Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa: storia di una storia che non cambia mai

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Di Marco Pozzato

Unica opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo” viene pubblicato postumo nel 1958 da Feltrinelli. Dopo una lunga gestazione editoriale vince il Premio Strega e diventa il primo bestseller italiano. La storia narra delle trasformazioni avvenute in Sicilia durante il Risorgimento, in particolare in una famiglia aristocratica dell’epoca.

Capostipite della famiglia è Don Fabrizio Corbera, intellettuale raffinato e cinico osservatore della fine della nobiltà, che trova come unico conforto l’osservazione delle stelle. Stelle che ci ricordano quanto piccoli e poco importanti siamo.

Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli o pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”

La spedizione dei Mille, guidata da Garibaldi è sbarcata a Marsala. Il regno d’Italia sta per nascere. I borghesi stanno per prendere il posto della nobiltà, che ferma nella loro storia secolare, non sa come reagire all’avvento del nuovo. Don Fabrizio Corbera guarda immobile il mondo che cambia e si chiude nella convinzione che la Sicilia non potrà mai essere davvero modificata nella sua struttura, nel suo orgoglio.

Il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono.”

Questa frase iconica però, non viene detta da Don Fabrizio, ma da Tancredi Falconieri. Un nipote di Don Fabrizio, ambizioso e intraprendente che, fiutando il cambiamento in atto, non esita a schierarsi della parte dei vincitori, dei borghesi, del nuovo governo italiano.

Di cosa parla realmente “Il Gattopardo”

Pare a prima vista (per chi non ha letto il libro) che il romanzo parli dell’immobilità della storia. Di uomini voltagabbana che fanno il doppio gioco per promuovere le proprie cause, che promettono il cambiamento che però è solo formale, senza sostanza. Il sentimento che però sottende tutto il racconto, è un sentimento di sconfitta, di fine ineluttabile, di morte. Don Fabrizio è l’emblema di questo sentimento. Una roccia antica che si staglia a petto in fuori tra i venti del cambiamento, in attesa di essere eroso pian piano, fino a diventar polvere.

Romanzo antistorico per eccellenza, “Il Gattopardo” nasce come romanzo storico ottocentesco, ma risente dell’influenza del decadentismo. Ne viene fuori una storia che non parla della storia ma del rapporto dell’uomo con la storia, e della piccolezza di ognuno di noi di fronte al tempo, che riduce tutti all’oblio: gattopardi, leoni, sciacalli, pecore…

Marco Pozzato

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