Alcune arti come la letteratura ed il teatro, restano immortali nel tempo e nonostante le epoche differenti, talvolta alcuni drammi, possono esser così vicini tra loro, tralasciando ogni categoria spazio-temporale ed ogni confine geografico.
E’ quello che è accaduto ieri durante la rivisitazione in chiave prettamente odierna, della tragedia Shakespeariana da parte degli attori-detenuti a Rebibbia, per la regia di Fabio Cavalli.
Un Amleto dal dialetto Siciliano, non più nel Castello di Elsinore ma ambientato nel nostro sud, terra di maestosa bellezza ma anche terra di Faide, di clan e di sangue.
Tra l’emozione e la curiosità di noi spettatori, le luci si abbassano ed inizia lo spettacolo: Nel bel mezzogiorno d’Italia, sei “picciotti” (parola in dialetto siciliano, che significa ragazzi), hanno la stessa allucinazione ovvero quella di vedere nel cuore della notte lo spirito del “Capo”, l’Amleto padre, ucciso per mano del fratello Claudio e della moglie Gertrude.
Ogni stacco di scena ha un accompagnamento musicale, (diretto e scritto dal maestro Franco Moretti), strettamente collegato alle colorature ed al pathos di alcuni momenti dello spettacolo.
In seguito il re Claudio (dal dialetto calabrese), durante il dialogo con la moglie Gertrude, (l’eccezionale attrice Vanessa Cremaschi), afferma che “a vita avi a continuare” anche dopo la morte del fratello ed accenna ai contrasti imminenti fra “compari” e “picciotti”, visto che Fortebraccio vuole riprendersi i propri territori che gli furono stati usurpati.
Nel mentre Laerte, figlio di Polonio, dal contraddistinto dialetto Partenopeo, vuole andare al “nord” ed il padre Polonio gli raccomanda di “restare sempre fedele alla parola data”.
Il Grande attore-detenuto che interpreta l’Amleto Siciliano, parla con Orazio della propria condizione famigliare e ha parole di acredine verso la madre Gertrude che dopo la morte del proprio marito, “si trova un’autru”.
Ofelia, graziosa fanciulla interpretata da un’eccelsa Chiara David, innamorata di Amleto, parla con Laerte, suo fratello, che non è concorde a questa unione, perché “le leggi della famiglia non prevedono la parola amore”.
Anche il padre Polonio la deride e le attribuisce l’appellativo di “picciridda stupida“, per la sola “colpa” di provare un sentimento primario come l’amore, per una persona “sbagliata”.
Ma si sa, l’amore nella lotta fra faide non esiste, esiste solo l’odio, il sangue, la vendetta.
Ofelia rappresenta la figura della donna nei clan, nelle faide, oggetto di contenzioso ma anche elemento “scomodo” in taluni casi. Argomento assai dibattuto in questi giorni, vista l’attualità della tematica. Una donna “suddita”,”prigioniera” e talvolta “complice” del contesto marginale nel quale vive.
Amleto ,difatti nel loro dialogo, esclama “si o non si tu questo è il problema”, intrattenendola con parole dispregiative e le consiglia con rabbia di “dedicarsi a Dio” e di lasciar perdere l’amore verso di lui.
Nel frattempo vi è il celebre dialogo fra Amleto padre ed Amleto figlio, nel quale il primo chiede al proprio discendente di uccidere lo zio Claudio; “tuo zio deve morire,lo devi squartare”.
Dopo l’incontro, Amleto diventa ancora più tetro, ed i sovrani preoccupati, mandano a chiamare Rosencrantz e Guildenstern, due “compari” di Amleto, affinché capiscano la causa che ha ridotto in queste condizioni il “principe”.
I due mandanti parlano con il loro compare Amleto, dicendo che vi sarà una rappresentazione teatrale della “compagnia di attori di Rebibbia” e il giovane “principe Siciliano”, escogita un piano ovvero quello di organizzare un siparietto comico che metta in scena uno spettacolo simile all’assassinio del padre, chiamato “Trappola per topi”, nel quale “si ride e si chiange”, per verificare effettivamente se le accuse dello spettro sono vere.
Amleto così ,scoprirà realmente l’amara verità ed il triste destino del padre, controllando le reazioni che avrà suo zio Claudio.
Durante lo spettacolo, Amleto ne avrà conferma e Claudio , “finto pentito”, invoca Dio pregando e chiedendo perdono.
Nel frattempo, la regina stabilisce insieme a Polonio che, mentre lei parlerà con il figlio Amleto, il consigliere si nasconderà nella sua camera, cosicché possa riferire al re le parole del principe.
Quest’ultimo scambia Polonio per il re e lo uccide, esclamando con sentimento di collera “c’è un tupazzu fitusu”.
Amleto parte per il sud, Claudio parla dell’onore dei calabresi ed esclama che “fino a Reggio vivo non ci arriva!”.
Laerte cerca vendetta, sangue cerca sangue, ed è per questo che Claudio fa intingere di un veleno mortale la spada di Laerte, in modo da poter uccidere Amleto.
Nel frattempo Ofelia, uscita fuori di senno, si uccide gettandosi in un lago e tre becchini si occupano di lei, intrattenendo in chiave ironica la scena.
Amleto si accinge dinanzi alla tomba della fanciulla, insieme a Gertrude, Claudio e Laerte.
Si giunge alla fine della rappresentazione con il duello fra Amleto e Laerte perché ” in gioco c’è sempre l’onore”.
L’Amleto Siciliano impersonato dall’attore-detenuto è stato un Amleto sublime per la veridicità che vi era in lui, nei suoi occhi cerulei che trasmettevano tanto, nei suoi gesti forti.
Eccezionali non solo nel recitare ma nel trasmettere totalmente ciò che sentivano, attraverso i loro occhi da cui traspariva il loro mondo, attraverso la loro voce, il loro dialetto che è parte integrante della loro storia personale.
Ci hanno fatto vivere appieno la loro vita, i loro sentimenti, hanno denudato totalmente la loro anima dinanzi a noi , intrisa di dolore, pentimento, rabbia.
Hanno strillato la loro voglia di vivere.
Ci hanno fatto vivere.
Grazie per ciò che ci avete donato.