Hiraeth: il passato, il tempo che fu. Un termine gaelico che indica la sensazione nostalgica verso un antico tempo trascorso, una persona, una dimensione – a volte – anche mai esistita di cui si sente un’impellente malinconia. Il secondo appuntamento della rubrica Parole dal Mondo, analizza questa sensazione agrodolce.
Hiraeth, la malinconia del tempo che fu
Le antiche lingue celtiche, sono sempre affascinanti e magiche. Il termine Hiraeth deriva proprio dalla lingua gaelica. Semanticamente, il termine designa una nostalgia per un luogo perduto, – o una persona – dove non si può più fare ritorno. Una sorta di malinconia imbevuta di rimpianti per i posti perduti di un passato antico, appartenente alla propria esistenza. Un’ulteriore spiegazione, invece, indica una sorta di nostalgia per epoche mai vissute. Hiraeth è una parola che non può essere completamente tradotta, è più una concezione che denota la perdita di qualcosa o qualcuno. Il termine Hiraeth porta delle notevoli analogie con il concetto di portoghese Saudade: si riferisce ad uno status malinconico per certi versi affine al sentimento nostalgico. L’etimologia del lemma in questione, deriva dal latino solitùdo, solitudinis: solitudine, isolamento.
Hiraeth e nostalgia, un sentimento antico
Etimologicamente, la parola nostalgia deriva dal greco e si compone da νόστος, (nòstos) ritorno, e άλγος, (àlgos) , dolore: semanticamente descrive un “dolore del ritorno”, quindi una sensazione agrodolce caratterizzata da forte senso di malinconia e rimpianto: è un agognare ai momenti felici ormai perduti. Probabilmente, è difficile dare una definizione che si allinei perfettamente alla sensazione che si tenta di descrivere. Il senso vago di cose perdute, il sospiro per un passato che non può più essere ripetuto: o ancora un’epoca in cui non si è mai vissuti ma a cui si sospira. Il senso di mestizia avvolge i pensieri del nostalgico: un connubio predominante di malinconia con spicchi fulminei di felicità; un gaudio dovuto, probabilmente, alle sensazioni di un tempo dorato che il passato porta alla mente. Nel secondo caso una tenerezza e un senso di sussulto rievocativo per un tempo che mai si è vissuto, ma che si percepisce come ideale. Un sentimento in cui, gli ossimori si sciolgono nelle emozioni provate: la dicotomia felicità-rimpianto, è espressa perfettamente da Victor Hugo:
”La malinconia è la felicità di essere tristi”.
Hiraeth e nostalgia in cinema e letteratura
Come sopracitato, la sensazione espressa dal termine Hiraeth può indicare nostalgia di un tempo felice ormai trascorso che non si può rivivere, o malinconia di un tempo che mai si è vissuto. Una concezione che, da sempre, si riscontra in tutte le sfumature artistiche, dalla letteratura al cinema. Un esempio calzante di questo tipo di sentimento è, sicuramente, quello descritto da Woody Allen in Midnight in Paris: la sindrome dell’epoca d’oro. Il protagonista, un giovane scrittore, è catapultato nella Parigi degli anni venti: l’epoca d’oro a cui aspira.
Incontra Hemingway, Fitzgerald, Dalì e una giovane donna, Gil, di cui si innamora. Peccato che, l’era che idolatra la ragazza, sia invece la Belle Époque. Una sconcertante verità viene alla luce: i protagonisti della Belle Époque rimpiangono il glorioso Rinascimento. Qual è quindi la morale? La nostalgia è un sentimento dolceamaro che pervade l’animo degli uomini di ogni tempo. Il domandarsi cosa poteva accadere, la brama di vivere epoche mai vissute che nei sogni appaiono ruggenti. La fantasticheria che porta al rimpianto, anche di qualcosa che non si conosce, del tutto.
Malinconia in letteratura: la triade della nostalgia
Quando si parla del sentimento vago che designa il termine gaelico qui in analisi, è logico far sovvenire alla mente Giovanni Pascoli, poeta dai testi pullulanti di malinconia. Dalla poetica del fanciullino alle raccolte del poeta di San Mauro di Romagna – da Myricae ad i Canti di Castelvecchio – è un eterno tributo al passato ed alla vita che fu. L’attaccamento viscerale al nido, alla famiglia d’origine e ai luoghi natii fu, per Pascoli, fulcro della sua poetica che si riversò in gran parte delle sue opere. Un continuo uso di verbi come ritornare, rammentare, uniti a contenuti richiamanti un’infanzia antica. Così scrive Pascoli nella poesia La mia sera:
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera
Un intenso desiderio di vivere all’interno dei ricordi, commemorando una porzione di felicità non più possibile. Altro auspicio che, Giovanni Pascoli, dichiara apertamente in un’altra poesia, del 1907 L’ora di Barga:
Lascia che guardi dentro il mio cuore,
lascia ch’io viva del mio passato.
Giosuè Carducci, professore di Giovanni Pascoli presso l’Università di Bologna, fu un altro esponente del concetto di rimpianto del tempo passato. Una delle sue composizioni che riflette minuziosamente il tempo remoto, è un componimento contenuto in Rime nuove: Davanti San Guido. L’opera trae spunto da un viaggio in treno in cui, Carducci, sta facendo rientro a Bologna. Durante il tragitto il poeta attraversa i luoghi della sua infanzia: i cipressi che lo videro bimbo gli evocano richiami antichi di una fanciullezza perduta, come la rievocazione della nonna paterna Lucia, a cui era particolarmente legato. Una brama agrodolce di voler tornare indietro nel tempo; dall’altro, l’impossibilità di tornare in quel passato luminoso che lo vide felice.
Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Crepuscolarismo e nostalgia: Guido Gozzano
La poetica dell’autore, ma dei crepuscolari in generale, descrive una vita fatta di quotidianità venata da una tenue tristezza e da una malinconia tacita. Anche il pensiero è rivolto al passato: due sono le liriche contenute nella raccolta I colloqui del 1911, che descrivono perfettamente le due sensazioni che riflettono il termine qui in analisi. La prima è L’amica di nonna Speranza: Gozzano ritrova una vecchia foto raffigurante la nonna all’età di 17 anni, con una sua amica, Carlotta. E’ il 1850. Inizia così a vagare in un tempo remotovedendo in Carlotta – Ove sei / o sola che – forse – potrei amare, amare d’amore? (vv. 108-109) – l’amore che il giovane non trova più nei suoi tempi: la sola ad ispirargli un autentico sentimento. Tuttavia, sopraggiunge l’amarezza: il vagare sognante si dissolve; subentra la malinconica consapevolezza di non poter appartenere a quel passato svanito.
Diverso il discorso per la poesia La signorina Felicita, ovvero la Felicità, che diventerà manifesto di tutto il crepuscolarismo. Qui il poeta si abbandona ad una dimensione malinconica del ricordo nei versi 28-29: ”Odore d’ombra, odore di passato, odore d’abbandono desolato”. Tutto il testo è pervaso da un senso incompiuto di vaghezza verso un passato compianto. Di seguito il noto incipit del componimento:
Signorina Felicita, a quest’ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora.
Hiraeth, un’umana sensazione
E’ quindi naturale provare una sensazione di tenerezza, nostalgia, dispiacere, malinconia e dolcezza verso qualcosa che non appartiene più alle esistenze presenti. E’ il ricordo il mezzo per viaggiare nel tempo trascorso, il potente strumento per rivivere quello che non è più concesso di ripercorrere. Tuttavia, è una sensazione sicuramente individuale che, però, accomuna l’umanità proprio per la peculiarità di far emergere le fragilità di ogni individuo, proprio come scriveva Cesare Pavese: la nostalgia serve come promemoria per ricordare agli uomini che, per fortuna, sono anche fragili.