Ippolito Pindemonte, precursore del concetto leopardiano di decadenza

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Di Redazione Metropolitan

Ippolito Pindemonte, nato a Verona il 13 novembre 1753, è stato un poeta e letterato italiano. Nonostante in vita sia stato anche più apprezzato di Foscolo e di Monti, oggi resta conosciuto perlopiù in merito alla dedica foscoliana dei Sepolcri e alla sua attività di traduttore. Con quest’articolo, dunque, vedremo quali sono state le principali opere dell’autore e il contributo offerto alla letteratura italiana.

Ippolito Pindemonte, tra gusto neoclassico e preromantico

L’attività letteraria di Pindemonte si manifesta pienamente in quel momento di transizione tra la serenità del Neoclassicismo e l’agitata sensibilità preromantica. Già nelle prime manifestazioni dell’autore, la Fata Morgana (1782) e le Stanze di Polidete Melpomenio (1784) si nota una forma di equilibrata mediazione di queste tendenze. Ippolito trascorre la sua vita soprattutto nella sua città natale, alternando questi momenti anche all’organizzazione di lunghi viaggi e soggiorni nella Villa di Avesa (una villa tra i monti veronesi in cui il poeta amava rifugiarsi).

E’ proprio qui che compone uno dei suoi lavori più significativi e che oggi ci impegneremo ad analizzare: Prose e poesie campestri, scritte tra il 1784 e il 1788.

Prose e poesie campestri, l’incontro con il creato e il distacco dal mondo contemporaneo

Ippolito Pindemonte subisce continuamente il fascino del mondo antico, e in particolare di quello greco. Egli stesso, infatti, è stato traduttore dell’Odissea omerica che, sebbene non nella versione più felice, è comunque un incredibile esempio di componimento neoclassico, arricchito dal gusto malinconico caratteristico dell’autore. Non stupisce, dunque, che una delle opere più importanti di Pindemonte (Poesie e prose campestri) torni a una visione idilliaca della natura. L’autentico contatto con il mondo rurale, infatti, concede al poeta di cogliere l’armonia del creato, distaccandosi finalmente dalla corruzione e dalla decadenza della contemporaneità.

Prose e poesie campestri, Ippolito Pindemonte. PhotoCredit: maremagnum.
Prose e poesie campestri, Ippolito Pindemonte. PhotoCredit: maremagnum.

La vita solitaria della campagna, in cui l’uomo ritrova la propria unità interiore minacciata dai condizionamenti della società, richiama indubbiamente il concetto latino di locus amoenus; attraverso di esso sarà possibile raggiungere un ideale paradiso perduto, contaminato dai progressi dell’ambiente cittadino. Questo concetto verrà particolarmente apprezzato da Leopardi, che maturerà la consapevolezza di vivere in una realtà decadente.

La malinconia e l’isolamento di Pindemonte

Le Poesie Campestri sono espressione di una necessità di isolamento e otium a contatto col mondo naturale e allo stesso tempo una puntuale considerazione critica della società e della sua evoluzione. Un senso di inadeguatezza, quindi, che pervade il poeta per tutta la sua vita. Per questo il veronese ha bisogno dell’isolamento, immerso nella natura, per poter sfuggire agli ambienti mondani. Ad esso si aggiunge, poi, un sentimento di dolce tristezza e malinconia (che chiama “ninfa gentile”), che probabilmente trova il suo perché nelle precarie condizioni di salute di Pindemonte. Ritrovarsi nella natura diventa, quindi, rifugio in cui nascondersi e luogo in cui ritrovare se stesso. Delle poesie raccolte, interessante è soprattutto il dialogo con la luna, che definisce “diva”:

Steso sul verde margo
D’obblio soave ogni altro luogo io spargo.
Quai care ivi memorie
Trovo de’ miei prim’anni,
Quai trovo antiche storie
De’ miei giocondi affanni!

Busto di Ippolito Pindemonte. PhotoCredit: biografieonline.
Busto di Ippolito Pindemonte. PhotoCredit: biografieonline.

Autore complesso ed erudito, dall’animo sensibile. Questo era, dunque, Ippolito Pindemonte. Non solo traduttore e scrittore prolifico. Una personalità gentile, legata alla purezza del mondo antico. Ed in effetti, perché si dovrebbe necessariamente associarsi all’irrefrenabile progredire del mondo contemporaneo, che spesso comporta la perdita dei valori più veri?

Martina Pipitone