Ecco l’intervista in cui abbiamo avuto l’onore e il privilegio di parlare con il doppiatore di BoJack Horseman, Fabrizio Pucci, attore e dialoghista, e con lui abbiamo viaggiato nei meandri di questa grande quinta stagione.
Questa storia comincia tanti anni fa, quando ero ancora una bambina, guardavo quei film americani e tutti (e dico proprio tutti) quegli attori parlavano nella mia lingua, l’italiano. E mi dicevo “Cavolo, ma com’è possibile che Richard Gere parla italiano così bene?”. Poi crescendo, come quando ti dicono che Babbo Natale in realtà non esiste, mi hanno rivelato che quella grande magia era chiamata doppiaggio e che dietro tutti quei film che io avevo visto con occhioni pieni di stupore e ingenuità, c’erano adattatori, doppiatori e altre mille persone che lavoravano per noi e per rendere quei film così vicini alla nostra cultura. Fu così che decisi che il mondo dell’adattamento e del doppiaggio sarebbero diventati un giorno la mia passione e, forse, anche il mio lavoro.
Quella passione non l’ho mai abbandonata e conoscere il volto di chi c’era dietro quella magia mi ha sempre accompagnata. E qualche settimana fa ho cominciato in grande stile, con un maestro del doppiaggio, Fabrizio Pucci. Una pietra miliare, una voce imponente e calda, irripetibile e inconfondibile. Che abbiamo ascoltato almeno una volta nelle serie tv di successo, nei film più importanti. Ma anche (e non solo) una persona fantastica, interessante e piena di talento. E io ho avuto l’onore di chiacchierare con lui, tra un turno e l’altro di doppiaggio.
Se vi nominassi Hugh Jackman, Hugh Grant, Willelm Dafoe, Christopher Eccleston, sono convinta che nella vostra mente risuonerebbe la sua voce. Ma, non per ultimo, BoJack Horseman, il cavallo più famoso della Tv, (se volete saperne di più sulla quinta stagione, cliccate qui) meravigliosa voce ufficiale per la versione italiana di Netflix, degno del suo doppiatore originale Will Arnett. E insieme abbiamo parlato della fantastica avventura che è stata costruire la voce di un personaggio così complesso e affascinante. E questo ruolo non poteva che essere affidato alla voce evocativa di Fabrizio Pucci.
Appena si presenta, da sua fan, gli dico quanto è stato eccezionale in questa quinta stagione. Gli rivelo che mi ha fatto piangere più di Will Arnett. Lui sorride e mi ringrazia, e già lì capisco la grandezza e l’umiltà dell’artista che c’è dietro a un doppiatore che ha alle spalle 40 anni di carriera. Gli chiedo com’è stato tornare nei panni di BoJack per il quinto anno consecutivo, se è stato complesso, difficile. “Guarda, ormai io sono un tutt’uno con BoJack, riprendo un personaggio che conosco bene e che un po’ mi somiglia. L’ho reso mio anche perché condividiamo lo stesso passato, quell’ironia cattiva. Fa parte della mia generazione, quella delle droghe, del bere smodato, facciamo entrambi lo stesso mestiere, siamo due attori, con idee molto simili. Riprendere BoJack ogni anno è un piacere, più che un lavoro.” Ed è qui che sorge spontanea la domanda “Ma quanto sei BoJack da 1 a 10?” e lui ridendo rivela “10. Completamente BoJack. Qualcosa di quel che ha fatto lui, l’ho fatta anch’io. Diciamo che adesso sono più maturo. Mi sono dato una calmata!” E così che gli chiedo com’è stato interpretare i due grandi episodi con monologhi pazzeschi, “Stupido pezzo di m*rda” (4×06) e “Churro gratis” (5×06), che rimarranno nella storia delle serie tv. “Il primo è stato più faticoso dal punto di vista tecnico, era molto sincopato, i passaggi erano stretti, con movimenti vocali complicati. Mentre il monologo del funerale è stato duro, perché in qualche modo poneva delle tematiche mie personali, dei buchi che lui aveva con sua madre, io con mio padre. E’ stato faticoso dal punto di vista emotivo”.
Tra una domanda e l’altra mi chiedo se BoJack un giorno potrà avere il suo lieto fine, la sua redenzione. Fabrizio pensa che lui sta già vivendo quella fase “La sua malattia è la sua redenzione. Il fatto che lui sia un uomo rotto dentro, spezzato, è quello che gli permette di essere se stesso, perché paga lo scotto delle sue azioni in vita. Il non vivere in maniera felice, spensierata è già la sua condanna”. Quindi BoJack non può essere una persona migliore? Chiedo io, aggrappandomi all’ultima speranza. “No. Lui non può diventare una persona migliore, lui è quello. BoJack buono sarebbe finito. La poesia è sempre nata dal conflitto, dal contrasto, dal dolore, dalla sofferenza. La poesia non nasce dalla felicità. BoJack è quello e quello resterà. Potrà essere più o meno soddisfatto, gratificato. Ma il suo male rimarrà tale. Ed è quel male che lo rende quel che è. Intelligente, cattivo, ironico, estremamente critico nei confronti di sé stesso.” Poi parliamo del successo che la serie ha avuto in madrepatria e anche qui in Italia “E’ una serie che ha riscosso parecchio successo in America, strapremiata, in Italia ancora dovrà decollare. Forse perché Netflix, in Italia, è visto ancora come un prodotto di nicchia. E inoltre BoJack ha un target ben preciso. E’ difficile che un pubblico adulto, nonostante le tematiche che tratta, capisca BoJack. I disegni sono aspri, con un segno particolare. Un sessantenne potrebbe far fatica a calarsi in un mondo così surreale. Un mondo in cui gli animali convivono con gli esseri umani. E gli animali sono esseri umani a loro volta. Potrebbe essere percepito come qualcosa di alieno.” Ma in BoJack tutto è concesso.
Cerco di indagare tra i mille personaggi interpretati da Fabrizio (Gli Incredibili 2, Wolverine, Lo Hobbit, Doctor Who e tantissimi altri) e chiedo quale sia il suo preferito. Io tifavo per BoJack. Fabrizio sorride e dice “Sì, è lui il mio preferito”. E soddisfatta per questa piccola conquista ci congediamo, sapendo che ci saremmo rincontrati nel prossimo viaggio, quello della sesta stagione di BoJack Horseman.
E voi, quanto siete BoJack da 1 a 10?
Arianna Lomuscio
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