Sono stata scelta come inviata al FEFF e ho deciso, questa settimana, di parlare di un gore che ho visto proprio al festival: l’indonesiano Impetigore.
Ciao e anche questo venerdì siete i benvenuti alla mia rubrica di Cinema per Stomaci Forti. Io sono Marya e questo è:
Bloody Mary, Bloody Friday!
Oggi parlerò di Impetigore, pellicola diretta da Joko Anwar. Sempre al FEFF, consiglio dello stesso regista anche il film Gundala. Avete mai visto un cine-comic indonesiano? Non sapete cosa vi state perdendo.
Due parole su Impetigore:
Essendo una puntata “diversa” dal solito, procederemo in maniera diversa. Iniziamo dalla scheda tecnica del film:
Paese: Indonesia
Anno: 2019
Durata: 108’
Directed by: Joko Anwar
Script: Joko Anwar
Photography: Ical Tanjung
Editing: Dinda Amanda
Production Design: Frans Xr Paat
Music: Aghi Narottama, Bembi Gusti, Tony Merle.
Producers: Shanty Harmayn, Tia Habisuan, Aoura Lovneson Chandra, Ben Soebiakto.
Cast: Tara Basro (Maya), Ario Bayu (Ki Saptadi), Marissa Anita (Dini), Christine Hakim (Nyi Misni), Asmara Abigail (Ratih), Kiki Narendra (Bambang), Zidni Hakim (Ki Donowongso), Faradina Mufti (Nyai Shinta)
La trama si apre in una buia e inquietante notte, fitta d’oscurità. Ci troviamo al casello d’autostrada dove lavorano, in cabine separate ma prossime, Maya e la sua amica Dini. Maya teme di doversi di nuovo ritrovare faccia a faccia con un inquietante automobilista che pare la perseguiti da alcune notti, che ovviamente appare.
Come al solito, non sono una fan delle sinossi e non voglio andare molto oltre. Ma sappiate che saranno le parole di questo misterioso sconosciuto a portare la giovane Maya in un viaggio nella sua mente. Un percorso che la farà render conto delle sue origini e dei genitori che non ricorda. Maya parte alla volta del remoto villaggio di Harjosari, bastione di antiche tradizioni giavanesi. Un ruolo importante è dato dal wayang kulit, il teatro delle ombre con marionette fatte di pelle, a pratiche sciamaniche di magia nera. Un percorso spaventoso ed esoterico, che conduce Maya alla scoperta della propria identità. Scopre di chiamarsi, infatti, Rahayu. Ma non solo: scopre della maledizione che suo padre Ki Donowongso ha inflitto alla sua comunità.
Come mi è sembrato?
Allora. Considerando in tutte le sfumature del suo intreccio, la trama potrebbe magari non convincente fino in fondo. Ci sono un paio di buchi di sceneggiatura, ma lo riscontro spesso negli horror. Tuttavia i pregi del film sono altro: ad appagare è soprattutto il ritmo, sostenuto ma non inutilmente forsennato. La scorrevolezza è garantita da altre e più nobili tecniche al di là dei classici colpi di scena, disseminati in maniera un po’ troppo indiscriminata quando la minaccia non si rivela poi affatto presente. Il senso d’angoscia cresce in special modo con l’approssimarsi dell’epilogo, contraddistinto dalla non banale rinuncia ad un vero e proprio happy ending.
L’assenza di alcun finale positivo è una grande qualità del film.
Impetigore: conclusioni
Ho apprezzato il linguaggio spinto cui si ricorre solo nella prima sequenza e l’impiego extradiegetico del famosissimo “Inno alla gioia” di Beethoven. Viene usato in modo originale pur essendo celeberrimo riguardo al sortilegio. Non lo dico con intento critico ma apprezzante: un po’ kitsch e spavalda nell’operazione che la pellila attua per alcune alienazioni di contesto
Grottesca ma stupenda è anche la spigliatezza dimostrata da Dini di fronte a quelli che crede degli stupratori, dove per aver salva la vita arriverebbe a cedersi carnalmente. Un cinismo tagliente ci pervade in quella sequenza.
Nel complesso la tecnica con cui viene alimentata l’atmosfera tormentosa di questo horror “delle province lontane” è efficace. Oltretutto io amo il genere. Costruito con innegabile maestria, frutto di dedizione evidente, riesce a far incuriosire fino all’ultima inquadratura. Emerge poi il messaggio di far soffocare le tracce della civiltà contemporanea fino a farle soccombere di fronte l’inumana atemporalità del quotidiano vissuto nel villaggio. Proprio così approdiamo dove, come molti altri episodi, pure le rappresentazioni ancestrali e ricche di fascino del teatro giavanese di marionette non solo solo una visione suggestiva, ma un simbolo.
Non eccelso, ma decisamente godibile con delle perle sparse che lo rendono del tutto unico. Consigliato.