Il Parlamento Europeo ha approvato per alzata di mano, in plenaria a Bruxelles, un emendamento presentato da Renew Europe che “condanna le istruzioni impartite dal governo italiano al Comune di Milano di non registrare più i figli di coppie gay”. Il Parlamento Europeo, si legge ancora nell’emendamento, “ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli; ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989; esprime preoccupazione per il fatto che tale decisione si iscrive in un più ampio attacco contro la comunità Lgbtqi+ in Italia; invita il Governo italiano a revocare immediatamente la sua decisione“.
Le sentenze della Corte Ue
La condanna arrivata ieri dal Parlamento, però, non riguarda questa proposta, che è ancora in fase embrionale (dovrà essere valutata, emendata e approvata dall’Eurocamera e dagli Stati membri, cosa che potrebbe prendere anni). Semmai, la risoluzione degli eurodeputati è un monito all’Italia a rispettare quanto prevedono già oggi le leggi europee e quella internazionali. Per capire meglio il problema bisogna fare riferimento ad alcuni casi in cui figli di coppie gay si sono trovati in una sorta di limbo quando i loro genitori si sono spostati da uno Stato membro dell’Ue all’altro. Nel 2021, per esempio, la Corte di giustizia dell’Ue aveva condannato la Bulgaria, che si era rifiutata di rilasciare carta d’identità e passaporto a una bambina di due anni, nata in Spagna da madre bulgare, perché la madre era sposata con un’altra donna (cosa legale in Spagna, ma non in Bulgaria). In quell’occasione, la Corte spiegò che, sebbene la competenza sul diritto di famiglia è di competenza esclusiva dei singoli Stati, quando si tratta del diritto alla libera circolazione delle persone, che è invece una della basi a fondamento dell’adesione all’Ue, questo va riconosciuto da un Paese all’altro.
Questi diritti sono stati riconosciuti da diverse sentenze della Corte di giustizia dell’Ue, ma continuano a essere violati da diversi Stati membri, non solo l’Italia. Per questa ragione, la Commissione europea ha deciso di recente di fare ordine e chiarezza mettendo a punto una proposta volta a superare la selva di leggi nazionali, e a garantire il rispetto di una serie di diritti basilari dei minori in tutto il blocco. In questa proposta, è stato inserito il certificato europeo di genitorialità, che dovrebbe per l’appunto favorire i riconoscimenti dei diritti acquisiti in un Paese quando ci si sposta in un altro Stato Ue. La proposta della Commissione, però, ha fatto scattare subito la ferrea opposizione della Polonia, che ha accusato il testo di essere una sorta di testa d’ariete della maternità surrogata. Accusa a cui si è presto accodato il governo Meloni.