Cultura

I Changeling e l’Autismo: la curiosa storia dei Bambini delle Fate

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Come away, Oh human child
to the waters and the wild
with a faery, hand in hand
for the world’s more full of weeping
than you can understand
”.

William Butler Yeats, “The stolen child

Little girl and fairies  from: http://chezmarie.centerblog.net

 

Vi fu un tempo, in Irlanda, in cui le leggende sui leprecauni e sulle creature magiche erano all’ordine del giorno, così come all’ordine del giorno era la superstizione legata alla paura e al rispetto che gli uomini nutrivano nei confronti delle fate. Esatto, le fate, proprio loro: piccole creature che vivono nella natura, in piena notte danzano tra gli alberi circondate da uno sciame di lucciole e durante la festività di Belthane celebrano l’arrivo della primavera.

Margaret W. Tarrant (1888-1959)

A tutt’oggi, capita spesso di fare un viaggio in Irlanda, prendere parte a quei tour guidati per le valli del Boyne in mezzo alle tombe dei re celtici ed  ai boschi delle fate e sentirsi dire dalle guide turistiche: “Vi porterei volentieri in giro per i fairy trees, ma, se malauguratamente strappate un ramo di quegli alberi o lo calpestate, sarete maledetti per sempre dalle fate”. Eppure, anche volendo tener conto del  proverbio secondo cui: “If you mess up with fairies, fairies will mess up with you”, sono molte le persone che perlustrano i boschi e decidono di lasciare attaccati ai rami dei fairy trees dei fiocchi, laccetti o  biglietti, come se fossero ex voto in onore della magia, e allo stesso modo in molti acquistano souvenir da 25 o 40 euro che consistono in piccole porticine decorate da attaccare al tronco di un albero, come fossero l’ingresso delle case delle fate.

Fairy trees-immagine dal web

Qui in Italia, dove la cultura delle fate non è mai stata una prerogativa, risulta difficile credere che in Irlanda la costruzione dell’autostrada che porta da Limerick a Galway sia stata di recente interrotta per non intaccare i boschi delle fate. Ma perché così tanta paura di questi esserini microscopici da attuare addirittura misure di carattere politico e amministrativo di così grande portata? Che cosa temono di perdere, le persone, mettendosi contro queste entità? La risposta, tanto banale quanto inattesa, risiede in un’antica tradizione ed è la seguente: i bambini. Esatto: le persone temono di perdere i propri figli.

In passato, quando un bambino nasceva sano e poi crescendo perdeva qualche funzionalità, come ad esempio l’uso del linguaggio, o dimostrava dei disturbi del comportamento, così come quando moriva di morte prematura, gli irlandesi attribuivano la causa di questi accadimenti ad un rapimento che le fate avevano fatto dell’anima del piccolo, scambiandola per quella di un loro simile. Questi bambini scambiati venivano detti changeling e contribuivano, si pensa, ad incrementare la stirpe delle fate, nonché ad offrire a queste ultime il sangue umano necessario per aggiudicarsi un degno posto in paradiso.

Immagine dal web

I bambini di sesso maschile, in particolare, erano molto più richiesti delle bambine e proprio per questo i genitori usavano vestirli da femmine, con il preciso scopo di confondere chi li volesse rapire.

Nella storia mitologica irlandese, si narra che Fata Morgana fosse un caso tipico di “stolen child”, ovvero bambina rapita dalle fate (probabilmente da Viviana, Regina di Avalon nonché zia della bambina) e poi divenuta sacerdotessa ed erede al trono di Avalon insieme a suo fratello Re Artù. Il primo a scrivere qualcosa su questo tema fu il poeta Yeats, che nel 1889 pubblicò una poesia meravigliosa intitolata  Stolen child, dedicandola a tutti i bambini scomparsi o comunque mentalmente “rapiti” e spiegando che questa era stata una scelta delle fate di salvarli dalla crudeltà del mondo per condurli in un regno più adatto a soggetti deboli e buoni.  La cosa più interessante di questi raffronti fiabeschi e letterari è che ad oggi, in Italia, esiste un’associazione dal nome “I bambini delle fate” che si occupa di autismo, fondata proprio dal padre di uno dei ragazzini affetti dalla sindrome, che propone soluzioni  e raccoglie fondi per aiutare le famiglie con figli in tenera età. Questa associazione si fonda sulla consapevolezza che una percezione mentale differente del mondo non sia da ritenersi un disturbo, ma una caratteristica speciale che solo pochi bambini sviluppano e che permette loro di vedere cose che noi non vediamo e di approcciarsi ad una dimensione diversa che noi cognitivamente non riusciamo ad individuare; si tratta dunque di una peculiarità, per citare il famoso romanzo dal titolo Peculiar Children Miss Peregrine’Home (da cui poi è stato tratto il noto film “Miss Peregrine e la Casa dei Ragazzi Speciali”).

Miss Peregrine – foto dal web

 Malgrado dunque il nostro paese non abbia alle spalle una cultura fantastica a cui l’autismo e altre disabilità siano riconducibili, sembra stia nascendo una spinta propulsiva a favore di un approccio di curiosità e di sperimentazione nei confronti delle sindromi, cosa che invece non avviene nella stessa Irlanda, dove i ragazzini autistici o con Asperger sono tuttora soggetti a metodi coercitivi di apprendimento, nonché ad un’applicazione riduttiva del Metodo Aba, in base alla quale, ad ogni stimolo dato, il bambino è obbligato a rispondere nell’immediatezza  in maniera logica e univoca alle richieste che un tutor gli rivolge, allo scopo di ottenere un rinforzo positivo, ovvero un premio, altrimenti verrà punito con un rinforzo negativo. Le conseguenze dell’Aba sono spesso crisi isteriche e di pianto nei bimbi, spesso incapaci di scandire le parole per poter urlare il proprio dissenso, ma sono anche causa di orticarie, disagi alimentari, forme di mutismo selettivo e comportamenti iperattivi e maleducati, in quanto comprensibili reazioni alle forzature subite.

Il fatto, poi,  che nell’isola verde esistano ancora le scuole speciali (che sicuramente non furono fondate sul modello accogliente e cinematografico della casa di Miss Peregrine) rende ancora più difficile ogni forma di confronto tra gli studenti autistici e quelli definiti “normali”. Il “Progetto Tartaruga, portato avanti dall’Isituto Ido di Ortofonologia di Roma e dall’Ospedale della cittadina inglese di Manchester, smentisce categoricamente questo approccio sul modello irlandese e sta nel tempo  contribuendo a  notevoli progressi per molti di questi ragazzi. A quanto risulta dagli studi di questi due centri, le bambine sottoposte al Progetto Tartaruga risultano più capaci di fingere e di “camuffare” la propria diversità, dimostrando una partecipazione linguistica e comunicativa maggiore rispetto ai loro coetanei maschi e questa cosa curiosamente rispecchia, in ambito scientifico, quella che in ambito immaginario si diceva fosse la preferenza delle fate per i bambini maschi, più docili e più propensi a lasciarsi trascinare verso un mondo visionario.

Ribadendo l’esigenza di un approccio quanto più affettuoso e comprensivo possibile nei confronti dei bambini con questi tipi di caratteristiche e sostenendo l’esigenza di un accompagnamento affettivo nei confronti dei loro genitori, i medici dell’Istituto Ido dimostrano come  molto spesso l’applicazione cieca e indistinta di regole e procedure suggerite da docenti di sostegno e specialisti dell’autismo non sia che un’arma a doppio taglio per quei piccoli sognatori con Asperger o autismo, obbligati ora a formattare la propria mente e a non poter distrarsi mai durante una lezione in classe, perché altrimenti l’insegnante si arrabbierà e non darà loro un cioccolatino chiamandoli “good boy” o “good girl”.

Alla luce di ciò, sorge spontaneo domandarsi se il fatto di essere mentalmente rapiti dalle fate sia davvero più pericoloso, oggigiorno, che essere riportati alla realtà contro la propria volontà. Perché laddove noi vediamo un ragazzino che si dondola su una sedia, incantato, e fissa un muro, mentre noi gli urliamo contro a  richiamare l’attenzione, può darsi che egli abbia di fronte ai propri occhi l’intera città di Avalon e noi, semplicemente… “Another brick in the wall”.

 

Giorgia Maria Pagliaro

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