David Bowie. Bob Dylan. Joni Mitchell. Franco Battiato. Paolo Conte. I Beatles: tutti questi nomi hanno una cosa in comune, quale? Se, leggendo, avete pensato alla musica, avete ragione ma la risposta corretta è “Anche, ma non solo!” I personaggi citati, infatti, non sono (stati) solamente grandi protagonisti della storia musicale italiana e internazionale, bensì, a un certo punto della loro esistenza, hanno trovato un modo nuovo di comunicare, vale a dire, dipingendo. Di recente, a prendere parte di questo prestigiosissimo “Art Club” è stato anche Paolo Bruni, meglio conosciuto come Pau, il famoso frontman dei Negrita. Ed è proprio con lui che abbiamo scambiato quattro chiacchiere, conservate nella nostra intervista.

Pau Bruni e le sue “ICONS”, in mostra a Roma: la nostra intervista

Pau Bruni Negrita - Ph © Emanuela Bonetti

E’ nel silenzio sacro di Via Margutta, vicolo parallelo alla ben più trafficata Via del Babuino, precisamente al numero civico 102, che è locata la piccola ma preziosa galleria d’arte contemporanea “Monogramma“, appartenente al signor Giovanni Morabito, dove Pau esporrà fino al 30 giugno la sua mostra, “ICONS. Pau e il suo Kaos creativo di scorta“, inaugurata il 15 giugno. L’esposizione è caratterizzata da colori elettrici, icone della pop culture e soprattutto, una moltitudine di tecniche di realizzazione. E’ sorprendente come, a seconda del soggetto protagonista di ciascuna opera, Bruni sia in grado di attribuirgli una nuova personalità, identificandola con i procedimenti adoperati e padroneggiati abilmente: così, non saremo più in grado, all’interno di quel mondo visivo, di pensare Keith Richards sconnesso dal marker e dalla stampa su tela, oppure, Mickey Mouse lontano da uno stile indio minimal e dall’acrilico.

La scelta di determinate tonalità cromatiche non appare assolutamente casuale: quei blu spiccati, quei rossi, o semplicemente, un rosa inaspettato in un mare di bianco e nero, non servono solamente ad attirare lo sguardo del visitatore, ma piuttosto, a dare una scarica vitale alle rappresentazioni, scuotendole. Questo dettaglio è rivelatore del carattere creativo di Pau, il quale, così operando, mostra la sua natura mai banale, ironica e perspicace.

Pau Bruni e il suo atto politico, tra arte e musica: l’intervista

Seduti su di un gradino qualunque nel pieno centro di Roma, abbiamo fatto qualche domanda a Paolo Bruni circa questa sua nuova esperienza artistica, a cui, ha risposto così.

MM: Tutti quanti ti conosciamo come il vocalist dei Negrita, storica band nostrana, ma a quanto pare non sei né il primo, né l’ultimo musicista che, a un certo punto della sua carriera, decide di darsi all’arte visiva e di comunicare con un altro mezzo artistico. Come hai maturato questa scelta? La musica non ti bastava più? Ti domando, inoltre, del titolo della tua mostra, “ICONS. Pau e il suo Kaos creativo di scorta”. Perché proprio Kaos?

PB: Questo è un sottotitolo che mi porto dietro fin dalla prima mostra che ho fatto nel 2021, a Cremona. Essendo un artista figurativo oltre che musicista, mi sono ritrovato durante il periodo del Covid a cercare una via di fuga creativa, per non impazzire, che non fosse la musica, dato che in quel momento risultava impossibilitata. Dunque, per questa ragione, dato che sono arrivato a questa attività dopo i cinquant’anni, avendo frequentato prima l’istituto d’arte e poi architettura, ho sperimentato moltissime tecniche artistiche e moltissimi stili quando ero ragazzo, prima di fare il musicista, accorgendomi così di aver accumulato, durante tutti questi decenni, tantissime esperienze ma anche osservazioni, diciamo analisi del campo dell’immaginario, della rappresentazione pittorica, ma non solo. Queste cose si sono sedimentate in me per poi fuoriuscire violentemente durante il primo lockdown.

Siccome non è il mio principale lavoro, ho ben pensato di non indossare paraocchi, di non avere limiti. Non mi sono posto paletti. Ho pensato “Se sto cercando un modo per sfogare la mia creatività durante il lockdown, stiamo già vivendo entro dei paletti obbligati, figuriamoci se a questo punto mi do dei limiti… Ma quando mai!” Così ho cominciato a fare di tutto e fare di tutto significa interessarmi di disegno. In primis perché ho ricominciato un po’ dalle basi accademiche, con le nozioni anatomiche apprese alle superiori. Ovviamente, negli anni, con la musica, sono sempre stato interessato alle copertine degli LP, dei vecchi vinili, ai manifesti che hanno messo in gioco grandissimi artisti con quella psichedelia di San Francisco, tipica della fine degli Anni ’60 e da cui restavo molto affascinato. Oltre a ciò, sono anche intagliatore, intarsiatore, ebanista, restauratore ligneo, quindi, quando dopo tanti anni ho rivisto un pannello di linoleum, ho esclamato “Wow, non l’avevo più inciso… Ora ricominciamo, anche, a incidere!” Ho fatto la stampa casalinga, dopodiché sono andato a fare stampe in delle stamperie importanti: lavoro con una stamperia del 1799 a Città di Castello, in provincia di Perugia. Insomma, ripeto, in questi tre anni non mi sono limitato su nulla. Sto pensando addirittura a fare qualcosa in scultura. Ecco perché, “Kaos creativo”. Per questo motivo, perché un Kaos veramente, una sorta di bazar in testa creativo che non mi fa annoiare affatto.

Pau Bruni, l’intervista: le icone della sua vita

MM: Hai dipinto, secondo alcuni parametri eclettici e indomiti della pop art, i volti di alcuni Dei sacri dell’Olimpo musicale, che sembrano rimarcare la tua appartenenza lavorativa, ma non solo. Raccontaci la genesi che c’è dietro alla tua mostra.

PB: In realtà la mostra si chiama “ICONS” perché, fondamentalmente, tratto le icone. Dalle icone musicali, cinematografiche, a un’icona importante per la mia cultura perché, fin da ragazzino, ho un ricordo netto: tutte le domeniche, andavamo a pranzo dai nonni materni che mi facevano trovare regolarmente il nuovo numero di “Topolino”. Io sono cresciuto con i fumetti partendo da “Topolino”, come tanti altri della mia generazione. Quest’anno si celebrano i 100 anni di Mickey Mouse e vi ho dedicato un bel po’ di tele, tre precisamente, con una tecnica particolare che ho mutuato dagli aborigeni australiani che fanno per lo più astratto mentre io l’ho fatta diventare figurativa. Infine vi è quest’ultima parte che vede protagoniste tre sante, la Santa Suerte che è la Dea Fortuna che ho usato durante la pandemia, un po’ per esorcizzarla: tra il serio e il divertito, ho preso la Dea Fortuna, una divinità di epoca romana, e l’ho incrociata con quelle Madonne seicentesche, barocche, per creare questa nuova divinità affinché in qualche modo combattesse la pandemia.

Tra l’altro, la Dea Fortuna è anche protettrice degli appestati, trovando così delle similitudini con quel periodo. In più, ho portato anche quelle che si chiamano “Sante Libertà Negate”, con il sottotitolo “Penso spesso a George Floyd” perché mi era rimasto molto impresso tra le varie disgrazie che la polizia americana ha inflitto nei confronti degli afroamericani. Ho così preso, ironicamente, la corona della Statua della Libertà e applicata a una ragazza nera, i cui tratti modificati appartengono a Rihanna, per dimostrare l’ipocrisia di alcune culture occidentali, come la nostra ad esempio, che finché una persona nera è multimiliardaria ha le porte aperte, ma, nel momento in cui questa diventa una popolana, rischia di beccarsi manganellate in testa o addirittura di morire come è accaduto a un quattordicenne, due giorni fa. Dunque, queste due opere raffigurano delle icone a sfondo sociale. Si rifanno, anche tecnicamente, più alla street art che alla pop art, volendo così cimentarmi anch’io in questo tipo di soggetti critici con un atteggiamento da street artist, anche se è all’interno di una galleria: ho ricreato gli intonaci su una tavola di legno o su una tela però in studio, perché non ho più l’età e la voglia di andare in giro a dipingere di notte e sfuggire alla polizia municipale, come facevo da ragazzino con lo skate, da vandalo. Adesso sono un padre di famiglia, per questo faccio street art indoor. E’ un nonsense che mi piace.

“L’atto creativo è spesso ricerca”

MM: Sicuramente, sarai legato a tutte le tue opere ma, ce n’è una a cui sei più legato? E perché?

PB: Faccio fatica a rispondere anche perché, la realizzazione di queste opere è stata molto concentrata quindi devo dire di no. E’ un po’ come se mi facessi questa domanda per la musica, non ti risponderò mai. “Ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja”.

MM: Ti senti un comunicatore diverso quando sei Pau che dipinge rispetto a quando sei Pau che canta?

PB: Non saprei, la fonte è la stessa dunque è impossibile, per me, suddividermi in tante caselle diverse. E’ ovvio che no, ma poi c’è una realizzazione, una messa in pratica delle idee, quindi alla fine il messaggio può darsi che arrivi anche in maniera abbastanza diversa a come arriverebbe attraverso la canzone. Certamente però, chi conosce i Negrita, vedendo questi quadri non rimane troppo sorpreso.

MM: Quando crei, come avviene l’atto creativo in sé? Nel mentre, ascolti musica?

PB: L’atto creativo è molto spesso ricerca, quindi va da sé che osservo molto, ricerco molto. Penso che, in questo momento, l’artista contemporaneo sia facilitato rispetto a trent’anni fa, perché adesso abbiamo la fortuna di avere il materiale digitale, nel senso, bastano quattro click per arrivare ovunque. Se stai cercando una cosa, la trovi. Prima per cercare una cosa, dovevi alzare le chiappe e andarla a vedere… Voglio dire, sono stati fatti dei gran tour da tutta Europa, da tutto il mondo, per venire qui a Roma. Gli artisti internazionali arrivavano dal Nord Europa, impiegando molto fisicamente, mettendosi in viaggio e arrivando in loco. Oggigiorno abbiamo la comodità di poter prendere un computer, un Ipad o un telefono per avere a disposizione tutto il materiale che ci interessa in quel momento.

Compiere una raccolta è semplicissimo, basta uno screenshot per arricchire una cartella utile per il proprio iter di ricerca. Spesso, comunque, ascolto musica nel mentre. Soprattutto durante il lockdown, lì era immancabile, anche perché era la fase di passaggio: stavo passando dall’essere solo musicista a essere musicista pittorico. A casa, non avendo molto spazio, ho adattato una stanzetta piuttosto piccola dove di solito faccio musica, in cui per l’appunto tengo qualche strumento, computer, mixer, casse e via dicendo, deputandola anche a mio atelier. Va da sé, quindi, che lì avevo anche il mio materiale musicale. Diciamo che Spotify ha lavorato molto in quei mesi ma, pur utilizzando la musica, qualche volta non la sento. Sono totalmente immerso in qualche idea nuova da non sentirla e a quel punto, non la cerco. Però, quando faccio ricerca o faccio delle prove, degli sketch, mi aiuta molto: mi mette in armonia con l’ambiente, con lo spazio e anche con il tempo. L’armonia è fondamentale.

L’arte la musica ed i Negrita

MM: Cosa ti piacerebbe suscitasse la tua mostra in chi la ammira?

PB: Non lo so, così come con la musica. In primis, certe cose le si fanno per sé stessi. Per comprendere quanto si stia scavando a fondo, dentro di sé. Se le cose che si stanno tirando fuori siano oneste, vere e sentite. Quello che poi si produce negli occhi degli altri, non lo sai. Mi piacerebbe che non sembri solo un capriccio, credo sia naturale. Spero che da queste tele fuoriesca quello che, in tante persone, hanno suscitato le canzoni dei Negrita, quindi emozione. Suscitare un’emozione che possa essere anche di rigetto, non necessariamente solo di elogio: qualcuno, vedendo una “Santa Libertà Negata”, potrebbe affermare di non concordare con me, aprendo così un confronto. Se lascia indifferenti, la missione è fallita. Sia nel bene che nel male.

MM: Quando si parla con te, è impossibile non nominare anche loro: i Negrita. Quanto ti supportano in questo progetto?

PB: In realtà, poco: nel senso che, queste sono attività collaterali che ognuno di noi ha. Anche Drigo disegna, ha iniziato addirittura prima di me, rappresentando i giorni che i Negrita trascorrevano in giro per il mondo, come quando siamo stati in Brasile. Cesare, invece, aggiusta giradischi anni ’80, fa modernariato. Ognuno di noi ha delle attività collaterali per momenti come quelli di cui ho parlato. Ognuno lascia fare agli altri ciò che vuole, perché, fondamentalmente, è il nostro tempo libero fuori dai Negrita, da gestire come preferiamo.

MM: Prossimamente, dopo due anni di fermo, ripartirete in tour. Come ti senti all’idea e cosa ti aspetti?

PB: Sono un po’ preoccupato, (ride). L’ultimo tour l’abbiamo iniziato nel 2021 ed è terminato a luglio, ma è dal 2019 che suoniamo nei teatri. L’ultimo tour elettrico, tenuto nei palazzetti, risale al 2018. Quello nei club, addirittura, al 2016. Io avevo un’altra età, quindi, mi preoccupa un po’ la tenuta sul palco, dato che i club sono uno degli ambienti più torridi in cui esibirsi. Ho un po’ “paura” perché sono fuori allenamento ma ho iniziato ad allenarmi per recuperare entro il 30 settembre, data di inizio del tour.

Articolo di Valentina Galante

Immagini di © Emanuela Bonetti

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