Vincitore del Leone d’oro all’ultima mostra del cinema di Venezia, La scelta di Anne esce in anteprima mondiale in Italia il 4 novembre. Basato sul romanzo autobiografico di Annie Ernaux L’evento, la trama è incentrata su una ragazza universitaria nella provincia francese che decide di ricorrere all’aborto ancora clandestino, nel 1963. Abbiamo incontrato la regista del film “La scelta di Anne” Audrey Diwan e la protagonista Anna Maria Vartolomei.
Intervista alla regista del film “La scelta di Anne”
Audrey Diwan, il suo film “La scelta di Anne” racconta la storia di un aborto, ma non solo, si tratta di una storia di libertà in cui la protagonista decide di essere padrona del proprio corpo ad ogni costo, sfidando un sistema che la condanna e una morale implacabile.
No, infatti, è un film sulla libertà ma c’è qualcos’altro che è essenziale per me: è anche un film sul desiderio, il desiderio femminile e la frustrazione. Il film si svolge negli anni degli anni della frustrazione sessuale, in cui le donne dovevano rinunciare ai propri desideri perché altrimenti il prezzo da pagare era troppo alto. Questo è anche il tema di fondo del film: la libertà di prendere il controllo del proprio corpo e attraversi cio crescere sia fisicamente che intellettualmente.
Quando si parla di aborto ci si limita spesso a considerare gli aspetti etici e morali, in realtà chi non lo ha vissuto, non sa cosa sia realmente un aborto. Invece sia nel libro di Ernaux che nel suo film “La scelta di Anne” c’è poco spazio alla teoria, si decide invece di mostrare l’aborto reale.
Una cosa è essere contro l’aborto e un’altra è accettare che l’aborto è illegale e tutto ciò che deve attraversare una donna che decide di non essere pronta o che non vuole avere un figlio. La realtà dell’aborto clandestino è brutale, carnale e precisa e le giovani generazioni non lo sanno. Così ho dato forma a idee che non erano più astratte ma che hanno una realtà. È questa realtà concreta che spinge avanti le idee, mi sembra. Non ci nascondiamo più dietro le parole ma ci troviamo di fronte a rappresentazioni precise.
Anche io ho vissuto un aborto, un’interruzione terapeutica di gravidanza che ho raccontato nel mio primo romanzo (Il Consolo, Fandango Libri in uscita il 28 ottobre ndr). È stata un’esperienza traumatica ma mi sono detta che se chi è contrario alla mia scelta sapesse cosa ho vissuto, avrebbe uno sguardo nuovo sulla questione. Il film non è ancora uscito ma quali sono state le reazioni del pubblico alle prime proiezioni?
C’è stata una reazione che mi ha particolarmente colpita e mi ha confermato l’importanza del mio approccio al tema: abbiamo mostrato questo film agli studenti, alla fine della sessione un giovane ha parlato per dire che era culturalmente, politicamente e dal punto di vista religioso contro l’aborto. Ma che il film ha fatto che ora ha iniziato a porsi domande, come il viaggio di Anne ha spinto tutte le sue convinzioni.
Audrey Diwan, quanto è importante parlare di aborto clandestino oggi, quando è legale in Francia e in diversi paesi europei da diversi decenni?
Quando studio una materia, non lo faccio in modo etnocentrico. Va ricordato che l’aborto non è legale in tutti i paesi d’Europa, ad esempio in Polonia dove le leggi sono cambiate di recente. Il modo in cui affronto l’argomento comprende parti del mondo in cui la legge è più severa ed è destinata a fare notizia. Ero pienamente consapevole che affrontare il tema dell’aborto illegale nel 1964, significava parlare necessariamente e tristemente di attualità. Quando ho iniziato a scrivere mi è stato chiesto molto se questo è un argomento necessario ora e le notizie internazionali hanno risposto per me, basta vedere cosa sta succedendo in Argentina dove l’aborto è legale da poco tempo o in altre regioni che stanno facendo marcia indietro, come il Texas o Polonia, per esempio. L’argomento è quindi ancora altrettanto urgente.
Parliamone con la protagonista del film, Anna Maria Vartolomei
Anna Maria Vartolomei, quali sono i sentimenti che più caratterizzano il tuo personaggio?
Solitudine e determinazione. Da una parte Anne è molto sola, tutti la deludono (medici, amici, anche l’uomo di cui è incinta) ma è anche estremamente determinata. Anne è davvero un soldatino dall’inizio alla fine, va in guerra, ha degli alleati, ne perde alcuni per strada, si ritrova sola ma si rialza e raggiunge il suo obiettivo, non si arrende mai. Per me la sfida era trasmettere la solitudine nel corpo, nel respiro, negli sguardi. C’è una frase nel libro che mi ha davvero colpito, Annie Ernaux, che nel momento in cui ha smesso di avere il ciclo non riusciva a pensare ad altro che a una macchia nei pantaloni. Ho cercato di essere in perenne interrogativo e sempre preoccupato
La storia di Anne è rappresentativa della storia di tutte le donne e del femminile?
Sì, penso che il corpo della donna sia sempre stato messo in discussione, è sempre stato un problema, la donna ha sempre scatenato guerre di potere. Sono molto orgogliosa di questo personaggio e di questa rappresentazione della giovane donna che è pienamente consapevole del suo corpo, della sua sessualità, che osa e si afferma. Penso che abbiamo bisogno di più rappresentazioni come questa perché la lotta è ancora in corso.
A cura di Orsola Severini