Ryan, bambino di appena 5 anni, è ancora lì sotto bloccato a 30 metri di profondità come Alfredino Rampi nel 1981, caduto in un pozzo vicino Vermicino. Tutto il Marocco è con il fiato sospeso, la storia di questo bambino sta già facendo il giro del mondo. Alle 6 di questa mattina sono iniziati i lavori per lo scavo di un tunnel orizzontale. Procedono in un clima di mobilitazione e ansia continua le operazioni di recupero.
Un’intera montagna – letteralmente – è stata sbancata stanotte, con l’arrivo del sesto bulldozer. Un cratere di 30 metri, parallelo al pozzo, lascia lo spazio ai topografi di studiare gli ultimi accorgimenti. Durante la notte ci sono stati smottamenti che hanno fatto temere il peggio. Sulla catena del Rif, a Nord del Marocco, teatro dell’incidente, i lavori di recupero si sono rivelati più difficili del previsto, troppa roccia, troppi ostacoli. Ai microfoni di una emittente locale il responsabile del comitato di soccorso ha detto che Ryan ha chiesto dell’acqua, alle 3 del mattino, quando una piccola telecamera introdotta nel pozzo lo ha sorpreso sveglio e cosciente, dopo quasi 60 ore di calvario: «Ryan parla e risponde alle domande».
Un lavoro senza sosta per portare in salvo il bambino
Dall’alba di oggi gli escavatori cercano di bucare anche la roccia per creare finalmente il corridoio di tre metri e raggiungere il bambino. Tra i tecnici c’è anche chi lavora ormai ininterrottamente da 24 ore in una gara di solidarietà che in Marocco non ha precedenti. Ambulanza e staff medico sono sul campo, per prestare i primi soccorsi al piccolo, una volta che sarà libero. Intanto, la Rete rimbalza immagini di code e imbottigliamenti sulle piccole strade che portano a Tamrout, il villaggio di Ryan. E’ una folla di curiosi, di cittadini arrivati da ogni angolo del Marocco, nella speranza di vedere quel bimbo uscire dal pozzo.
Come quel 10 giugno del 1981
Tutto proprio come quel 10 giugno del 1981, quando gli italiani rimasero incollati davanti alla televisione per seguire la vicenda analoga di Alfredino Rampi, in cui ebbe un ruolo fondamentale anche Angelo Licheri, l’uomo che si calò nel pozzo nel tentativo di salvare il bambino, l’uomo non si sentì un eroe, «Cercavano uno piccolo, e allora sono andato», raccontò poi, quando la morte di Alfredino lo stava già accompagnando nella vita. Licheri sapeva che cercavano volontari, magri e coraggiosi, per i soccorsi: per non far preoccupare la moglie, disse di andare a comprare le sigarette. Ma andò a Vermicino perchè voleva salvare Alfredino. «Arrivato chiesi della madre di Alfredino», raccontò. Il pozzo era largo 28 centimetri, Angelo non era uno speleologo, ma era minuto a sufficienza, il suo tentativo di salvare Alfredino è rimasto nella storia.
Claudia Di Giannantonio
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