L’importante indagine “Mai dati!” dell’Associazione Coscioni rivela una verità sconfortante: 72 ospedali hanno personale obiettore tra l’80 e il 100%. La libertà di scelta e autodeterminazione delle donne circa l’interruzione di gravidanza è in pericolo e il percorso perché possano raggiungerla sembra essere ancora lungo. A 43 anni dall’approvazione della legge 194, è infatti ancora difficile capire che non c’è qualcosa su cui si debba, e soprattutto possa, obiettare.

“Mai dati”: lo studio sull’interruzione di gravidanza di cui avevamo bisogno

Presentata durante il Congresso Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, la mappatura fornisce alle donne un quadro completo della realtà negli ospedali italiani. L’ultimo, fornito dal Ministero della Salute e aggiornato al 2019, non evidenzia percentuali di presenza di obiettori in ogni regione né gli ospedali in cui alle donne non è permesso abortire. Risultato? Un insieme di dati che poco o nulla servono a una donna che decide di interrompere la propria gravidanza e che rischia di non poterlo fare nella propria regione. Condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina presso l’Università “La Sapienza”, e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, l’inchiesta “Mai dati!” fa più chiarezza sulla vicenda, che dimostra il fallimento del senso morale degli italiani.

Ora, si immagini di essere una donna che vuole interrompere la propria gravidanza e di trovarsi davanti non conforto, ma un’impietosa opposizione. E questo non solo nelle cliniche private, dove un indifferente “paese che vai… ” può liquidare la scelta del medico, ma anche negli ospedali pubblici e nei consultori. Sono infatti 72 gli ospedali in cui il personale obiettore è tra l’80 e il 100% e 18 quelli con il 100% di ginecologi obiettori; in 22 ospedali e 4 consultori c’è almeno una categoria lavorativa con il 100% di obiettori. Le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori sono: Abruzzo, Veneto, Umbria, Basilicata, Campania, Liguria, Lombardia, Puglia, Piemonte, Marche, Toscana.

Così facendo, ‘inchiesta entra nei dati aggregati per regione del Ministero, evidenziando le singole realtà ospedaliere. Se ne evince come la negazione della scelta non risparmi e dilaghi in ogni declinazione di centri sanitari che dovrebbero, per loro stessa natura, accogliere, non respingere.

Ma la 194 prevedeva gli obiettori

Ebbene sì. A garantire le decisioni di quei medici che si sottraggono all’interruzione volontaria di gravidanza la legge 194/1978 prevede l’articolo 9, secondo il quale, con preventiva dichiarazione, si può sollevare obiezione di coscienza, tranne in casi in cui l’intervento “è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”. D’altra parte, però, la legge dice anche che ospedali e luoghi preposti devono garantire che interruzione di gravidanza si possa svolgere comunque, essendo l’obiezione una scelta del singolo medico e non dell’intera struttura. Eppure in Molise c’è solo un ginecologo a tempo pieno a effettuare aborti, e uno di certo non basta per un’intera regione.

L’alternativa è pericolosa e non risolve certo il problema

Pierangelo Bertoli, nella sua “Certi momenti” contestava l’idea che imporsi col rifiuto potesse dirsi più cristiano. Pensarlo sarebbe nascondersi dietro una maschera di ipocrisia perbenistica che tifa per la vita, non redendosi conto di quanta vita nel frattempo limiti e, spesso, spenga. L’alternativa è quella dell’aborto clandestino, che né sdogana gli obiettori dagli ospedali pubblici né è sicura, ma spesso è l’unica possibile. Secondo i dati 2018 di ISTAT e ISS vi ricorrerebbero tra le 10 mila e le 13 mila donne. Che non si meritano di morire perché qualcuno ha deciso per loro e che vedono la violazione dei propri diritti fondamentali, ancora e ancora. Che non hanno avuto l’ultima parola sui propri corpi.

Sara Rossi