Philautía, parole dal mondo: amor proprio o amor patogeno?

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Di Stella Grillo

Philautía: nuovo spazio dedicato alle parole dal mondo, per un’etimologia a portata di click! Eccessivo amore di sé che sconfina nell’egotismo o sano amor proprio? Un viaggio fra etimologia, semantica e filosofia.

Philautía, origine del termine e derivazioni

L’etimologia del termine deriva dal greco: da phílo – filo- autós ‘sé stesso’. Un concetto che pone la sua origine nel mondo greco e che, semanticamente, indica l’amore verso sé stessi, l’auto-riconoscimento, ed il conciliarsi con la propria esistenza. Tuttavia, le interpretazioni di tale accezione semantica sono contrastanti: la Philautía è eccessivo egoismo verso sé stessi, un amore patogeno sconfinante nell’egotismo o, un sano amor proprio che fa prevalere l’autostima di sé? Una risposta che, sicuramente, è spiegata in modo egregio da Aristotele.

Aristotele spiega la Philautía

Il termine ed il conseguente concetto appare nel libro IX dell’Etica Nicomachea di Aristotele: il filosofo colloca al principio di tutte le interazioni di amicizia, l’amore verso sé stessi. Da questo primordiale legame verso il proprio Io, scaturisce la brama di voler per sé il meglio; ne deriva la capacità di trasferire agli altri il desiderio di bene che si ha anche verso sé stessi. Aristotele considera sì egoista chi ama sé stesso, ma sviluppa un’ideologia del tutto rivoluzionaria; colui che è saggio e virtuoso, vien da sé che ami il proprio essere: ma proprio perché si ama e cura la sua realizzazione sarà benefico verso gli altri, che, di conseguenza, amerà al pari di sé. Questa primordiale riflessione di Aristotele, susciterà numerose diatribe etiche. La Philautía sarà ritenuta peccaminosa e portatrice di ogni vizio: al contrario, fonte del perfezionamento di sé stessi e di benevolenza verso gli altri.

Philautía pura, diversa dall’egoismo

Chiunque voglia per sé il meglio, la ricchezza o tutto ciò che procura uno status ideale è considerato oggetto di contesa dalla moltitudine. Aristotele condanna coloro che si sollazzano in piaceri, ricchezze ed onori riservandoli solo a sé stessi. Rimprovera questo genere di individualismo egoista. Coloro quindi che riducono il termine ad un’offesa, si riferiscono a questo genere di egoismo.

Philautía, amare sé stessi - Photo Credits: web
Philautía, amare sé stessi – Photo Credits: web

Ma la Philautía pura, quella che cita Aristotele, recita un assunto di base. Colui che è buono deve necessariamente essere egoista: egli godrà nel compiere ciò che è bello procurando vantaggio agli altri. Diversa situazione per il malvagio, poiché compiendo azioni cattive e discutibili non solo danneggerà sé stesso ma anche coloro che gli sono vicini. L’amore qui inteso è quindi rispetto verso la propria persona, coltivare sé stessi senza alienarsi.

L’altra faccia dell’amore di sé: amore patogeno?

Cosa accade quando la Philautía si trasforma in egotismo? L’individuo ha un eccessivo amore per sé stesso, sente di appartenersi a tal punto da percepirsi frammentato, quasi come non fosse uno solo: come se potesse provare un amore sconfinato verso il suo essere staccandosi dalla sua unità. E’ come se, l’individuo, si considerasse perfetto a prescindere dalle sue azioni solo in quanto soggetto esistente. E’ una sorta di contemplazione del proprio essere, un compiacimento narcisistico che sconfina nel vero e proprio culto di sé stessi: quasi un auto-idolatrarsi. Ed è per questa concezione patogena che, la Philautía , è considerata l’origine di tutti i mali, soprattutto dalla chiesa. Concentrandosi solo su questo significato semantico è facile considerarlo patogeno, facendo instillare ogni tipo di passione nociva da tale concezione. Quasi come se fosse la matrice che dà origine a passioni sconvenienti e malate, e quindi, peccaminose. Forse una concezione troppo estremizzata?

Barlumi di Philautía nello psicoanalista Erich Fromm

Erich Fromm, autore della famosa opera L’arte di amare, introduce una tesi che ben si riflette nella concezione della Philautìa: si può amare davvero solo se si ama sé stessi. La capacità di provare benevolenza, amore, affetto verso un altro essere dipende primariamente dalla capacità di amore che si nutre verso di sé:

”Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente.”