che, come me, non vengono ascoltate, il consiglio che posso dare è di imparare prima ad ascoltare sé stesse. I sintomi e il dolore sono delle prove inconfutabili che qualcosa non stia funzionando come dovrebbe, nessuno può metterlo in discussione – spiega Silvana – “Bisogna parlarne in qualsiasi occasione e in qualsiasi contesto, anche e soprattutto con gli uomini, che non potranno mai capire cosa si prova, ma che possono essere degli alleati potentissimi“.

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.

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