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Ottobre 22, 2024, martedì

Il Body shaming non si declina solo al femminile, è universale

Raramente mi capita di entrare su Facebook e fare particolarmente attenzione ai post che vengono pubblicati, un po’ perché è diventato un social poco dinamico in cui non riesco ad identificarmi più: invaso da una generazione che non mi rappresenta, tutte le volte che “scrollo” inconsciamente la home, ho la sensazione di trovarmi ad una classica cena di famiglia; un po’ perché, di riflesso, ho cercato una ‘nuova’ dimensione e dunque la mia tendenza è quella di trovare più interessanti i contenuti di altre piattaforme: talvolta uguali ma proposti in forme più ‘accattivanti’, talvolta semplicemente più vicini ai miei parametri. Non molto tempo fa, però, in uno di quei momenti in cui visitavo la home a mo’ di roulette, il mio pollice si è bloccato su un post di Freeda raffigurante l’illustrazione di due uomini: a sinistra uno “in forma”, con su scritto “attraente”, a destra uno un po’ più in carne, mostrato leggermente di lato per evidenziarne la “panzetta”, ma comunque “sempre attraente”. In didascalia, infatti, si scriveva “Basta col bady shaming maschile“. Un basta categorico, sottolineato dall’assenza di “faccette” con cui si tende sempre di più ad esprimersi, e la cui assenza, appunto – così rara – denota quasi una certa ‘serietà’. I commenti non erano propriamente seri però. Solo qualcuno provava a lanciare messaggi solidali o di “insegnamento” su come bisognerebbe rapportarsi ai ‘difetti’ corporei. Tutti gli altri sembravano anzi divertiti. Qualche donna difendeva l’uomo a destra, definendo la “panzetta” più affascinante, mentre altre mettevano in dubbio l’esistenza stessa del body shaming maschile. In questo frangente ho capito che potevo chiudere l’app e fare altro. Ad esempio approfondire l’argomento. Perché in effetti il body shaming, fino a poco tempo fa, è stato sempre declinato al femminile. Ma il vocabolario Treccani fa notare come il termine sia composto dal sostantivo body (corpo) e dal verbo shaming, che letteralmente vuol dire “il far vergognare qualcuno“. Dunque il body shaming altro non è che la derisione del corpo, l’atto di discriminare una persona per il suo aspetto fisico, qualsiasi caratteristica ‘non convenzionale’ abbia, senza distinzione di sesso.

Il body shaming maschile esiste

Che sia l’universo femminile a soffrirne di più è vero, diversi studi lo dimostrano, come quello condotto da Nutrimente Onlus, associazione per la prevenzione e la cura dei disturbi alimentari, che ha condotto una ricerca su un campione di circa 4milioni di italiani, uomini e donne dai 18 ai 55 anni, dimostrando come le offese colpiscano prevalentemente le donne: 1 su 2 ha ricevuto critiche per i chili di troppo. Un dato emerso attraverso un monitoraggio dei principali social network perché, come per tante altre cose, il proliferare di questo fenomeno lo si deve soprattutto ad Internet e ai canali che il mezzo offre per veicolare messaggi a grande velocità, impedendone, di fatto, il controllo. Non è un caso che, proprio attraverso i social, si siano diffusi movimenti e filosofie come quelle del Body positivity, nate con il nobile scopo di insegnare alle persone ad accettarsi. Sono stati in tanti a cavalcarne l’onda, provando a diffondere messaggi ‘rivoluzionari’, ma alla fine pochi riescono veramente nel loro intento: spesso sembra solo una mossa di marketing. Intanto perché la bellezza ha i suoi gradi, come qualsiasi altra cosa. Negarlo è da ipocriti. Così come giustificare malattie come l’obesità travestendole da libertà di espressione è pericoloso. Dunque non è tanto accettarsi per forza la svolta, quanto lavorare per cambiare la mente (più che il corpo). Perché il body shaming non è un problema del singolo ma un problema sociale legato agli stereotipi di genere. “Il body shaming deriva dal fatto che abbiamo interiorizzato molto bene due stereotipi in particolare: lo stereotipo del bello e quello del maschile vs femminile. Questo tipo di bullismo si scaglia contro chi non rispetta i canoni di bellezza più rappresentati oppure che ha un aspetto fisico o un’immagine dissonante rispetto a quello che dovrebbe essere il suo ruolo di genere: così viene insultat* indiscriminatamente chi è sovrappeso (fat shaming), chi ha un corpo troppo poco “mascolino” per essere un uomo e chi ha un corpo troppo poco “femminile” per essere una donna, chi ha un corpo diverso perché ha una disabilità e chi ha una specifica parte del corpo (il naso, ad esempio, è un caso tipica) considerato non armonioso e, quindi, sgradevole da guardare”, spiega la psicologa Laura Massari. Ecco perché è necessario debellarlo. In quest’ottica, basti pensare che lo studio condotto da Nutrimente Onlus, fra le altre, ha messo in luce come il body shaming vada ad influire soprattutto sull’autostima delle persone (45%), aumentando lo stato di ansia (43%) e scoraggiando chi prova a tornare in forma attraverso diete sane ed equilibrate (38%). Per non parlare dei rischi in cui spesso si incorre a causa della tendenza che sfocia in veri e propri disturbi del comportamento alimentare, di cui a soffrirne di più sono soprattutto le adolescenti tra i 18 e i 21 anni.

Tuttavia, lungi dal mettere in dubbio la veridicità di studi simili, è necessario rimarcare che le vittime di body shaming non sono solo le donne. Il body shaming è universale. Probabilmente la verità sta nel fatto che le donne sono per natura più inclini a soffrire dei difetti fisici. Un po’ perché sono quelle maggiormente bersagliate dai commenti negativi, un po’ perché sono le donne stesse a praticarlo su altre donne, e questo è l’aspetto più triste: sapendo cosa significa soffrire per un insulto fisico, quando una donna vuole far male ad un’altra donna, sa che il body shaming è l’arma più sicura. Ma questo non toglie che il body shaming faccia leva sugli stereotipi femminili quanto quelli maschili. Si manifesta in forme diverse ma è sempre uguale nella sostanza. “Se il body shaming femminile si concentra sul peso, sull’aspetto curvilineo del corpo e sulla presenza o assenza di tratti delicati e armoniosi e, per questo, considerati femminili, il body shaming maschile si concentra su quelle caratteristiche fisiche che vengono associate alla virilità: l’altezza, l’atleticità e la muscolosità, la presenza dei capelli, oltre che della barba e dei peli in generale, la grandezza e la forma del pene”, spiega ancora la dottoressa Massari. Il che si traduce nella volontà di colpire le fragilità di una persona, non solo estetiche, ma legate all’identità, con conseguenze dannose sulle donne, così come sugli uomini.

E’ la cultura machista che impedisce di credere nelle fragilità degli uomini

Il punto è che gli uomini paradossalmente si vergognano di più delle donne per propri difetti fisici perché, bersagliate come vittime, le donne sono sempre più quelle associate alle problematiche del corpo. Il difetto sulle donne è considerato in un certo senso “normale“, proprio perché più “emancipato”. E’ come se esistesse una disparità tra i problemi legati al corpo femminile e quelli legati al corpo maschile tale che gli uomini tendono a parlarne e ad esporsi di meno. In questo senso, The Body Project è un progetto innovativo, sviluppato dal Women’s Studies Program, della Bradley University, in collaborazione con il Center for Wellness e il Dipartimento di Sociologia dell’Università, i cui ricercatori vogliono evidenziare come l’immagine del corpo sia un problema che colpisce tutti indistintamente dal sesso, dall’etnia e dall’età, perché tutti siamo vittime influenzate da immagini del corpo non realistiche e malsane. Il Project body aiuta quindi a trovare attività, corsi, video e libri che aiutino nel cammino verso l’accettazione del corpo, ma offre anche informazioni e assistenza in caso di disturbi alimentari, dando spazio alle persone stesse di dire ciò che pensano sull’immagine corporea e gli standard di bellezza. L’aspetto sorprendente è dunque quello di riuscire a mettere le problematiche legate al corpo sullo stesso piano, evidenziando un aspetto caratteriale che connota gli uomini tanto quanto le donne, che è l’insicurezza. “Negli uomini c’è la vigoressia, la paura di non essere abbastanza muscolosi. Un ragazzo gracile può essere oggetto di body shaming in quanto esile, cosa rarissima al femminile. Questo è pericoloso perché la persona può ricorrere a metodi non ortodossi per stimolare la crescita muscolare, ma anche evitare di andare in palestra o di fare la doccia negli spogliatoi per non mostrarsi”, spiega Giuseppe Iannone, psicologo e psicoterapeuta, in un’intervista a Vanity Fair. Mentre nel caso in cui il bersaglio sia il grasso addominale, un adulto avrebbe qualche mezzo per reagire, “ci può scherzare sopra”, ad esempio, continua il dottor Iannone: “Se si sorride dei propri difetti fisici, il carnefice non prova più gusto nel prendere in giro qualcuno, se la vittima ne soffre invece può essere un rinforzante”, in ogni caso “è body shaming ed è una forma di bullismo”. La vessazione rimane a prescindere dalla reazione che si ha.

A tal proposito, in questi giorni è stata una foto di un bambino in carne che circolava sui social a far particolarmente discutere. Il bambino in questione veniva indicato come il giovane Carlo Calenda, che il consigliere comunale Cinquestelle, Carlo Maria Chiossi, ha diffuso per attaccare il leader di Azione, candidato a sindaco di Roma. “Non so chi sia questo bambino che usi per prendermi in giro – ha twittato in risposta Calenda – Sulla mia pancia scherzo volentieri. Ma bambini usati per il body shaming va oltre qualsiasi aberrazione abbia mai visto qui”. Il consigliere comunale ha così cancellato la foto, scusandosi con la solita ammissione: “Non era mia intenzione offendere nessuno, né colpire l’aspetto fisico di chi è in sovrappeso visto che lo sono anche io”. Neanche gli adulti sono dunque esenti dal body shaming, ma evitando commenti a riguardo, il problema, osservato dalla giusta prospettiva, è ben radicato perché derivante da una cultura fondamentalmente machista, in base alla quale gli uomini tendono a non manifestare le proprie emozioni, e con esse le proprie fragilità. In questo caso il machsimo ha poco a che vedere con il maschilismo, perché non riguarda la convinzione di una presunta superiorità del genere maschile, ma il modo in cui si vive la propria virilità: forza, aggressività, anaffettività, sono alcune delle caratteristiche storicamente associate all’uomo, rigorosamente eterosessuale. Le stesse che lo inducono a sottovalutare il disagio fisico o, peggio, a sotterrarlo con meccanismi di difesa. E’ la stessa cultura machista a indurre gli uomini a non considerarlo come problema o a soffrirne senza parlarne perché farlo porterebbe alla “svirilizzazione”: esternare una fragilità “è da femminucce”.

Il primo passo sarebbe dunque quello di creare un ambiente, sociale e virtuale, in cui se ne possa parlare apertamente al fine di combattere la stereotipizzazione “machista” dell’uomo. Perché gli uomini soffrono per le problematiche legate al corpo più di quanto si creda. In quest’ottica, ogni trasformazione deve avvenire secondo un desiderio personale, una necessità volta al benessere e alla salute della persona. Non per soddisfare i parametri di qualcun altro. Se non altro perché siamo tutti esseri umani, con o senza cellulite, macchie di lentiggini, grasso in eccesso, occhiaie, o doppio mento. Allora smettiamola anche con il body positivity, smettiamo di parlare dei difetti corporei per forzare un’accettazione che finisce per essere strumentalizzata o comunque solo apparente, perché non scava all’origine della sofferenza. Smettiamo di parlarne e basta, perché forse è smettere di pensarci la soluzione. Il movimento della Body neutrality, nato nel 2015, dice questo: smettiamo di fare del corpo un “problema”.

Francesca Perrotta

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