
“Ogni pistola ha la sua voce. E questa la conosco..“. E ognuno, ha dentro l’eco di una frase rubata ad uno spaghetti western. Stasera in tv “Il buono, il brutto e il cattivo“, l’ultimo film della “Trilogia del dollaro“, la quintessenza del suo genere. Tuco, Il Biondo e Sentenza, le creature di Sergio Leone, con i peccati degli uomini e la fierezza degli dei. “Vado… l’ammazzo e torno“, chi l’ha mai scordata? Una battuta fucina d’idee, eterna e inossidabile.
I dollari, buoni, brutti e cattivi

Era il 1966. Le analogie non si esauriscono, tira l’aria dei precedenti capolavori “Per un pugno di dollari” e “Per qualche dollaro in più“. Ma Leone per non ripetersi aumenta il numero dei protagonisti, da due a tre: Clint Eastwood (Il Biondo), Lee Van Cleef (Sentenza), Eli Wallach (Tuco Benedicto). Con la partecipazione di Aldo Giuffré nelle vesti del capitano nordista Clinton. Durante la guerra di Secessione, nella seconda metà del 1800, i tre loschi del West si danno battaglia per un tesoro nascosto in un cimitero. Dove si cercherà disperatamente la tomba senza nome, “Unknown“, per appropriarsi del bottino d’oro, in sacchi sotterrati. Il Biondo sa dov’è il tesoro e per questo è salvato da Tuco, e gli dice: “Riposerò tranquillo, perchè il mio peggior nemico veglia su di me“. “La vedi quanta bella sabbia? Be’, quello è il deserto, un forno lungo centocinquanta miglia, anche la guerra ha paura a passarci“.
Sarà il bandito Il Biondo (il buono), a recide il cappio con un colpo di fucile e a liberare Tuco (il brutto), con la sua lunghissima lista di reati, catturato da cacciatori di taglie. Loro due si aiutano e si tradiscono. Incassano la taglia sulla testa di Tuco ad ogni villaggio che incontrano, per poi riuscire a scappare. Spesso uno costringe l’altro a infilarsi una corda al collo: “Lo riconosci quest’occhiello, biondo? Fissa bene la corda al trave: deve reggere il peso d’un maiale. Mettici dentro il collo! Bravissimo! Ti sta un po’ comodo, eh?”, dice Tuco al compare. Il Biondo obbliga Tuco a scavare buttandogli addosso una pala, e dice nella scena: “Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi”. E Tuco rivolgendosi al Caporale Wallace (Mario Brega) reso più cattivo da una cicatrice applicata sull’occhio, dice: “I tipi grossi come te mi piacciono perché quando cascano fanno tanto rumore”.
Qui tutti parlano poco
Nel finale del film è rappresentato il cosiddetto triello, uno stallo alla messicana, (spesso ripreso da Tarantino). Sergio Leone rese unica questa scena con la fotografia innovativa di Tonino Delli Colli, con primi piani, con le inquadrature degli occhi e sui dettagli, e con un montaggio rapido: carrellate (come la corsa volata di Eli Wallach tra le tombe con in sottofondo il tema dell’Estasi dell’oro), che sarà materia nelle scuole di cinema americane, e studiato da eccellenti scolari come Scorsese, Corman e Spielberg. Sentenza (il cattivo) muore, e Tuco trova i soldi: “I dollari, eccoli, sono qui”. Ma Il Biondo gli mostra un cappio: “Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco”, intima all’amico. Wallach ha girato la scena con la bocca piena di piaghe, e ha dovuto bere parecchio latte per alleviare il dolore; perché ha rischiato l’avvelenato sul set per aver ingerito accidentalmente l’acido contenuto in una bottiglia di soda, che serviva a rendere i sacchi delle monete d’oro più facili da strappare quando colpiti con la vanga. E l’attore mentre aveva le mani legate dietro la schiena, in sella al cavallo, fece una corsa all’impazzata per quasi un miglio, perché l’animale era spaventato da un colpo di fucile. Aggrappandosi con la sola forza delle ginocchia. Finché lo staff non riuscì a fermarlo.
Con gli sceneggiatori Vincenzoni, Age e Scarpelli, Leone crea un western ‘muto’. Sigaro, poncho, poche parole. “Sto cercando un mezzo sigaro, con dietro la faccia di un gran figlio di cagna, alto, biondo e che parla poco!”. Con il tema dominante musicale di Ennio Morricone. L’ululato del coyote si inserisce nella scena con la sua tipica melodia a due note. Tra uno sparo, un fischio, e corvi che gracchiano. E uno strumento differente viene usato per gli attori, perché ogni personaggio aveva un suo tema musicale: flauto soprano per Il Biondo, l’arghilofono suonato dal maestro Italo Cammarota per Sentenza e la voce umana per Tuco. Lo stesso Tuco, che il pubblico conosce per la sua dimensione interiore e il suo vissuto, emerge più di tutti anche per il suo lato umoristico, avvalorato dal vero talento comico di Wallach. In bocca a lui, si regge come un sigaro mai spento, la sintesi di questo film: “Quando si spara non si parla. Si spara!“. Mentre Sentenza, con le sue smorfie, gli occhi che si socchiudono, la fronte corrucciata, dice parlando con aria saggia alla sua donna: “Non lo conosci e lo chiami al buio?”. Alludendo a Bill Carson.
Ah-ee-ah-ee-ah una mala parola
L’avidità è un peccato umano. Si legge negli occhi del Brutto. Non importa che Leone abbia sacrificato nel titolo la parola “dollaro”; il Dio denaro muove gli uomini e gli animi. Il titolo, nato per caso, evoca bellezza, bruttezza, cattiveria. Tre raffigurazioni, che sembrano coesistere in una sola persona. “Sei è il numero perfetto“, dirà Clint Eastwood. Perché sei sono i colpi in canna al suop fucile. E c’è un particolare macabro: le ossa dello scheletro nella bara aperta da Tuco sono umane. Leone le chiese espressamente a Carlo Leva, che fu aiutato da un collaboratore del posto. Che lo portò a Madrid, dalla figlia di un’attrice scomparsa, la quale aveva espresso la volontà di voler continuare a “recitare” grazie alle sue ossa. E “Il Sad Hill Cemetery” dove si consuma il finale, era un set costruito, e non un vero e proprio cimitero. Oggi il luogo resta un punto di interesse locale, a circa 3 km dal paesino di Contreras in Spagna. E la pedana di pietra al centro dove si è svolto il famoso triello s’intravede per la sagoma.
“Il buono, il brutto e il cattivo” fu il primo western ad avere le parolacce, e fu vietato ai minori di 16 anni. L’amore smisurato per il film, lo ha dichiarato Quentin Tarantino, che ha detto: “Eppure, per quanto mi sforzi, non credo che riuscirò mai a girare qualcosa di così perfetto come l’ultima sequenza . Proverò a raggiungere quel livello, anche se non credo che ce la farò mai“. Il film si chiude con una celebre battuta. Tuco con la corda ancora al collo, risparmiato dal buono, che urla: “Ehi Biondo…Lo sai di chi sei figlio tu? Sei il figlio di una grandissima p***”, e la parola si allunga, fa eco, è coperta e sfumata, dal famoso tema musicale di Morricone. In un tutt’uno con il verso del coyote.
Federica De Candia Seguici su Google News