Le Iene, le origini del pulp tarantiniano

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Di Redazione Metropolitan

Le Iene” indossano tutte un completo nero ma si fanno chiamare con fittizi nomi riferiti ai colori, chiacchierano continuamente del più e del meno frattanto che debbono preparare una rapina, e sono amanti nostalgici di musica pop-rock anni Sessanta. Era il 1992 e Quentin Tarantino, qui acconciato come Mr. Brown, in un magazzino in periferia di Los Angeles, stava per dare il via alla stagione del pulp con il suo primo film: “Reservoir Dogs“, “Le Iene” per noi italiani.

Le Iene
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Trama in sintesi

La storia delle iene è molto semplice: sei rapinatori, Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Orange (Tim Roth), Mr. Blonde (Michael Madsen), Mr. Pink (Steve Buscemi), Mr. Brown (Quentin Tarantino) e Mr. Blue (Edward Bunker), vengono assoldati dal boss Joe Cabot (Lawrence Tierney) e da suo figlio Eddie il bello (Chris Penn) con lo scopo di organizzare un colpo. Il furto, tuttavia, finisce male e tra gli otto protagonisti inizia a serpeggiare l’idea che qualcuno abbia tradito i propri sodali chiamando la polizia.

Continui flashback ci mostrano come i vari rapinatori fossero stati assoldati, svelando che la talpa fosse proprio Mr. Orange, colui che era stato brutalmente ferito dalla polizia. Le varie accuse di tradimento tra i membri, generano una sorta di mexican standoff che si conclude con la morte di tutti i protagonisti eccetto Mr. Pink, il quale, fuggito con la refurtiva, è presumibilmente assassinato dalla polizia fuori del magazzino.

Le Iene
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Analisi

Come detto, “Le Iene” fu il debutto di Tarantino dietro la macchina da presa e, benché negli anni il film sia passato immediatamente dietro al suo successore “Pulp Fiction” (1994) quando, appunto, si parla di pulp, non ci si deve dimenticare che fu proprio il primo lungometraggio a introdurre tutte le caratteristiche care al regista del Tennessee.

Per prima cosa, i dialoghi barocchi, pieni di orpelli, di turpiloquio e di riferimenti alla cultura pop, sono visibili già dalla primissima e indimenticabile scena, dove gli otto protagonisti discutono di mance e della musica di Madonna, introducendo anche “K-Billy SuperSound“, la stazione radio che trasmetterà tutti i brani di provenienza anni Sessanta-Settanta che accompagneranno le scene del film.

Le Iene
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La violenza gratuita, il sangue, il turpiloquio, l’uso di diverse analessi inserite nei più disparati momenti, sono tutte caratteristiche che contraddistingueranno la cinematografia di Tarantino negli anni venturi. E’ forse per questo che bisognerebbe trattare “Le Iene” come il film pulp per eccellenza, ancor più di “Pulp Fiction”, e la ragione sta nel concetto alla base.

Il pulp

Per chi non ne fosse a conoscenza, infatti, il pulp era una corrente letteraria statunitense che ebbe il proprio lustro intorno agli anni Venti-Trenta. “Pulp”, ossia “polpa”, indicava il materiale con cui venivano stampate – la polpa del legno era considerata abbastanza grezza per fare la carta -, pertanto, in linea con la sua piattaforma di fruizione, le storie raccontate erano: grezze, aggressive, sboccate, violente e, soprattutto, rese il più possibile accattivanti per un target generalista.

Per tale ragione, “Le Iene”, a differenza di “Pulp Fiction”, assume un concetto molto più vicino alla radice del pulp: è realizzato con un bassissimo budget ed è confezionato appositamente per intrigare il fruitore medio e non solo l’appassionato di film di gangster. “Pulp Fiction”, pur portando al massimo l’estetica di quegli schemi, non possiede comunque il fascino brullo e ruspante del proprio padre spirituale.

Le Iene
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La violenza espressa da Tarantino in “Le Iene” è quasi sadica, ingiustificabile. E’ nata per affascinare, per destare scalpore e, a tratti, disgusto nel pubblico. “Le Iene” non vuole esaltarne l’estetica come farà “Pulp Fiction”, bensì vuole mettere in scena la pura e ingiustificata crudezza della società. La celeberrima scena in cui Vic Vega/Mr. Blonde taglia l’orecchio al poliziotto è diventata l’emblema della primo Tarantino, poiché, in essa, senza mettere in luce le devianze mentali di Zed cui si assiste in “Pulp Fiction”, si lasciano spazi aperti a svariate interpretazioni. La sua incompletezza, l’humour nero che si percepisce in essa – e in tutto il film -, sono dei perfetti catalizzatori della comunicazione tarantiniana.

Influenze

Avendo citato le riviste pulp, bisognerebbe fare un dovuto salto indietro agli svariati riferimenti cinematografici che Tarantino ha disseminato qui e là negli anni. Ormai è noto come il cineasta di Knoxville abbia preso a pieno mani dal cinema di serie B degli anni Sessanta e Settanta. La maggior parte di quelle pellicole, servendosi degli stessi stilemi delle riviste pulp, cercavano di racimolare qualche spicciolo puntando tutto sulla violenza esplicita e sul sesso. Tuttavia, ciò che più di tutti caratterizza “Le Iene” – e in parte tutte le sue opere successive – è il suo continuo rifarsi al cinema “pop” italiano.

Gli spaghetti-western

Chiunque, infatti, riconosce negli spaghetti-western della prima metà degli anni Sessanta – il mexican standoff finale ne è un esempio perfetto -, la foce dalla quale l’autore ha bevuto maggiormente; ciononostante non andrebbero mai dimenticati i poliziotteschi degli anni Settanta, ossia i film polizieschi di Umberto Lenzi, Fernando Di Leo e Sergio Corbucci.

Il poliziesco all’italiana

L’intera atmosfera che si respira in “Le Iene”, infatti, ricorda parecchio quella del poliziesco all’italiana, riutilizzando diversi codici estetici e narrativi. Un’atmosfera che Tarantino levigherà negli anni successivi, amplificando elementi come lo humour nero che qui, invece, risulta molto più cinico di quanto in seguito saremo abituati a vedere.

Le Iene
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Conclusioni

“Le Iene”, nei cuori del pubblico generalista, difficilmente riuscirà a raggiungere l’Olimpo nel quale si ritrovano “Pulp Fiction” o i “Kill Bill“, tuttavia, dando un’occhiata al concetto con cui è costruito, esso rappresenta forse il film più puro di Tarantino: quello nel quale egli riesce a esprimere appieno ogni suo riferimento e, soprattutto, ogni sua idea fondante. Perché, eliminando tutti i codici che egli mise in scena già in questa sua opera prima, rimarrebbe una storia piuttosto comune al genere gangster – e ben lontana dalla soddisfazione che avrebbero dato le complesse trame delle tre opere succitate -, ma la grandezza dell’autore sta proprio lì: nel prendere un soggetto semplicissimo e raccontarlo in modo brillante, quasi leggendario.

MANUEL DI MAGGIO

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