“Basta ragazzi, fin’ora abbiamo scherzato. Ogni anno i produttori volevano un film per Natale. Adesso si può fare anche un po’ sul serio: il dolce mescolato all’amaro”. Sembrerebbero le parole di Carlo Verdone. Che non mantiene, però, le sue promesse. Stasera in tv “Io, loro e Lara“, un film del 2009, è la descrizione, sempre comica, diversamente non si può, della famiglia. Non tutta cenacolo e focolare, ma moderna. Attraverso un assortito campionario di squilibri e disfunzioni, il regista e attore romano, continua con la sua “lente d’ingrandimento”, ad analizzare il presente. Malinconia e amara ironia, tutto, è ancora, incarnazione dalla realtà. Un film caro e mai dimenticato, perché dedicato alla memoria di Mario Verdone, padre del regista, scomparso nel 2009.
Missionario in Africa per oltre vent’anni, padre Carlo Mascolo (Carlo Verdone), decide di tornare a Roma in seguito ad una profonda crisi esistenziale e di fede. Per ritrovare il calore della famiglia e cercare di superare il problema. Ma il rientro sarà traumatico: ad attenderlo una società schizofrenica, priva di rapporti umani. La sorella Bea (Anna Bonaiuto), e il fratello Luigi (Marco Giallini), sono diventati avidi e cinici, concentrati su se stessi. Incapaci di relazionarsi all’interno della famiglia. Il padre (Sergio Fiorentini), si è sposato con Olga (Olga Balan), la sua badante. Ma arriva Lara (Laura Chiatti), guida turistica, bella e dalla vita complicata, specialmente notturna. E’ la figlia della badante, resterà solo un’amica?
Io, loro e… “tanti volti e poche maschere”
“Sono stato un pedinatore di italiani, un osservatore maniacale del dettaglio, un’analista del peccato veniale. Assorbivo debolezze, tic e fragilità e le riproponevo in chiave di commedia. Il fumatore con il dito giallo di nicotina, il macho che si toccava il “pacco” per sentirsi un vero uomo, o il playboy che partiva per Cracovia con il sedile ribaltabile e il pettinino nella tasca della giacca, non esistevano soltanto nei film. Erano intorno a me. Li avevo visti con la stessa curiosità che fin da bambino, dal bagno di servizio della casa in Via Lungotevere dei Vallati, mi aveva spinto a guardare il sarto cucire per ore orli e pantaloni o la ragazza dai lunghi capelli castani con cui un giorno sognavo di fidanzarmi, indirizzare parole a chissà chi riempiendo grandi fogli bianchi”.
Un seriale scrutatore Verdone, che finirà per scoprire che le strade sono popolate da personaggi autenticamente comici, coatti più di quelli dei suoi film. Lui che iniziò la sua carriera all’Alberichino, teatrino di cinquanta posti che, al termine degli spettacoli, diventava ristorante. Un repertorio di uomini, imitazioni semmai sincere, poi giunto nei suoi film. In “Io, loro e Lara“, il sacerdote, non sarà lo stesso di “Un sacco bello“, don Alfio da Crotone, pane vino e parabole. Neanche quello di “Acqua e sapone“, il finto padre Spinetti e le sue locuzioni “con questo Cristo Che si immola“, ma, questo Don Carlo, resterà incredulo e indignato alla decadenza che ha davanti. E, spinto dalla generosità, si ritroverà in situazioni assurde. Con il suo candore, pronto ad assolvere e non condannare il prossimo. Con l’affettuosa tolleranza di chi si sente umano, debole e disagiato come gli altri.
Missione sacerdote
Un comico vestito da prete strappa sempre una risata. Ma, questa volta, davanti gli occhi di un missionario, ci sono le ipocrisie di un paese e l’egoismo. Un sacerdote di oggi, come quelli che si incontrano nelle periferie, abituati a fare delle loro omelie, concrete solidarietà in strada. Nonostante ciò, una rappresentanza dell’ordine, chiamò il regista. Preoccupati, credendo che fosse stata svilita la figura sacerdotale. Una tonaca accanto una bellezza come la Chiatti! “Tremendamente seri, vennero in quattro e vollero vedere il film“, racconta Verdone. Così, prima dell’uscita nelle sale, il film ebbe anche una benedizione.
Stessa cosa accadde con la Cei (Conferenza Episcopale italiana): erano in cinquanta, e quattro suore. Nessuno rideva, ma l’approvazione e un pace e bene, arrivò con sollievo. In realtà, vedere un film di Verdone, sarà sempre come sedersi al cinema. Magari, in una di quelle vecchie sale di cui oggi resta solo il nome. Su una poltroncina di velluto rosso del Capranica, nell’omonima piazza, o al America a Trastevere, con i sedili di legno di stampo più popolare. A respirare la romanità, a farsi gioco del tempo che passa. Dove per fermarlo, ci vogliono incaute risate. Rigaglie e rimasugli di individui a mettere a nudo il cuore.
Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan cinema.