Parlando di complottismo, ci vengono in mente varie idee: le sirene, i vaccini avvelenati, il negazionismo climatico, esperimenti brutali, falsi attentati per provocare rovesciamenti di governi, e molto altro. Trattandosi di un fenomeno complesso, che contiene quanto sopra (e molto altro) e che non si limita a contenerlo, bensì lo rielabora per perpetrarsi e restare sempre “sul pezzo”. Questa capacità camaleontica del complottismo di cambiare pelle per non sparire, negli ultimi decenni ha visto un potente salto di qualità. Le teorie del complotto sono state in grado di contrastare le misure di contenimento contro la pandemia di Covid-19, di spingere interi popoli a prendere le armi contro le istituzioni democratiche dei propri Paesi, di avvelenare il dibattito pubblico in televisione e sui social. Ma come è stato possibile che questo accadesse, e perché nessuno ha mai fatto nulla per opporsi ad una tale deriva? Lo abbiamo chiesto a Jacopo Di Miceli, autore di “L’ideologia della Paura” (People Edizioni), che studia il fenomeno da anni e ne divulga gli aspetti nascosti attraverso il progetto “Osservatorio sul Complottismo”.
Partiamo dalla scelta del titolo: perché l’ideologia della paura? In pratica la connoti come se fosse una forza politica, quasi un movimento di opinione.
Sì. Partiamo dal presupposto che il complottismo non è una forma di malattia mentale, non è una devianza di alcuni alienati, né tantomeno un’espressione di ignoranza o di disagio economico. E’ un insieme di valori, di idee, quindi un’ideologia che nasce come forza antisistema, in opposizione a delle ideologie che sono considerate dominanti o in sostituzione di altre ideologie che in realtà sono scomparse o sono una fase di crisi. Quindi, ad esempio, con la fine della guerra fredda si è visto chiaramente negli Stati Uniti che molte persone non avevano più un quadro ideologico di riferimento con cui interpretare il mondo, la battaglia capitalismo versus comunismo era finita con la sconfitta di quest’ultimo. Diciamo, ha vinto però allo stesso tempo è entrato in crisi dopo la sua vittoria.
E’ come se praticamente avesse perso il suo nemico e quindi si fosse rivolto contro se stesso.
In parte sì, ha iniziato a divorare se stesso. Crollato il quadro ideologico di riferimento, il complottismo – che fino ad allora era stato marginalizzato e degradato come forma di estremismo, sostanzialmente – inizia a guadagnare energia e legittimità, perché fornisce delle risposte che le ideologie, o quel che ne rimane, non riescono più a dare. Quindi si sostanzia come ideologia della paura perché non è un’ideologia che fornisce un obiettivo materiale, concreto come il socialismo o il comunismo: non promette il paradiso in terra e non promette nemmeno il benessere per tutti, la lavatrice, il televisore, come faceva il capitalismo. Non troviamo quindi una promessa positiva, bensì una promessa negativa. Questa promessa negativa è che verranno rimossi, anche fisicamente, i cospiratori che ti stavano causando il disagio che provi. A quel punto potrai riguadagnare il tuo benessere, quindi è una promessa di vendicatività, a cui seguirà poi un nuovo benessere, una nuova età dell’oro.
Quasi un’era della libertà, praticamente quella libertà che il sistema avrebbe tolto alle persone
Praticamente sì, esatto. Diciamo un sistema che viene considerato malvagio perché è governato da persone malvagie, oppure perché all’interno del sistema ci sono delle minoranze che lo influenzano, quindi un complotto dal basso che va eliminato. Il nemico può essere ovunque, in alto, in basso, fuori o dentro. Queste sono, diciamo, le quattro coordinate.
In buona sostanza da tutte le parti, e non si sa nemmeno che volto abbia il nemico.
Molte volte il nemico è indefinito, meno è chiaro e più è efficace. Il presupposto è proprio quello, perché permette all’ideologia di guadagnare seguaci, di non perdere mai, di non cadere mai in contraddizione. In questo modo il complottismo riesce a rimanere sempre sul pezzo, rigenerandosi. Un nemico ben individuato non c’è, magari vengono citati dei nomi, ma in questa narrazione sono sempre burattini nelle mani di qualcun altro nell’ombra.

Tu racconti la storia del complottismo, praticamente cerchi di ripercorrerla attraverso i secoli. Nel libro, ad un certo punto, descrivi come negli Stati Uniti il complottismo ha un upgrade, perché comunque passa da teoria che era propria delle élite (come accaduto durante la rivoluzione francese) a cultura del sospetto di massa. Come mai è successo proprio lì? Ci sono stati dei fattori particolari che hanno fatto sì che succedesse lì, o è semplicemente una coincidenza?
No, non è una coincidenza, nel senso che effettivamente poteva succedere altrove, ma non è mai successo, o è successo in altre forme che non sono perdurate fino ad oggi. Per esempio, la Germania degli anni ‘30 era infinitamente più complottista degli Stati Uniti al massimo del loro fulgore complottista. Questo perché al potere c’era il partito nazista, la cui ideologia aveva al cuore un essere fondata sul complotto degli ebrei. Gli ebrei che, nella loro narrazione, hanno fatto perdere alla Germania la Prima Guerra Mondiale, l’hanno ridotta in miseria. Quello è stato il periodo in Europa di massima espansione del complottismo, con i nazisti al potere. Però, pur nella tragedia di massa e nella devastazione mondiale che ha causato, è stato un periodo di breve durata, e a cui ha fatto seguito una condanna unanime. La Germania di oggi ha ormai fatto anticorpi contro il nazismo e quel tipo di complottismo antisemita.
Negli Stati Uniti ci sono state tantissime esplosioni di complottismo, eppure questo non è stato sufficiente per spazzarlo via. Nel libro ne ho isolato alcune caratteristiche. In realtà sono state individuate da un professore tedesco di Americanistica, Michael Butter. Abbiamo l’ideologia repubblicana, diffusa negli Stati Uniti e nella Francia rivoluzionaria, ma negli Stati Uniti ha avuto più successo perché erano una Repubblica debole all’inizio. La differenza tra gli Stati Uniti e la Francia rivoluzionaria è che la Francia rivoluzionaria aveva conquistato mezza Europa, mentre gli Stati Uniti erano una repubblica con un esercito di volontari non professionisti, che aveva bisogno di rifornimenti di armi dagli alleati europei.
Una mentalità da assediati, con in più anche il timore di poter essere riconquistati dall’Inghilterra.
Sì, esatto. Quindi c’è questa ideologia repubblicana, che è stata uno dei fattori che ha contribuito maggiormente al complottismo in America. Poi c’è l’epistemiologia della causalità, ovvero l’interpretazione del mondo secondo uno schema di causa ed effetto, per cui ad azioni malevole corrispondono intenzioni malevoli. Questo viene condannato da Popper come spiegazione troppo semplice, perché non è che qualcuno vuole far scoppiare le depressioni economiche, le guerre o le epidemie; queste capitano perché c’è qualche accidente in mezzo, e invece nell’epistemiologia della causalità si guarda al mondo secondo uno schema più semplice, che si traduce con “un evento accade perché c’è qualcuno che l’ha voluto”. Uno schema basilare alla portata di tutti.
Questo è esattamente quanto successo, perché poi gli Stati Uniti sono una nazione fondamentalmente anti intellettuale, nel senso che c’è questa ideologia dell’uomo comune che si fa da sè, il selfmade man che tutto domina. Tutto ciò che non ha ricadute pratiche nella vita quotidiana non interessa, e gli esperti vengono denigrati perché sarebbero pagati da qualcun altro chissà a che scopo, eccetera. Quindi questo tipo di pensiero porta una filosofia più semplice, insieme allo schema di causa ed effetto.
Tu descrivi anche il ruolo delle varie confessioni protestanti in giro per gli Stati Uniti, che si sono dimostrate sia molto ricettive per le idee complottiste, sia molto attive nel diffonderle. Senza la religione, queste teorie si sarebbero potute diffondere allo stesso modo? E, altra metà della domanda, perché queste confessioni protestanti sono state più ricettive di queste teorie rispetto magari al Cattolicesimo o all’Islam?
L’islam lo lascerei da parte, perché quello in realtà è un capitolo in fase di studio, nel senso che il complottismo in Medio Oriente e in altre aree di religione musulmana non è stato indagato veramente. Quanto al protestantesimo, negli Stati Uniti c’è la cultura puritana che altrove non ha avuto questa espansione, perché i puritani, come sappiamo, hanno subito persecuzioni o comunque sono stati ostaggio della corona in Gran Bretagna, quindi sono dovuti sostanzialmente fuggire. E, con la loro fuga, loro hanno cercato un luogo dove costruire la casa di Dio, e lo hanno trovato in America.
C’è questo viaggio che ricorda, per come viene raccontato, l’Esodo degli ebrei verso la terra promessa quasi, la traversata della Mayflower verso gli Stati Uniti.
Esatto, loro si vedono come gli eredi di Dio in terra, quindi il paragone sicuramente è quello, e questo è un unicum che riguarda soltanto gli Stati Uniti. Non riguarda nessun altro paese in Occidente. Il retaggio puritano ha influenzato la società molto più di quanto si voglia ammettere. Perché la cultura puritana è penetrata veramente soprattutto nella Chiesa evangelica, mentre la popolazione di cultura cattolica non ha mai sviluppato questo tipo di visione del mondo manichea con gli spiriti cattivi da una parte e gli angeli che ci proteggono dai demoni dall’altra. Di conseguenza, nel cattolicesimo non c’è stato questo tipo di cultura eccessivamente paranoica e sospettosa e oggi vediamo come le chiese evangeliche sono un incubatore di complottismo. Anche fuori dagli Stati Uniti, vedi in Brasile.
Infatti, vedendo come si è svolta la campagna elettorale di Bolsonaro, molto hanno influito le chat private e i gruppi di discussione religiosi, dove si diffondevano voci di ogni genere. Le foto false di Lula con in mano la statua del diavolo e altre amenità del genere sono uscite da lì.
Si, esatto. Ad esempio, poco tempo fa è uscito un sondaggio secondo cui tantissimi elettori hanno il timore che le elezioni siano state truccate, e la percentuale più alta è fra gli evangelici rispetto ai cattolici. Questo ci dice che c’è qualcosa nella cultura evangelica che porta a questo tipo di esiti, tra cui influisce l’interpretazione della politica come una ramificazione della lotta fra Dio e Satana, che invece in altre culture religiose non c’è. E questo è un aspetto presente in una buona parte delle chiese evangeliche, non tutte però. Inoltre, negli evangelici troviamo molte più persone di ideologia conservatrice, rispetto ad esempio ad altre confessioni, come i cattolici, in cui invece l’identità religiosa non è così importante per determinare l’identità politica.
Ok, e qui arriviamo a un’altra costola della penetrazione delle teorie del complotto. Io (come molti altri) credevo che le teorie del complotto penetrassero più facilmente in persone con bassa scolarizzazione. Invece tu nel libro riporti, per esempio, uno studio dell’Università di Chicago sulle persone che credono al complotto delle elezioni rubate da Biden, a Qanon, o comunque ad altre varie teorie, e queste sono tutte persone del ceto medio con un elevato grado di istruzione. Persone laureate, o comunque imprenditori, gente insomma della classe medio alta della società. Questa apparente contraddizione tra istruzione elevata e penetrazione delle teorie del complotto, come si può spiegare?
Secondo me la chiave sta nell’interpretazione del complottismo come ideologia: una volta capito che il complottismo non è una questione di essere manipolati dalle notizie false o da eventi che non capiamo, bensì di interpretare il mondo secondo i nostri pregiudizi politici – che chiunque può avere a dispetto del reddito o del grado di istruzione – a quel punto il livello di istruzione non è più così importante. Poi è chiaro, più strumenti intellettuali si hanno e meno si tende a credere a certe balle della politica. Non voglio, come dire, mettere da parte l’istruzione come un fattore importante nella vita pubblica, però sicuramente non è così decisivo. L’elemento ideologico è fondamentale, e questo secondo me spiega anche perché, nel corso della storia, persone con un grado di istruzione elevato o le élite intellettuali o le classi dirigenti di molti paesi abbiano creduto alle teorie del complotto e le abbiano diffuse fra la popolazione senza nessun problema. Inoltre, questo fa parte anche nella nostra politica, è un mezzo di lotta politica a tutti gli effetti. Dopotutto, il populismo non è detto che parli alla pancia soltanto del popolino, ma parla anche alla pancia dell’elitè.
Magari, dici tu, solleticandone un po’ i pregiudizi o le paure recondite, e facendo leva su quello potrebbe tirarli dalla propria parte.
Esatto, ci sono argomenti psicologici convincenti, e sono molto efficaci nel diffondere quindi anche fake news, nonostante l’elite in teoria abbia gli strumenti per distinguere, non dico il vero dal falso, ma il populismo da forme di politica un po’ più pratica.
Adesso però io vorrei spezzare una lancia a favore del complottismo. Perché, se guardiamo alla storia del ‘900, noi vediamo che ci sono stati un po’ di avvenimenti che non hanno rinfocolato la fiducia verso le istituzioni democratiche. Penso al periodo degli anni di piombo in Italia, per esempio, la bomba di piazza Fontana, quando subito ci si indirizzò verso gli anarchici e Valpreda, o le varie operazioni della CIA, soprattutto in America Latina, quando puntavano a rovesciare le istituzioni democratiche per sostenere delle dittature di destra. O ancora, per rimanere negli ultimi vent’anni, il caso di Colin Powell che sventolò la provetta falsa delle armi chimiche di Saddam all’ONU. Ecco, questi eventi quanto hanno influito anche nello spingere le persone verso il complottismo, facendogli perdere la fiducia nelle istituzioni democratiche?
Secondo me non sono state così decisive, ma magari sbaglierò, questa una mia impressione. Mi spiego meglio: il periodo dello stragismo non si è accompagnato ad un periodo di scarsa partecipazione politica, al contrario. Il complottismo invece, si alimenta della scarsa partecipazione delle persone alla politica, ed è proprio lì che va a pescare. C’è stato uno studio molto interessante, in cui hanno testato le persone che hanno visto al cinema il film di Oliver Stone sul complotto contro Kennedy. Di fatto non ci sono le prove che questo complotto sia realmente accaduto, lui è stato però molto bravo a creare una trama avvincente attorno alle principali voci sull’omicidio. Bene, le persone intervistate hanno detto che dopo la partecipazione alla proiezione avevano meno intenzione di partecipare alla vita pubblica, nonostante Oliver Stone avesse detto di aver fatto questo film per spingere le persone a partecipare. Alla fine ha raggiunto lo scopo diametralmente opposto. Alla fine, nella mente scatta quel meccanismo per cui ci si sente impotenti, ed è quello che scatena sia il complottismo, sia poi paradossalmente la rassegnazione. Questo è il paradosso del complottismo, per cui le persone cercano di combattere ansia e impotenza rivolgendosi alle teorie del complotto, però poi queste teorie alimentano un circolo vizioso di impotenza di fronte agli eventi. Questa cosa allontana le persone dalla partecipazione e, contemporaneamente, le spinge a credere, praticamente gli dà un’altra forma di partecipazione, ma di fatto un universo parallelo. Partecipano alla vita politica, ma in una realtà parallela, non nella nostra. Questo è abbastanza chiaro alle elezioni, perché non votano i partiti che fanno parte del sistema ma sperano che un antisistema scenda in politica.
Però questo negli Stati Uniti si è verificato in parte perché sì, c’era Trump, ma hanno votato in massa per il partito Repubblicano.
Si, però ecco, quello è stato particolare per la presenza di Trump, che rappresentava un antisistema alla guida del partito. Però, secondo me, la stagione della strategia della tensione in Italia non ha provocato un aumento del complottismo (che allora si chiamava dietrologia). Quello del complottismo, quantomeno in Italia, è un fenomeno della disaffezione a questo sistema politico degli ultimi quindici anni, vent’anni. C’è stata la crisi economica e poi i partiti, la maggior parte dei partiti, sono implosi al governo o mentre erano all’opposizione, e sono stati nominati governi tecnici o di grande coalizione.
Infatti, quando si insediò il governo di Monti nel 2012, venne etichettato come il governo del Bilderberg, il governo dei poteri forti e via elencando.
Esattamente. Quindi sono queste, diciamo, le cause del complottismo più recente in Italia, secondo me non sono stati decisivi quegli aspetti, poi magari si scoprirà in seguito che ne erano le cause remote. Tutto è possibile, però sicuramente non sono le cause recenti.
Riallacciandoci a quanto abbiamo appena detto, le crisi sono la benzina che alimenta il complottismo, indipendentemente che siano una crisi economica, una guerra o la pandemia del COVID-19. Comunque c’è qualcuno che trae vantaggio anche dalla narrazione complottistica, per esempio mi viene in mente Alex Jones negli Stati Uniti, o Tucker Carlson, l’anchorman di Fox News. Quindi il complottismo può essere anche un mezzo per arricchirsi o per conquistare posizioni politiche o fama?
Sicuramente ci sono molti che grazie al complottismo hanno guadagnato comunque un sacco di soldi e Alex Jones è sicuramente l’esempio più noto. Però sì, ci sono molti approfittatori, perché chiaramente il complottismo prospera dove le persone vivono una crisi che possa essere politica, personale, epistemica, a volte anche di disagio mentale, quindi questi promettono una soluzione che in realtà non c’è. Tanto per dirne una, Jones vende integratori vitaminici, che non hanno nessun effetto particolare sulla salute. Insomma, del tutto pari a quelli che si vendono in farmacia. E però questa persona paradossalmente si è arricchita a discapito dei poveri gonzi, come molti altri. A livello finanziario sicuramente c’è un ritorno, si vede anche dalla vendita di certi saggi, libri su temi complottistici che vendono moltissimo.
Anche a livello politico,magari ci può essere un breve backfire dell’inizio, ma poi i sondaggi sembrano premiarli. Io ho ho visto negli ultimi mesi che il partito della libertà austriaco è il primo partito del paese, nonostante abbiano condotto una forte campagna anti vaccinale in Austria appena un anno fa. Ugualmente, dal 7% di prima il partito Alternativa per la Germania ha fatto le stesse cose, persino peggio, e adesso è al 16%. Negli Stati Uniti invece i repubblicani sono messi un po’ peggio, però tutto sommato hanno retto e hanno conquistato la maggioranza alla Camera, che comunque non è poco, e questo nonostante una Presidenza Trump devastante e il tentato golpe di ben due anni fa, Cioè, avrebbero dovuto prendere lo zero virgola e invece sono ancora lì, ci sono centinaia di migliaia di loro sostenitori che non riconoscono Biden come Presidente. Quindi, sinceramente, quando molti hanno detto “avete visto che mazzata?”, io in realtà mi sono stupito di un simile risultato, e questo dimostra anche quanto siano resistenti e quanto sia penetrato in profondità il complottismo nei loro sostenitori.
Un ruolo importante per questa penetrazione lo hanno avuto anche i social, soprattutto le bolle che si creano grazie agli algoritmi, Facebook, Instagram, Tiktok, Youtube. Per esempio, tu nel libro fai l’esempio di Youtube, dove se guardi un video di una teoria del complotto poi l’algoritmo ti continua a suggerire dei video sempre di altre teorie del complotto correlate al primo. Ma i social non riescono, o non vogliono intervenire su questo aspetto?
Premettendo che tutti i social sono molto diversi, nel senso che per esempio TikTok è di proprietà cinese e non conosciamo quell’algoritmo, ma c’è chi indaga anche sulla disinformazione e su Tik Tok viaggia benissimo. Su Facebook e, in generale sui social di Meta invece, un anno fa hanno fatto delle operazioni anche brutali – quando hanno tentato di cancellare Qanon – e in effetti ci sono riusciti, perché sono spariti tutti i gruppi e tutte le pagine anche vagamente correlabili. Infatti io ho perso la mia pagina, per far capire quanto siano stati brutali. Però, appunto, ci si affida molto agli algoritmi e molto poco invece ai moderatori umani, perché il materiale umano costa certo, e quindi l’interpretazione delle parole viene affidata all’intelligenza artificiale che non sempre è perfetta, perchè su Instagram, per dire, non si può scrivere Qanon o nazisti in nessun contesto, altrimenti sirischia di ricevere un ban (Mentre andiamo in stampa, Trump è stato riammesso anche su Facebook e Instagram, nda).
Mentre invece su Twitter adesso la situazione è completamente cambiata, con Musk. Secondo me l’acquisizione di Musk, fa parte di un’operazione di guerra informativa, come una specie di guerra culturale ibrida tra rete ed informazione. Su Twitter sono stati tutti riammessi i complottisti, è stato riammesso Nick Fuentes, è stato riammesso Michael Flynn e tutta una serie di account legati a Qanon. Tutta l’estrema destra e il complottismo sono di nuovo su Twitter. E’ difficile giustificare qualcosa del genere con la libertà di espressione no?
Però, come cerco anche di spiegare nel libro, secondo me il vero problema è la televisione perché poi i social contano fino ad un certo punto, ma la tv arriva ovunque. Non tutti sono su ogni social, Twitter per esempio funziona a bolle e di gente comune ce n’è poca. Quindi bisogna anche fare un po la tara, si è visto anche nelle elezioni, mi sembra. Tweet pieni e urne vuote. Stiamo attenti a non sopravvalutare i social.
A proposito, notavo una cosa: una sorta di come dire di passaggio da un media all’altro, tipo che su Whatsapp ci si scambia le clip, i video pure di interventi fatti in televisione e si diffondono. Spezzoni vari prese dalla tv o da altri social, presentati senza contesto, girano da un media all’altro in un circolo infinito.
Praticamente sì, si passa tranquillamente da un media all’altro senza soluzione di continuità. Whatsapp è totalmente insondabile, perché sono tutte chat private; ad esempio, in Brasile, la maggior parte della disinformazione e l’organizzazione dell’otto gennaio è passata da Whatsapp, quindi totalmente invisibile. Poi, ovviamente questa insurrezione popolare era assolutamente prevedibile, visto che molti si erano esposti, ma poi i dettagli, i linguaggi in codice con cui i Bolsonaristi si sono coordinati sono passati in gran parte da Whatsapp, quindi nessuno poteva vederlo, ovviamente. Di certo non possiamo chiedere ai moderatori di entrare nelle nostre chat private. Lì non c’è un algoritmo che le possa controllare.
Parlando del Brasile, sempre, ciò che è successo è stato praticamente un remake di Capitol Hill, solo che fatto qualche migliaio di chilometri più a sud. Quali elementi hanno in comune questi due assalti? Al netto delle loro differenze, però presentano una base comune.
Sì, sicuramente ci sono dei punti di contatto. Banalmente, c’è un Presidente perdente in entrambi i casi, che ha detto che le elezioni erano state truccate, e poi Bolsonaro ha copiato tutte le strategie di Trump sui controlli riguardo la regolarità del voto. C’è stata tutta una strategia che è partita da quando lui si è insediato. E’ lo stesso che aveva fatto Trump, che prima delle elezioni (quelle poi vinte contro la Clinton), diceva che era stato un disastro, che non ci si poteva fidare, eccetera. Poi lui ha vinto e l’indagine sui presunti brogli è passata in secondo piano, indagine che però c’è stata, perché lui ha nominato la commissione di inchiesta sulle irregolarità del voto, che poi si è risolta in un nulla di fatto. Una volta arrivato al governo non era quella la cosa importante, invece adesso le elezioni rubate sono il suo cavallo di battaglia.
Infatti, ad un certo punto della campagna, si è scagliato contro il voto per posta, invitando i suoi elettori e supporter a controllare le operazioni di voto, quando in realtà non avrebbero potuto farlo. Supporter che si schieravano armati davanti ai seggi e intimidivano gli operatori elettorali. Era un clima quasi da rivoluzione.
Sì, diciamo che era un clima fascista sostanzialmente. Questo quello era quello che voleva scatenare. Similitudini sono tantissime. Ci sono poi i punti di contatto e i legami politici tra le due classi dirigenti, tra i Bolsonaristi e i Trumpiani. Vi sono stati incontri nel corso degli ultimi due anni, ma non sappiamo bene di cosa abbiano parlato, perché sono incontri a porte chiuse. Bannon ha nominato Eduardo Bolsonaro, il figlio di Jair, rappresentante di The Movement per l’America Latina. Poi ci sono stati degli incontri fra Bolsonaro e Jason Miller, che è consigliere di Trump e ora anche CEO di Gather, questo social alternativo in cui si è rifugiata l’estrema destra. Quindi ci sono dei legami quantomeno sospetti. Poi Bolsonaro, casualmente è andato in Florida poco prima dell’assalto.
Quindi ci sono tutti questi legami, e poi ci sono ovviamente le differenze legate alla specificità dei paesi. Negli Stati Uniti quello del 6 gennaio si può definire un autogolpe, perche Trump era ancora al potere, non c’era ancora stato il passaggio di consegne con Biden e lui era quello che voleva farsi l’autogolpe per investirsi di maggiori poteri mentre era ancora in carica. Invece, Bolsonaro aveva già passato il testimone a Lula, quindi quello possiamo definirlo come un’insurrezione o un golpe esterno. Là sono stati trovati dei documenti, tipo liste di ministri. C’è un’indagine in corso, ma sembra emergere un piano già pronto.
Adesso siamo giunti all’ultima domanda. Abbiamo parlato un po’ del complottismo, delle varie teorie, di come si infiltrano nella società e di come avvelenano il dibattito pubblico. Estirparlo è impossibile, perché comunque è un elemento che si trascina da secoli, ma si può arginare, impedendogli di proliferare indisturbato?
Come dico nel libro, la risposta non c’è, nel senso che io diffido chiunque dal credere a chi dice di averla. Non c’è una risposta semplice perché, essendo il complottismo una ideologia politica, si risolve solo con la politica. Quindi, da un lato si risolve facendo delle buona politiche che aiutino le persone a vivere meglio: sembra una cosa banale, ma se le persone vivono meglio non avranno motivi di cui lamentarsi e faticheranno a trovare un capro espiatorio. Dall’altra parte, è necessaria una informazione di qualità; questo non vuol dire che il complottismo sia equivalente alle informazioni false. Però, chiaramente, se il giornalismo si dimostra inaffidabile è anche difficile dire alle persone “avete sbagliato, adesso vi faccio il debunking”. Ci sono molti limiti.
Infatti, anche perché poi se vediamo lo stato del giornalismo, almeno in Italia, vediamo che spesso – a essere gentili – è incorso in imprecisioni ed errori, per tacere di quel costume (tipico del nostro giornalismo) di inventare i virgolettati. E’ un insieme di fattori che non aiuta.
Esatto. Lo stato del nostro giornalismo lo conosciamo, però è proprio su questi due aspetti principali che bisogna intervenire . Ovviamente, essendo due fattori così grossi, non è che si possano risolvere dall’oggi al domani, ci potrebbero volere dieci o vent’anni. E’ una cosa molto complicata, non si risolve immediatamente: soluzioni semplici non ce ne sono . E’ un processo culturale, e come tutte le cose culturali ha tempi lunghi. Non è che puoi trasformare la mente delle persone in una settimana.