Per il Dantedì di oggi, si affronta il Canto VIII, in cui è collocato il V Cerchio: la zona dell’Inferno in cui sono puniti gli iracondi e gli accidiosi. Il traghettatore è, in questo caso, Flegias, altro personaggio della mitologia che Dante utilizza per connettere la sua opera al mondo classico.
Iracondi ed accidiosi: il V Cerchio dell’Inferno
Era la notte dell’8 e 9 aprile del 1300. Dante e Virgilio giungono sulle sponde di uno dei fiumi più infernali, di nome Stige. Questo forma una palude fangosa che circonda completamente la città di Dite. I due poeti incontrano, così, anime ignude e sporche di fango. I primi sono gli iracondi, che in vita si fecero sopraffare dall’ira. Per questa ragione, essi sono condannati a infliggere dolore a se stessi e alle altre anime, mordendosi e percuotendosi ferocemente. Gli accidiosi, invece, si trovano sommersi nelle acque paludose del fiume, dove, muovendosi disperatamente, emettono continui sospiri. Sono quelle anime che in vita trattennero l’ira interiormente, covando continuo rancore.

Flegias: il traghettatore degli Iracondi e degli Accidiosi
Dante e la sua guida notano, fin da subito, delle fiammelle che sembrano equivalere a dei segnali di chiamata e risposta: sono i diavoli che comunicano da una sponda all’altra del fiume. Giunge così, velocissimo, Flegias, il traghettatore degli iracondi e, probabilmente, anche degli eresiaci. Personaggio della mitologia greca, figlio di Ares e Crise, compare già nel libro VI dell’Eneide (vv. 618-620), tra le ombre dei peccatori che scontano gravi pene nell’Ade. Nell’Inferno, il poeta lo colloca nel V Cerchio, come custode della palude che circonda la città di Dite.
Non è chiara la fonte da cui Dante abbia tratto l’aspetto demoniaco di questo personaggio: certa è, però, la connessione tra l’origine etimologica del nome Flegias e il fuoco che caratterizza le mura della città, rosse per il foco etterno. Flegias, infatti, rimanda all’aggettivo greco “Flegéton” (ardente).
L’incontro con Flegias
Dopo essere giunto prestissimo presso i due viaggiatori, il demone Flegias apostrofa Dante, come se si trattasse di una delle anime dannate. Subito ripreso da Virgilio, Flegias fa salire i due poeti sull’imbarcazione, rendendosi conto del fatto che uno dei due fosse di passaggio, un uomo ancora in vita, per via del fatto che il suo corpo era dotato di peso.
Flègias, Flègias, tu gridi a vòto”,
disse lo mio signore, “a questa volta:
più non ci avrai che sol passando il loto”.
Qual è colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto. e poi se ne rammarca,
fecesi Flègias ne l’ ira accolta.

Filippo Argenti: un fiorentino tra gli iracondi
Filippo de’ Cavicciuli, detto Argenti per aver fatto ferrare il suo cavallo con ferri d’argento, è l’anima peccatrice incontrata da Dante lungo il tragitto che, in barca, lo conduceva a Dite. E’ lo stesso poeta a riconoscerlo immediatamente. Dopo che il peccatore, infatti, si era rivolto, infastidito, a Dante, chiedendogli come avesse fatto a trovarsi all’Inferno prima di giungere alla morte, questi lo individua come uno dei suoi più accesi nemici politici. L’Argenti, vissuto a Firenze nel XIII secolo, fu Guelfo di parte Nera e, quindi, avverso a Dante stesso. Non solo, sembra che il peccatore si fosse anche opposto al ritorno in patria del poeta dopo l’esilio.

E’ chiara, dunque, la motivazione per cui Dante decise di porlo in questo cerchio dell’Inferno: l’ira e la rabbia che tanto lo avevano motivato in vita contro il suo avversario, ora gli avevano garantito un posto tra i dannati iracondi ed accidiosi. Il poeta non poteva far altro che godere, dunque, della punizione a cui era stato condannato: subire l’incombere dei corpi dannati su di sé, che gli dilaniavano il corpo. Egli, inoltre, si avvinghiava contro se stesso rabbiosamente.
Martina Pipitone