In che modo la prima telecronaca in Italia ha cambiato il modo di vivere il calcio?

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Di Marta Millauro

C’era una volta la radio, poi arrivò la televisione. A quel punto il pubblico si trovò di fronte ad una scatola che trasmetteva non solo voci, ma immagini. Il passaggio fu brusco, ma ricco di sorprese. Tra le novità che introdusse questo strumento vi fu la telecronaca sportiva. E in un Paese di santi e calciatori la palla calciata divenne subito protagonista di questo nuovo modo di coinvolgere tifosi e curiosi. Era il 13 dicembre del 1953 e la Rai trasmetteva in diretta per la prima volta il secondo tempo di Italia-Cecoslovacchia. Ad accompagnare i passaggi, i tiri in porta e i falli delle due nazionali c’erano le voci di Carlo Bacarelli e Vittorio Veltroni. Come più tardi testimoniarono i due giornalisti, fu un’esperienza sconvolgente, accompagnata da “una sensazione strana, sottile e deliziosa“. Ma la paura di fallire fu subito sostituita dall’entusiasmo di iniziare il pubblico ad un nuovo modo di vivere il calcio, ad un racconto coinvolgente che continua ad esistere, seppur sia mutato nel tempo.

Sessantotto anni fa allo stadio Luigi Ferraris di Genova i calciatori acquistarono un volto per il grande pubblico. A fine partita la vittoria dell’Italia, accompagnata dal lampante risultato di 3-0, fu definita “una luminosa affermazione di buon auspicio per il non più lontano campionato del Mondo“. Vi era un’aurea di solennità nel descrivere le gesta dei 22 eroi in campo; un’attenzione minuziosa nell’esaltare ciò che i telespettatori stavano condividendo con i telecronisti. Da questo nuovo modo di vivere il calcio ne trasse vantaggio anche il lavoro del giornalista. Baccarelli e Veltroni erano la prova lampante che esisteva una deontologia di redazione. La fiducia che i ciechi ascoltatori della radio avevano precedentemente riposto in loro, era stata finalmente ripagata. Le immagini divennero la riprova della loro sincerità nei confronti degli spettatori.

13 Maggio 1953, Italia-Cecoslovacchia, prima telecronaca sportiva in Italia – Credits: Archivio Storico Luce

Telecronaca e calcio: una storia d’amore infinita

Da quel giorno la telecronaca si è evoluta insieme alla crescita del mezzo televisivo. Il linguaggio quasi aulico ed eccessivamente prosaico ha lasciato spazio a una narrazione ritmata, essenziale. Se inizialmente il giornalista appariva distaccato rispetto al soggetto del racconto, oggi i toni esuberanti e lo slang utilizzato rendono il telecronista sempre più simile al tifoso che impreca e si emoziona dal divano di casa sua. Cambiamenti che sono speculari alla percezione che gli italiani hanno avuto nel tempo della stessa televisione: prima corpo estraneo, poi elemento essenziale dell’arredamento e del vivere quotidiano. Il contenuto si adatta sempre al mezzo e, basta osservare il nuovo modo di fruire il calcio, per rendersene conto. Nonostante si sia, però, passati da una rete unificata, detentrice di tutti i diritti televisivi, ad una proposta di streaming sempre più ricca e frammentata, la telecronaca continua a esistere poiché strumento essenziale per la decodifica delle immagini e compagno virtuale insieme a cui emozionarsi.

La partita in se è un rituale e, come tale, necessita di una guida. Il telecronista si pone a servizio del telespettatore; diventa quella persona che migliora l’esperienza televisiva. Di lui mi fido poiché ne ho testato le conoscente e la simpatia. La sua voce deve coinvolgere, trasportare sugli spalti. Il calcio non è solamente sport, ma intrattenimento e perciò richiede un conduttore all’altezza dello spettacolo. Il giornalista deve risultare si professionale, ma non altezzoso; deve parlare un linguaggio semplice e che lo identifichi. Solo in questo modo si renderà complementare ad uno sport che, fisiologicamente, non necessita di parole per esistere. E’ proprio per questo che la scelta delle parole diventa fondamentale per il successo della telecronaca e del telecronista.

Beppe Bergomi e Fabio Caressa, telecronisti di Sky Sport – Photo Credits: Juve Magazine

Gli appassionati di calcio sapranno, sicuramente, riconoscere l’inconfondibile duo composto da Caressa e Bergomi, dalla voce scattante di Pier Luigi Pardo o ancora dai toni di Sandro Piccinini. Ognuno di loro racconta lo stadio in maniera diversa e appoggia la sua telecronaca su modi di dire riconoscibili, diventati ormai dei veri e propri tormentoni. Da Caressa ci si aspetta, dunque, la fatidica frase che a fine primo tempo recita: “L’arbitro dice che può bastare e manda tutti a prendersi un meritatissimo te caldo“. Lo spettatore sa che il tecnicissimo Bepppe Bergomi parlerà di verticalizzazioni e si riferirà al suo collega con un “Si, Fabio”. Vi sono poi espressioni come “Gollasso!“, “Brivido!“, “Sciabolata!” o l’indimenticabile “Partiti!” di Bruno Pizzul.

La telecronaca continua a vivere sulla Rai, su Sky, DAZN, Prime Video, Mediaset e Infinity perché racconta una storia di cui l’uomo ha bisogno. Inizia con un “C’era una volta” camuffato dal fischio dell’arbitro, si interrompe con la caduta di un giocatore e termina con una vittoria, una sconfitta o un pareggio. Come in tutte le favole che si rispettino ci sono dei protagonisti che agiscono, che avanzano verso un’obiettivo: la porta. La telecronaca ha l’arduo compito di raccontare cosa avviene in quei 90′, prendendosi cura di uno spettatore che vuole gioire, arrabbiarsi, urlare, saltare, applaudire, anche di fronte a un “Quasi Goal!“. La telecronaca da voce alle immagini, le rende indelebili nel tempo. Triplice Fischio.

Marta Millauro

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