Sullo sfondo di un sobborgo fatiscente della Manchester anni ’70 si svolge l’ordinaria vita di provincia di un ragazzo con ambizioni artistiche strette nella morsa della routine. La spinta della dea Fortuna prende forma sulle note di uno storico live dei Sex Pistols nel 1976. È l’inizio di un sogno dolceamaro narrato dalla voce di Ian Curtis.
Ian Curtis – Il mito involontario
Quanto abbiamo letto – e quanto ancora leggeremo – sulla storia dei Joy Division e sul solco che hanno tracciato per lo sviluppo del filone musicale dark anni ’80? Tanto, perché di loro tanto si è scritto e parlato nel tentativo di coglierne un’essenza ormai impossibile da imbottigliare, sfuggita insieme a Ian nella notte del 18 Maggio 1980.
Eppure questo tragico evento che ha costituito il mito sia della figura di Ian Curtis che dell’intera band non è stato romanticizzato volontariamente dall’interno o dalle figure che ruotavano intorno ai Joy Division anche se la sacralità di questo mito va solo ad aumentare ad ogni anniversario.
I testi sempre più oscuri che si intrecciano alla crisi esistenziale di Ian, una crisi che tutti, a partire dai compagni di band, comprenderanno solo a posteriori; le linee di basso indimenticabili ed impetuose di certi brani (“Disorder“, “She’s Lost Control“, “Isolation” per citarne alcuni); le chitarre dal suono limpido e marcato; la batteria che talvolta aggrava la drammaticità della melodia, altre volte determina un ritmo vorticoso, pericoloso in cui perdersi. Tony Wilson che scopre la band rendendola poi la punta di diamante della sua Factory Records; il produttore visionario Martin Hannett che ha trasformato con le sue mani quelle canzoni scolpendole in atmosfere ascese immediatamente in una dimensione intoccabile da chicchessia negli anni (e nei decenni) a venire. In un certo senso infatti, come afferma la giornalista Liz Naylor, i Joy Division sono stati anche un gruppo ambient: pensate ad “Atmosphere” ad esempio, o al sentore funereo di “Closer“.
Joy Division – L’intreccio con la vita di Ian
Se il mitico “Unknown Pleasures” (1979), l’iconico primo disco la cui copertina è ancora oggi sfoggiata più o meno consapevolmente dai ragazzi sulle T-shirt, trafigge per l’oscurità del sound e diventa il disco fondamentale del post punk, il secondo ed ultimo album, “Closer” (1980) ha già contorni gothic rock. Questo in concomitanza di un’evoluzione della band trascinata da Curtis, quel ragazzo tanto timido e riservato nella vita quanto magnetico sul palco. Dai Warsaw, primo nome della formazione che ricalcava il punk degli adorati Sex Pistols ai Joy Division: una produzione musicale che non può prescindere dal vissuto personale di Ian.
Divoratore dei dischi di David Bowie e Iggy Pop da adolescente, sensibilità rara nella scrittura di poesie, un matrimonio a 19 anni ed una figlia a 22, una diagnosi di epilessia e di bipolarismo ed una relazione extra-coniugale tormentata con la giornalista Annik Honoré iniziata durante un tour sono infatti l’altra parte degli elementi fondamentali della storia dei Joy Division.
Questa è la parte cieca della storia, quella che ha formato e poi distrutto Curtis senza che le persone intorno a lui se ne rendessero davvero conto. La “danza epilettica” che il cantante sfoggia sul palco per esorcizzare questo suo problema forse lo ha reso meno grave anche agli occhi di Hook, Sumner e Morris.
Inoltre i rimorsi per gli errori nella vita sentimentale e la depressione diventano chiari solo nei testi, nessuno immagina quanto sia personale il tormento cantato da quella voce baritonale, da quelli occhi gentili ma glaciali, al punto che i suoi amici e compagni nei Joy Division pensano che si tratti solo di un’estrema sensibilità e capacità di scrittura.
Acqua sul fuoco
Lo strato visibile e quello invisibile della fortuna dei Joy Division accendono un fuoco che potrebbe avere dimensioni vaste, un fuoco che ha già incendiato Manchester e che li sta lanciando verso palchi internazionali grazie al tour americano che sarebbe iniziato alla fine di Maggio del 1980, ma Ian Curtis si sta bruciando con quel fuoco. Schiacciato dai sensi di colpa verso la moglie Deborah, con una depressione lacerante ed attacchi epilettici ormai invalidanti, conscio di un potenziale enorme successo di cui sente già la pressione, il cantante si toglie la vita a soli 23 anni impiccandosi nella casa di Macclesfield la notte del 18 Maggio 1980, proprio il giorno prima di partire per il tour americano, lasciando un biglietto alla moglie da cui ormai si sta separando. La celeberrima “Love Will Tear Us Apart” racconta proprio dei problemi tra Ian e Deborah.
Così facendo, Ian Curtis ha gettato acqua su quel fuoco, ma evidentemente non abbastanza da spegnerlo ed anzi alimentandolo, rendendo il suo nome e quello dei Joy Division indimenticato dai primi fan ed eterno per chi non ha avuto la fortuna di viverli durante la loro breve, mitica storia.
Francesca Staropoli
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