I migliori difensori centrali italiani degli ultimi trent’anni

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Di Redazione Metropolitan

Quando si parla di calcio italiano all’estero, sentirete spesso rispondervi con una parola considerata, dai più, dispregiativa: “catenaccio”. Una nomea, ad onor del vero, che è stata nettamente smentita dal recente successo della Nazionale di Roberto Mancini, che ha vinto i recenti Europei esibendo un gioco propositivo ed armonico, senza rinunciare alla cura della fase difensiva.

Non c’è alcun dubbio come sia stato fondamentale l’apporto del duo Chiellini-Bonucci, solida coppia difensiva di una squadra che ha fatto innamorare gli italiani. Dietro loro, però, sembra mancare un ricambio generazionale all’altezza: se possiamo contare su giovani talenti dal futuro radioso a centrocampo e sugli esterni alti, non si può dire altrettanto per quanto concerne i centrali difensivi.

La grande scuola difensiva italiana

Eppure, la scuola calcistica italiana ha sempre sfornato dei grandissimi difensori centrali, che, non di rado, hanno fatto le fortune della maglia azzurra. Basti pensare, ad esempio, all’indimenticato Gaetano Scirea e al roccioso Claudio Gentile, tra i protagonisti principali della vittoria del Mondiale del 1982. Guardando agli ultimi trent’anni, però, sono stati tre, a nostro giudizio, i difensori centrali restati nel cuore degli italiani.

Le esclusioni eccellenti non mancano. Non abbiamo incluso, ad esempio, Paolo Maldini, che fino alla fine degli anni ‘90 ha giocato terzino prima di imporsi come difensore centrale, probabilmente il più grande difensore italiano nella storia del nostro calcio, oltre ad altri come Giuseppe Bergomi (anch’egli riciclato difensore centrale dopo tanti anni di scorribande sulla fascia destra), Billy Costacurta o Marco Materazzi.

Franco Baresi, simbolo del Milan e della Nazionale di Sacchi

Se pensiamo agli anni ‘90, il difensore centrale che, con ogni probabilità, è restato maggiormente impresso agli occhi degli sportivi italiani è stato Franco Baresi, autentica bandiera rossonera, primo calciatore italiano a fregiarsi del vanto di veder ritirata la propria maglia non appena appesi gli scarpini al chiodo.

Cresciuto a Travagliato, importante centro della bassa bresciana, Baresi approdò nel settore giovanile del Milan dopo essere stato scartato dall’Inter. In maglia rossonera riuscì ad imporsi sin in tenera età, restando al fianco del Diavolo anche negli anni bui della Serie B. Dopo alcune positive stagioni con Liedholm, fondamentale per apprendere i segreti del calcio a zona, Baresi divenne l’anima e il cuore del Milan di Sacchi, che conquistò il mondo con un gioco sfavillante ed estremamente organizzato.

La sua capacità di guidare la difesa, chiamare il fuorigioco come nessun altro nella storia del calcio, lo hanno reso celebre in tutto il mondo. Baresi dimostrò la sua grande caparbietà durante i Mondiali del 1994, che disputò con la fascia di capitano al braccio. Dopo essersi infortunato al menisco, la leggenda rossonera recuperò a tempo di record (25 giorni) per essere in campo nella finale contro il Brasile, dove dimostrò la sua grandezza di spirito anche nel momento in cui, purtroppo, fallì il calcio di rigore.

Fabio Cannavaro, l’emblema di quell’indimenticabile estate del 2006

Negli anni ‘90, in quel di Napoli, cresceva uno scugnizzo che regalerà, da protagonista, una grande gioia a tutti noi italiani: Fabio Cannavaro. La società partenopea, a quei tempi, non era competitiva ai massimi livelli: dopo gli sfavillanti anni di Maradona, Ferlaino aveva deciso di stringere i cordoni della borsa. Fabio, quindi, passò in quella che, all’epoca, pareva essere la società maggiormente attrezzata ad interrompere il dominio delle tre big del calcio italiano: il Parma.

In terra emiliana, Cannavaro disputò ben sette campionati, raccogliendo 291 presenze ed indossando per lunghi anni la fascia da capitano, oltre a vincere i primi trofei della sua superba carriera: due Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e una Coppa UEFA. Ad un’età, calcisticamente parlando, ormai matura, Cannavaro passò all’Inter, dove disputò una stagione sottotono, prima di volare a Torino e Madrid per vincere Serie A e Liga.

Nella mente di tutti gli italiani, tuttavia, l’immagine di Fabio Cannavaro è legata indissolubilmente all’estate del 2006, quando trascinò gli Azzurri alla vittoria del Mondiale ed alzò al cielo, alla centesima presenza in Nazionale, la Coppa del Mondo. La maggiore soddisfazione personale avvenne da lì a pochi mesi, quando ricevette il Pallone d’oro direttamente dalle mani Monica Bellucci, simbolo dell’italica bellezza al pari di alcune ragazze di Simple Escorts Italia.

Alessandro Nesta, fedele compagno di mille battaglie

Durante la sua lunga militanza in Nazionale, il compagno di reparto di Cannavaro è stato, spesso, Alessandro Nesta. Una coppia, Nesta-Cannavaro, probabilmente senza eguali nella storia del calcio italiano, che ha consentito alla nostra Nazionale di ben figurare ai massimi livelli per svariati anni. Cresciuto a Roma, sponda biancoceleste, Nesta diventa presto capitano della Lazio, con la quale vince un epico scudetto nel 2000, grazie al fondamentale contributo di Alessandro Calori nel catino di Perugia.

“Costretto” a migrare in quel di Milano per i problemi finanziari che iniziavano a mettere a repentaglio la vita del club romano, emblematica, in tal senso, la conferenza stampa al fianco di Galliani in cui Nesta pareva totalmente spaesato e per nulla felice, riuscì a vincere la Champions League al primo anno in maglia rossonera. Solo un primo assaggio dei tanti successi ottenuti con la società lombarda, che gli consentirà di mettere in bacheca un’altra Champions, due Supercoppe Europee, un Mondiale per Club, due Scudetti, una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane.