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Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione: sognando i videogiochi di domani

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione | La prima volta che indossi un visore VR non si dimentica facilmente. In quell’occasione, in realtà non importa nemmeno molto se stai guardando solo lo schermo del cellulare montato in un accrocco di cartone con due lenti. Resterai ugualmente senza fiato. Ecco: dopo qualche anno passato con “solo” un PSVR sono riuscito a provare quel medesimo stupore immergendomi nel PlayStationVR 2 e in Horizon Call of the Mountain. 

Le specifiche migliorate si vedono e si sentono tutte: impossibile restare impassibili. Mentre ve lo scrivo, però, capisco che senza toccare, in questo caso, anche credere sia difficile. L’ebbrezza di estrarre arco e frecce per confrontarsi contro le dettagliatissime macchine più che fedeli a quanto sperimentato in 2D, sentirsi in pericolo mentre si manca l’appiglio nel mezzo di un’arrampicata; il sudore sottile che ricopre le mani quando guardiamo giù, e scopriamo il vuoto. 

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

Come potreste sentire davvero quel salto di un battito al cuore, di fronte al panorama di una serie di cascate immerse nel verde primordiale, con una cittadella in lontananza da cui un filo di fumo si allontana sinuoso? PlayStationVR 2 è la VR su console che aspettavamo, che non sapevamo di poter avere. Di più: per ora, è uno strumento ineguagliato quanto a caratteristiche tecniche e resa finale dell’immagine in realtà virtuale. Anche estendendosi al mondo PC. 

Per certi versi, questa recensione di Horizon Call of the Mountain vuole essere anche una valutazione del nuovo hardware di Sony. Il cui voto, se ne attribuissimo uno distinto, sarebbe identico a quello del gioco. Tale è la veemenza con cui Play Station ri-entra nel mondo della realtà virtuale. Quasi come se lo facesse per la prima volta, tale è la distanza che separa i dispositivi di prima, e seconda generazione VR targati triangolo, cerchio, croce e quadrato.

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

HORIZON CALL OF THE MOUNTAIN RECENSIONE | TESTATO SU PS5 con PlayStationVR 2

(Disponibile in esclusiva)

VOTO: 9 

+Immersione totale garantita da texture dettagliatissime e animazioni sempre fluide
+Molte opzioni di controllo movimenti e per la limitazione della motion sickness
+Sfrutta al massimo tutte le feature Hardware di PlayStationVR 2
+Non è una tech demo: è un gioco completo con uno scopo e uno stile unico

-Il riconoscimento delle dita deve ancora essere studiato bene
-Potrebbe risultare ripetitivo nelle meccaniche basilari

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

+++BONUS: PlayStationVR 2+++

+Leggero quanto basta, comodo anche per sessioni prolungate di gioco
+Regolare la distanza tra le lenti permette davvero a tutti di godere al massimo in VR
+Schermi OLED 4k HDR con 110 gradi di campo visuale. Serve dire altro?
+Ottimo isolamento dalla luce esterna 
+Feedback aptico e suono 3D immergono completamente nei giochi
+Rapporto qualità prezzo pazzesco
+Un solo cavo richiesto, esperienza plug and play inimitabile persino su PC

-Controller con relativamente poca batteria
-Tracking delle dita non perfetto 
-Materiali esterni più cheap di quelli di PS5
-La visualizzazione dell’ambiente circostante tramite telecamere è ancora un po’ straniante

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

Action 3.0 

Ora che Sony pare aver capito che non poteva andare avanti con i coni gelato luminosi, posso dirlo: ce li siamo tolti di torno, e meno male. I nuovi controller di PlayStationVR 2, infatti, sembrano appartenere a una timeline diversa dai Move. Per progettarli si è di certo osservato il panorama dei loro simili per altri dispositivi di realtà virtuale. Non a caso assomigliano parecchio per ergonomia e struttura di pulsanti e sensori alle controparti del Quest 2.

Rispetto a questi ultimi, la batteria sembra essere stata sacrificata in favore di una maggior leggerezza e comodità, nonché per inserire più facilmente la vibrazione aptica. La precisione nel tracciamento e i sensori, giroscopio, rilevamento delle dita, sono pressoché equivalenti. Solo nel riconoscere alcune posizioni specifiche delle mani i nuovi controller del PSVR “fanno le bizze”, ma probabilmente si tratta di una situazione da gestire meglio via software, più che hardware. Lo stesso Quest non aveva dal lancio giochi che supportassero al meglio questa feature. 

In questo spin off il giocatore è chiamato ad avanzare in modo estremamente collaudato, superando sezioni platform, seguite da puzzle ambientali e poi combattimenti. Il twist non sta, cioè, nel “cosa”, ma nel “come”. Il platform diventa un’arrampicata su alti picchi svettanti, oltrepassando burroni profondissimi tenendoci appesi a una zipline, lanciando la nostra piccozza sulla roccia più tenera in modo che si conficchi, e possiamo aggrapparci a essa saltandole incontro. I puzzle, poi, richiedono di visualizzare il mondo con la mobilità consentita dall’immersione in un ambiente tridimensionale: in realtà, sono l’ambito in cui Horizon riesce peggio data la banalità generale della proposta cervellotica. E’ pur vero che non sono il focus principale, ma piuttosto intermezzi più rilassanti per depressurizzare un gameplay altrimenti super movimentato. 

Proprio nella concitazione dei combattimenti, nell’azione, risiede la massima espressione dell’Action 3.0 comprensibile solo a chi ha provato almeno una volta a giocare in VR. Ecco qualche highlight: usare le coperture chinandosi davvero, piuttosto che premendo un pulsante. Lo abbiamo già detto, ma anche il solo fatto di dover mirare usando uno skill set reale è incredibilmente soddisfacente. Qualche attacco a distanza lo si può persino schivare “rotolando” nella vita reale (fate attenzione al cavo però). Horizon Call of the Mountain sfrutta al meglio l’improvement qualitativo dei dispositivi di imput di PlayStationVR 2per aumentare ulteriormente la sensazione di immersione delle dinamiche action.

Prendere l’arco dalla schiena e incoccare le frecce estraendole dalla faretra diventa subito un gesto automatico e naturale, proprio come se sentissimo l’armamento penderci dietro le spalle. I sensori più precisi, poi, fanno il resto quando quelle frecce dobbiamo spararle su parti precise delle macchine da abbattere, valorizzando le giocate dei fruitori con la mira migliore e aiutando gli altri con una generosa distribuzione di salvataggi, cure e finestre di evasione molto ampie. 

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

Difficile o facile?

Horizon Call of the Mountain mostra dunque ancora i limiti di una piattaforma giovane, il PlayStationVR 2, che sfrutta una tecnologia ancora troppo poco normalizzata. Videogiocare in realtà virtuale non può essere la stessa cosa che farlo su schermo piatto, ma allo stesso tempo sarebbe ora che lo fosse. Non nelle dinamiche puntuali, quanto nell’intenzione di offrire un livello di sfida paragonabile facendo leva sulle abilità fisiche, più che su quelle prestidigitatorie. Sostituendo cioè l’essere abili con l’analogico, con l’avere una buona mira in un contesto quasi reale. Il che è possibile solo se i giochi dovessero cominciare a sfidare il player con avversari e situazioni in cui esplorare i limiti delle proprie capacità e superarli: proprio come accade nel resto del mondo videoludico. 

Perché ciò non accade? Specialmente in ambito action adventure, la maggioranza dei possibili interessati ancora non trova corrispettivi validi per passare dal 3D-2D al 3D-3D della realtà immersiva. Come vi ho già spiegato, Horizon Call of the Mountain fa un deciso passo in avanti, svelando cosa succede quando Sony in persona si rimbocca le maniche e sviluppa una delle avventure più “innovativamente tradizionali” tra tutte quelle sperimentate finora sulla VR.

Un gioco con tutti i crismi, che non vive di luce riflessa dalla saga principale, confermandone però i punti fermi qualitativi. Quindi, design delle macchine spettacolare e dettagliato, quasi ingegneristico, e un setting super evocativo. Infatti, non si ferma nemmeno di fronte alle complicazioni dello sviluppo in realtà virtuale e inserisce nemici con alta mobilità e parti distruttibili proprio come nell’Horizon originale. Nonchè, un sistema di crafting che ci fa provare cosa significa “costruire” i nostri armamenti davvero, piuttosto che scegliendo solo “cosa combinare”. In Call of the Mountain se volete una piccozza dovete trovarne tutte le parti e poi montarle manualmente con tanto di incastri e corda. 

Horizon Call of the Mountain PlayStationVR 2 Recensione

Il concetto di difficoltà nell’impasto VR va di sicuro esplorato ed evoluto, anche alla luce di problematiche come la “motion sickness”. Svolgere tutte le operazioni di cui sopra pensando che di fronte abbiamo avversari tosti come quelli dei videogiochi tradizionali, tenendoci la bocca dello stomaco per evitare di rigettare potrebbe non essere la migliore delle esperienze.

Horizon, così come la maggior parte dei titoli VR, offre alcuni tra i classici metodi di superamento del disturbo, come il tunneling del campo visivo (quando il personaggio si muove il campo visivo si stringe per ridurre l’impatto sull’equilibrio e sul senso di nausea), o il movimento tramite teletrasporto anziché libero. Aiutano a non stare male anche la risoluzione aumentata del visore e il focus selettivo su cosa stiamo guardando, che sfrutta il tracciamento oculare. Quest’ultimo consente di attuare una sorta di tunneling costante e silenzioso, che fa bene a chi accusa disturbi, e fa sentire ancora meglio chi non ne ha mai sofferto. 

Capirete che al di là della capacità degli sviluppatori, oltre la ricerca di bilanciamento generale e senza considerare i classici parametri di definizione del livello di difficoltà, una serie di “scogli” da abbattere impedisce la piena libertà di sviluppo. Che porterebbe, forse, a esperienze più impegnative, qualora ci si dovesse impegnare di meno a renderle “non fastidiose” per un bacino di utenza più ampio possibile. 

Horizon Call of the Mountain Recensione, scogli

Quando racconto cosa sia, per me, giocare in realtà virtuale molti non capiscono. Giustamente, direi: salire su una montagna e chinarsi sul vuoto sentendo un filo di vertigini e quasi accarezzando una lieve e fresca brezza sul volto, è una di quelle esperienze che vanno provate, per essere apprezzate davvero. L’accessibilità economica è il primo scoglio, dato che un visore VR con un PC a supporto spesso costa davvero troppo. Ovviamente, il Quest 2, per quanto economico, senza PC non si avvicina nemmeno lontanamente a Horizon, Call of the Mountain giocato su PlayStationVR 2. Pure se dovesse per assurdo funzionare su PC con Quest 2, non ho dubbi che Call of the Mountain non sarebbe bello come lo è su PS5. Il motivo? La macchina straordinaria che gli fa flettere i muscoli, proprio il visore PlayStationVR 2. 

Da questa breve premessa emerge un secondo scoglio ancor più alto: il confronto con chi la VR l’ha provata, e tanto magari, su altri dispositivi. Ma parlando di PlayStationVR 2 riesce a vedere solo l’ambiente console nel quale funziona. Pensando che quanto a potenza bruta non si può paragonare con il suo “master race”. Li capisco, ma lasciatemi dire una cosa. Ho completato la campagna di Call of the Mountain, dopo aver testato ogni visore VR. Dal Cardboard di Google, al primo PSVR. Persino, in occasione di qualche fiera, quei dispositivi a cinque cifre ad appannaggio solo di privati iperdotati e compagnie. PlayStationVR 2 riesce incredibilmente ad arrampicarsi molto più in alto del previsto, quanto a immersione e qualità della simulazione. Se non al pari delle configurazioni a cinque zeri, poco, molto poco sotto, per una cifra incredibilmente inferiore. 

Parte del merito va (e dovrà andare in futuro) al supporto software: a Horizon Call of the Mountain, nello specifico di questa recensione. Questo, proseguendo la metafora marittima, sarebbe il terzo scoglio, non meno irto dei precedenti. Basta un titolo di punta straordinario sotto tutti i fronti come Horizon a guidare verso l’acquisto di una periferica costosa? Dipende dalle tasche, certo, ma a ben pensarci le alternative su PC non sono poi tanto più allettanti. I titoli complessi esteticamente, graficamente, videoludicamente come Horizon si contano sulla punta delle dita. Sono costosi da realizzare, difficili da mettere in pratica, con infinite variabili da considerare. Senza contare che quando escono, rischiano di brillare meno di quanto meriterebbero, perché la periferica non è ancora diffusa. Pensate al duetto Moss e Moss Libro 2: capolavori non ancora scoperti di rara delicatezza e con una visione sul mondo action-puzzle rara. 

Quando racconto cosa sia, per me, giocare in realtà virtuale molti non capiscono. Non hanno giocato a Horizon Call of the Mountain, che rende chiaro perchè avere sul visore sue schermi oculari OLED che sommati restituiscono una visuale 4k HDR con campo visivo di 110 gradi non sia una follia inutile. Nei colori del mondo vibrante dove le macchine hanno riconquistato la natura, e la natura si è fusa con le macchine, c’è la visione verso il futuro di un nuovo modo di videogiocare. C’è Ready Player One, c’è Sword Art Online. C’è la traslazione non più così improbabile da “il videogioco è solo su monitor e un po’ su VR” a “il videogioco è solo VR e un po’ su monitor”.

Complici i feedback aptici di visore e controller, il peso ridotto dell’unità, la feature che rinfresca il viso quando giochiamo e non fa appannare le lenti. E poi, il tracking oculare, che alleggerisce il gioco renderizzando meglio solo ciò che guardiamo, e non tutti i succitati 110 gradi di gioco contemporaneamente. Ci tengo a ripeterlo: chiaramente non è tutto hardware quello che luccica. A brillare ancor più luminoso in questo scenario appena descritto è infatti  Horizon Call of the Mountain. Senza il quale il visore sarebbe solo un simpatico, ipertecnologico e promettente, soprammobile. Per questo auspichiamo un domani con tanti “Horizon” tutti diversi. Un domani videoludico diverso.

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