Dov’è finito il Coronavirus? Il virus sta perdendo davvero forza?

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Di Redazione Metropolitan

La polemica di questi giorni riguarda la presunta scomparsa di SARS-CoV-2 che, secondo alcuni, starebbe perdendo forza e provocando infezioni sempre più lievi. Non esistono tuttavia evidenze che il coronavirus causa di Covid-19, tenuto costantemente sotto controllo dagli esperti di tutto il mondo, sia cambiato significativamente dall’inizio della pandemia.

Il virus è scomparso?

Non vi nascondo che ci ho impiegato un po’ a trovare il giusto taglio per questo articolo; in principio avevo pensato di esporre i dati a nostra disposizione per mostrarvi come l’inutile polemica a cui stiamo assistendo sia frutto di una serie di grossolani errori di interpretazione dei dati, ma è già stato fatto da persone molto più esperte e autorevoli di me e mi sembrava di ripetere soltanto una volta di più l’ovvio. Non si sono infatti fatte attendere le risposte della comunità scientifica all’infelice uscita del Prof. Zangrillo del S. Raffaele.

F. Balloux, docente di biologia dei sistemi e direttore dell’istituto di genetica dell’University College di Londra (UCL), risponde con i risultati di un suo recente lavoro (attualmente in pubblicazione ma non ancora sottoposto a peer-review) che dimostrano come non esista nessuna evidenza che il virus abbia perso o stia perdendo forza diventando meno virulento.

Premetto che questa non sarà un’analisi della situazione del Covid-19 nel nostro paese e nel mondo fatta da un punto di vista clinico; dopotutto, chi potrebbe dubitare delle affermazioni di un esperto di uveiti quando parla di modelli epidemiologici contro il parere di tutti gli esperti del mondo?

Il Coronavirus perde forza?

Portare all’estinzione un patogeno è sicuramente un grande successo per la medicina, successo che abbiamo già assaporato con il vaiolo dopo più di 200 anni di battaglia a colpi di medicinali e vaccinazioni di massa; il prossimo a cui possibilmente toccherà la sorte della sconfitta definitiva è la poliomielite e anche per essa ci vorranno ancora molti anni. Questo perché portare all’estinzione una specie vivente non è un compito facile e sicuramente non è un obiettivo raggiungibile in meno di 3 mesi!

Appurato che SARS-CoV-2 non è andato da nessuna parte, che fondamento hanno le affermazioni che vogliono che Covid-19 stia scomparendo da solo?

La risposta è che ovviamente, il virus non perde forza: non colpisce meno nè ha ridotto la propria virulenza; semplicemente le misure di prevenzione e distanziamento sociale hanno limitato i contatti tra persone infette e suscettibili ed hanno avuto l’effetto di limitare la carica virale negli ambienti in cui le persone si trovano (uso di mascherine e guanti, frequente disinfezione degli ambienti).

Biologicamente parlando, sappiamo che i parassiti, come tutti gli esseri viventi, sono sottoposti alle leggi dell’evoluzione e che, a causa di questo, cambiano la loro biologia e si adattano all’ospite o “saltano” ad un altro. In questo pezzo cerchiamo di capire meglio come può evolvere un parassita come SARS-CoV-2 e quali sono gli scenari possibili e i rischi insiti nell’evoluzione di nuovi ceppi virali.

Come evolvono i parassiti?

Lo studio dell’evoluzione del parassitismo è forse una delle branche più affascinanti della biologia. I parassiti sono antichi come la vita stessa, da quando sono esistiti organismi in grado di utilizzare reazioni chimiche per crescere e riprodursi, sono esistiti organismi in grado di sfruttare il lavoro di questi per crescere e riprodursi.

I virus sono parassiti

I virus sono un tipico esempio di parassitismo; privi di un proprio metabolismo, essi sono obbligati ad utilizzare i macchinari delle cellule che infettano per riprodursi. Nonostante non posseggano un metabolismo proprio, i virus sottostanno alle stesse leggi dell’evoluzione che si applicano a qualsiasi altro parassita.

Coronavirus SARS-CoV-2
Animazione del coronavirus che si dice venga attivato dalle trasmissioni 5G. Fonte Wikimedia.

Parliamo di evoluzione

Il famoso biologo T. Dobzhansky scrisse che “niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”: seguiamo quindi la teoria dell’evoluzione per vedere dove ci conduce.

Il motivo principale per cui un parassita “sceglie” di vivere a spese di un altro organismo vivente è che ne ottiene un vantaggio che gli permette di riprodursi e quindi di trasmettere i suoi geni alle future generazioni di parassiti. Nel gioco dell’evoluzione vince chi si riproduce di più, non è quindi una sorpresa che la dinamica delle epidemie sia legata a filo doppio al numero riproduttivo (R) del parassita.

L’importanza centrale del numero riproduttivo R nell’evoluzione delle epidemie fu sottolineata dal lavoro di W. Kermack e A. McKendrick (1927) che introdussero il concetto di “effetto soglia”, ovvero che l’introduzione di un individuo infetto in una popolazione produrrà un’epidemia solo se la frazione di individui suscettibili in questa supera una certa soglia. Sopra questo “valore soglia” R > 1 e quindi l’introduzione di un individuo infetto darà origine ad un’epidemia.

Abbiamo già trattato il numero riproduttivo (R) e vi rimando al link per approfondimenti.

Ciò che è davvero importante

Il valore di R fotografa, per così dire, l’abilità di un parassita di riprodursi in determinate circostanze. R è composto da due parametri principali, Alfa e Beta: Alfa rappresenta la virulenza, ovvero quanto tempo il parassita è in grado di persistere nel corpo dell’ospite (o perché viene sconfitto da quest’ultimo o perché finisce per causarne la morte); Beta invece rappresenta l’infettività, ovvero quanto è abile il parassita ad infettare nuovi ospiti suscettibili.

R si definisce come R = β/α ovvero R decresce proporzionalmente con la virulenza e cresce con l’infettività.

Siccome, abbiamo detto, l’evoluzione favorisce chi si riproduce meglio, essa tenderà a selezionare i ceppi del parassita con il valore di R maggiore. Si è diffusa la falsa convinzione che questo implichi che l’evoluzione dei parassiti tenda all’avirulenza ma questo è vero solo nelle simulazioni di modelli molto semplici, la realtà è purtroppo molto più complessa.

Può esistere un legame tra virulenza e infettività

L’esistenza di un legame tra infettività e virulenza è una delle ragioni per cui massimizzare R non conduce all’avirulenza. Infatti, se il meccanismo che il parassita utilizza per introdursi nelle cellule è in qualche modo legato alla virulenza (lo è quasi sempre), massimizzare R potrebbe comportare in qualche misura un aumento della virulenza. I virus, ad esempio, utilizzano recettori per introdursi nelle cellule e il legame del virus potrebbe in qualche modo danneggiare questi recettori o modificarne il funzionamento causando la malattia; in questo caso e` estremamente improbabile che l’evoluzione possa ridurre a 0 la virulenza in quanto essa è in qualche modo collegata con la capacità del virus di infettare le cellule!

Possono esistere diversi ceppi virali in competizione tra loro

Quando scriviamo i modelli tendiamo a fare le cose più semplici di quanto non siano in realtà; un tipico esempio è la tendenza a considerare le popolazioni di parassiti come un insieme omogeneo di individui identici. Questa assunzione non potrebbe essere più lontana dal vero: data l’elevato tasso di mutazione di parassiti come i virus, possono esistere popolazioni formate da una moltitudine di entità genetiche diverse in competizione tra loro.

Quando consideriamo la coesistenza di diversi ceppi di un virus si può instaurare un fenomeno chiamato “superinfezione”. Immaginiamo che l’infezione da parte di un virus poco virulento renda in qualche modo più facile l’infezione da parte di un secondo virus (o di un ceppo del medesimo virus): in questo caso c’è la possibilità che l’evoluzione tenda ad incrementare la virulenza di quest’ultimo ceppo. Un esempio classico di questo fenomeno è quello dei virus difettivi. L’epatite delta (HDV), ad esempio, infetta solo cellule in cui c’è anche l’epatite B, ed è molto spesso letale.

La pericolosa retorica del virus che perde forza

Abbiamo visto come non sia per nulla scontato che un parassita si evolva verso una riduzione della virulenza; come moltissimi ricercatori esperti di epidemiologia (a differenza di chi scrive) hanno sottolineato, l’effetto della quarantena non dev’essere sottostimato, perché l’effetto di contenimento dell’infezione che consente di abbassare il valore di R (che invece negli scenari previsti dall’evoluzione tenderebbe a venire massimizzato!) ha impedito lo sviluppo di nuovi focolai epidemici e limitato l’aggravarsi di quelli già in atto, assicurando il tempo necessario ad adattare la risposta del sistema sanitario.

La retorica della “risposta esagerata” e` pericolosa soprattutto perche` perche` arriva in un momento in cui l’unica arma su cui possiamo contare per impedire un nuovo picco epidemico e` la responsabilizzazione individuale. Questa e` vera e propria disinformazione che espone le persone ad ulteriori e non necessari rischi: è importante mantenere alto il livello di guardia, il peggio è passato ma la tempesta non è ancora finita!

Articolo per La Scienza Risponde a cura di Matteo Bonas

Approfondimenti

Expert reaction to comments reported in the media by Prof Alberto Zangrillo about the COVID-19 virus in Italy

Bibliografia:

van Dorp, L., Richard, D., Tan, C. C., Shaw, L. P., Acman, M., & Balloux, F. (2020). No evidence for increased transmissibility from recurrent mutations in SARS-CoV-2. bioRxiv.
Kermack, W. O., & McKendrick, A. G. (1927). A contribution to the mathematical theory of epidemics. Proceedings of the royal society of london. Series A, Containing papers of a mathematical and physical character, 115(772), 700-721.
Nowak, M. A. (2006). Evolutionary dynamics: exploring the equations of life. Harvard University Press.