“Il diario geniale della signorina Shibata”, è geniale per davvero. Un libro dai toni ironici e brillanti che racconta in prima persona la storia di Shibata, l’unica donna in un ufficio di soli uomini. Un romanzo breve, scorrevole, che insegna a riflettere sulle condizioni di una donna incinta nel Giappone di oggi. Allo stesso tempo, pagine che immortalano immagini di semplici momenti di imbarazzo e disagi sottili, ma significativi, per una donna nel mondo del lavoro. Qui su BRAVE parliamo di questa piccola perla edita da Mondadori e scritta da Emi Yagi.
Come si apre il diario geniale della signorina Shibata: disagio sul posto di lavoro
Shibata ha trentaquattro anni. Non ha un marito, ha una laurea e lavora per un’azienda che produce le anime di cartone dei rotoli di carta.
Qualcosa a lavoro non va. Solo perché donna, i colleghi e il suo capo spesso la sottovalutano e danno per scontate diverse mansioni extra che deve eseguire. Shibata deve fare il caffè, le fotocopie. Shibata deve consegnare la posta e ripulire la sala ristoro. Non è scritto da nessuna parte che deve, ma basta uno sguardo, una parola in più per fare in modo che lo faccia. Svilita, stanca, Shibata deve anche cambiare il toner della stampante quando termina, raccogliere l’immondizia e non può permettersi di essere impegnata per il vero lavoro per il quale è stata assunta.
Ripeto che nessuno mi aveva detto chiaro e tondo che quelli erano miei compiti. Ma se per caso trascuravo qualcosa, ecco che mi chiamavano: “Ehi, microonde!”.
Io non mi chiamo microonde!
Riportiamo un’altra citazione direttamente dalle pagine del libro, questa volta riguardo il caffè, un elemento importante, riportato anche nell’immagine di copertina:
[…] Vedevo spesso i miei colleghi andare in cucina con la loro tazza e farselo in autonomia. Ma, per qualche oscuro mistero, quando arrivava un cliente si dimenticavano di colpo quanto fosse semplice e cominciavano a fissarmi con note di disappunto nello sguardo. E se per caso continuavo a lavorare senza curarmi di loro, ecco che mi chiamavano: “Ehi, caffè!”. Io non mi chiamo caffè!
Un espediente narrativo geniale: la gravidanza
La routine a lavoro per Shibata è sempre la stessa. Un giorno però, proprio non ce la fa: dichiara di non sopportare l’odore del caffè perché è incinta. Questo è l’espediente che apre il libro. Il suo è un diario diviso per capitoli scanditi dalle varie settimane della sua “gravidanza”.
Le sue emozioni passano attraverso estratti di quotidianità e di vita vera. Il trattamento da parte dei colleghi cambia, le risparmiano gli “extra”.
Il diario geniale della signorina Shibata: il racconto di una donna sola
Nel diario si leggono parole di monotonia. Un’aria di tristezza e malinconia pervadono il racconto. La solitudine di una donna che non può condividere le sue emozioni è tangibile. Shibata può parlare solo con altre mamme in attesa al corso di aerobica, ma fino a che punto? Il suo collega, piuttosto bizzarro, Higashinakano, sembra essere l’unico a interessarsi davvero a lei, a preoccuparsi della sua salute. Perché?
Il libro informa su una condizione davvero difficile per le donne in Giappone. Estratti del libro come questo, lasciano riflettere su rinunce e sacrifici di donne che non possono contare sull’aiuto degli uomini nell’accudire i loro figli.
“Oggi come oggi, molte donne vogliono tornare a lavorare anche dopo il parto, o meglio, devono tornare a lavorare dopo il parto, altrimenti non riescono a mantenere i figli, ma non avendo qualcuno a cui affidare i pargoli devono dedicarsi alla ricerca di un asilo che abbia posto.”
Toni leggeri per momenti di difficoltà
La forma diaristica del romanzo permette una lettura molto agevole. Il tono di Emi Yagi è sarcastico, ironico, avvicina chi legge con semplicità. Denuncia le difficoltà mostrandole con scorci di vita vissuta, momenti di intimità e immagini vivide, mai banali, mai scontate e rappresentate come fotografie a chi osserva. Non sempre viene esplicitata la critica, a volte basta leggere le parole di Emi Yagi, gli episodi quotidiani e cogliere riflessioni importanti.
Nonostante tutto sia nato come una grande menzogna da parte della nostra protagonista, pian piano inizi a chiederti: dove possiamo scorgere il confine tra realtà e bugie?
Articolo di Sofia Pucciotti