Irene Facheris, l’intervista: anche le eroine femministe piangono

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Di Rossella Papa

Se si parla di informazione sui diritti LGBT + e parità, Irene Facheris – in arte Cimdrp – la ritroviamo sempre in apri fila.

Irene Facheris: uno sguardo di genere sul mondo

Formatrice e scrittrice, Irene è la fondatrice di Bossy, la piattaforma nata nel 2014 che lotta contro le discriminazioni e disuguaglianze maschili e femminili. Ben oltre gli stereotipi, la formatrice milanese ha contribuito con audacia alla crescita di una comunità di divulgazione su tematiche di genere e di pari opportunità delle minoranze. La sua voce è il pensiero autentico che sdogana i tabù del sessismo, sull’onda di un femminismo che coinvolge le prerogative di chiunque.

Così acuta da comprendere quanto i canali che abbiamo a disposizione sono uno strumento di potenza assoluta, Irene Facheris ha sfruttato anche Youtube per fare cultura. Con la sua videorubrica “Parità in pillole” nata nel 2016 ha diffuso gli stessi ideali che conseguiva su Bossy, ma con un pubblico ancora più giovane e con lo stimolo proprio della natura di questi contenuti. E la stessa energia che riserva per i suoi quattro podcast “Coming out: storie che vogliono uscire” ed “Equalitalk” su Audible, “Palinsesto Femminista” su Spotify e “Lenti femministe: uno sguardo di genere sul mondo” in esclusiva per Patreon.

La battaglia comune per la realtà

Se c’è da piangere, Irene piange davanti a tutti. Se c’è da ridere, ci fa ridere tutti. E allora se c’è una battaglia più semplice in cui coinvolge anche i più timorosi è proprio la verità. Per farci comprendere quanto la nostra natura non è da classificare diversa, ma soltanto reale. 

Autentica, ironica e temeraria: Irene Facheris non è solo un personaggio famoso, ma una personalità esemplare. A partire dagli studi di Psicologia dei Processi Sociali e Decisionali ai gender studies, le battaglie di Cimdrp si fanno scudo con una cultura ricercata e acuta. È la consapevolezza di esperienze e la curiosità intelligente a farci ritenere Cimdrp una moderna (e simpatica) paladina della libertà individuale. Ma soprattutto, di un bene che non ha sesso né soprattutto categoria. 

L’intervista a Irene Facheris

Formatrice per mestiere, quindi esperta dei processi di apprendimento degli adulti. E cosa stanno imparando questi “adulti” dal femminismo dei nostri anni?

Per molti adulti fare i conti col femminismo equivale a fare i conti col cambiamento e il cambiamento è tanto più difficile quanto più hai da perdere, se cambi.
Un cambiamento fatto di nuove domande, di domande impegnative e imbarazzanti rispetto al proprio passato: rispetto a ciò che si è fatto, a ciò che si è pensato, a ciò che non si è stati capaci di vedere anche se, anche allora, c’era.
Un cambiamento fatto però anche di interlocutori nuovi.

Il femminismo della seconda ondata (anni 70) pur con tutti i suoi meriti, le giuste battaglie combattute, ha anche indubitabilmente prodotto delle esclusioni, delle incomprensioni, e forse anche dei rancori tutt’ora presenti.
Credo che molti adulti oggi possano, grazie al femminismo intersezionale, accogliere i loro limiti passati ed elaborarli con più comprensione di sé e meno vergogna.
Non c’è dubbio che, anche in questo campo, il non sentirsi giudicate, permette a molte persone di fare passi avanti insperati.

Femminismo o fanatismo?

Una diciottenne che si approccia oggi al femminismo si trova di fronte più forme di espressione a riguardo: a quale credere? Qual è il rischio che corre un femminismo degenerato in fanatismo?

Una diciottenne, ma io credo anche un diciottenne, che si approccia oggi al femminismo dovrebbe fare quello che dovrebbe fare chiunque: studiare, informarsi, conoscere, non accontentarsi di intuire.
Per comprendere due punti secondo me importanti nel continuum delle espressioni femministe.

Il primo è quello che segnali tu quando parli di “fanatismo” perché il femminismo è politica e la politica è sintesi, è fare i conti con ciò che è realisticamente possibile fra ciò che è augurabile.
Ma vi è un altro punto che mi preoccupa allo stesso modo, ed è il femminismo di facciata, di opportunità, cioè un femminismo manipolatorio che si accontenta di alcuni elementi superficiali ma che non si azzarda a disturbare il manovratore.

Le differenze a partire dai privilegi

Parità e privilegio: parliamone.

La differenza è un elemento costitutivo non solo dell’essere umano ma proprio della realtà.
Biologicamente parlando il concetto di uguaglianza non ha moltissimo senso mentre ne ha da un punto di vista etico.
A me pare più laico il termine “parità” perché accoglie come strutturale il tema della differenza, pur senza accettarlo passivamente considerandolo come immodificabile.


Laddove c’è una differenza questa può diventare fonte di privilegio, se indossiamo queste lenti osserviamo una serie di privilegi, e dunque di ingiustizie, che vanno a costruire un quadro complesso e stratificato.
Penso ad alcune persone che vengono discriminate in funzione di alcune differenze e che se ne ritrovano addosso più di una.

Per fare un esempio semplice: essere donna oggi significa subire delle discriminazioni ma essere una donna nera significa subirne di più, essere una donna grassa significa subire una discriminazione, essere una donna nera e grassa significa subirne ancora di più, e poi potremo proseguire col tema delle abilità, della provenienza, dell’orientamento sessuale, di quello religioso, e chi più ne ha ne metta.

Diventare consapevoli dei propri privilegi, oltre che delle discriminazioni eventualmente subite, significa per ogni essere umano provare a combattere per quelle che si esperiscono direttamente nella consapevolezza che c’è qualcuno che sta peggio… una consapevolezza per nulla consolatoria ma che dovrebbe aiutarci a organizzarci, per far sentire anche le battaglie che non ci coinvolgono individualmente delle battaglie da combattere, ecco perché si parla di femminismo intersezionale.

Salute mentale: Irene Facheris rompe il muro

Salute mentale: il 9 ottobre hai postato una foto dove espressivamente ammettevi di stare male.
Molti hanno ritenuto questo gesto “coraggioso”: ma questo di base non è forse alla base del problema-tabù? Forse non dovrebbe essere ritenuto un gesto coraggioso, ma naturale.

Comprendo chi l’ha definito coraggioso perché al termine coraggioso possono essere dati differenti significati.
Se è coraggioso fare ciò che fanno in pochi allora è coraggioso, il fatto è che non dovrebbe esserlo ma per smettere di esserlo forse occorre accettarlo oggi.
Il problema in questo caso è che non è difficile farlo per ragioni legate a specifiche capacità o alla complessità dell’oggetto o a una quota di necessaria incoscienza ma è culturale.

Molte patologie generano dispiacere o solidarietà ma raramente giudizio e in questi casi è relativamente facile essere empatici.
Altre patologie, in particolare quelle a carattere sessuale e quelle legate alla psiche, invece non funzionano in questo modo.
Per ragioni di pudore le patologie a carattere sessuale non vengono raccontate, anche perché a molte di queste è associata la colpa di chi ne soffre e conseguentemente il giudizio, vero o solo presunto, da parte degli altri.

Sulle psico-patologie dobbiamo provare a fare lo sforzo di comprendere la ragione per la quale è difficile parlarne e accettarle. Risiede, secondo me, nel fatto che, ad esempio, un diabetico non è inquietante perché resta del tutto prevedibile nei suoi comportamenti mentre una patologia che riguarda la mente invece inquieta, perché noi ci immaginiamo di avere a che fare con una persona, appunto imprevedibile, potenzialmente pronta a qualunque comportamento e che sfugge dalle regole e dai canoni socialmente accettati.

Ovviamente non è vero, o non necessariamente vero, per certo statisticamente improbabile, ma come sappiamo bene per l’essere umano è molto più facile allertarsi che fidarsi.

C’è bisogno di parlare di emozioni

Da una parte si dovrebbe parlare di più della salute mentale, dall’altra bisognerebbe normalizzare il modo in cui se ne parla. Mi sembra un processo ancora lungo… da dove incominciamo?

Dal parlarne. Quando le persone scoprono di non essere sole si sentono meno sbagliate, imparano a legittimarsi e ad allenarsi a parlare di sé e a parlare di sé agli altri, educandoli.
Più che di coraggio c’è bisogno di metodo e di persone disponibili. E poi c’è bisogno di parlare di emozioni e di come si sta in relazione con esse: le proprie e quelle altrui.
Me ne occupo da una decina d’anni come formatrice e ci ho scritto un libro ma questo vuol solo dire che credo che sia importante, non che sappia sempre cosa e come fare…

Iniziative al femminile: una su mille ce la fa?

Sei stata candidata come donna dell’anno 2020 da D-Repubblica, in mezzo ad altre donne ammirevoli proveniente da ambiti differenti. Un gesto onorevole, stimabile, di grande orgoglio.
Ma… l’idea di dover trovare una donna migliore dell’altra non mi sembra abbia qualcosa a che fare con la parità. C’è forse un po’ di confusione?

Il giorno che l’ho saputo ho sentito forti due emozioni contrastanti o forse due categorie di
emozioni.
La prima è stata ovviamente di contentezza, di fierezza, di gratitudine per chi aveva pensato a me. Non solo Narciso era contento ma anche la persona che da anni oltre ai complimenti e all’affetto degli altri si è presa anche un mare di cattiverie…
La seconda categoria invece ha sentito come un gessetto sulla lavagna.

L’idea che “una su mille ce la fa” non mi ha mai convinta, culturalmente e soggettivamente.
Io sono competitiva sui contenuti, con me stessa per le richieste che mi faccio ma non con le persone, men che meno se sono “sorelle” e l’idea che alla fine vinca una non avvalora quell’una e rischia di svalorizzare tutte le altre.
Fra di noi ci sono moltissime differenze: età, ambiti, oggetti, finalità, popolarità e non ha senso trovare l’algoritmo che metta d’accordo tutto, perché possiamo essere pari nonostante le differenze.

Culturalmente il secondo è ancora visto come il primo dei perdenti. Questo è il vero problema.
Ho scelto di dire queste cose prima perché dette dopo avrebbero un valore differente.
Detto ciò, arriverò 50ma e sarò ugualmente fiera e grata a chi mi ha aiutato ad avere questa possibilità.

Il femminismo fa bene anche ai maschi. Perché?
Perché, ne siano consapevoli o meno, hanno da guadagnarci anche loro.
Tutto sommato solo pochi hanno da perdere molto, concretamente, effettivamente.
Ai più è stato raccontato che perderebbero qualcosa e non sono stati mai aiutati ad ascoltarsi per davvero, a comprendersi e a rendersi conto di cosa stanno perdendo realmente, a cosa stanno rinunciando…

Lockdown? Ha a che fare con il tema del cambiamento

Covid e lockdown, ci hanno messo un po’ tutti davanti un grande fantasma che governa la nostra vita: il tempo. Il lockdown ci ha infragiliti, oppure ci ha dato modo di affrontare finalmente i mostri sotto il letto?

Il Covid non se lo sarebbe augurato nessuno, questa mi pare un’ovvietà, se pensiamo al dolore che ha causato è del tutto evidente che ne avremmo fatto a meno.
Ma è arrivato, c’è, e dobbiamo farci i conti, dobbiamo capire come fare a evitare contagi e morti, dobbiamo capire cosa e come fare per evitarlo e quali problemi genera. Il Covid non è un problema, è una condizione che genera dei problemi e i problemi si risolvono guardandoli in faccia, non maledicendoli.

Detto questo, ma proprio per non far la figura della Vispa Teresa, potremmo, dovremmo prenderci il lusso di guardare anche alle opportunità che questa pandemia ci mette davanti.
Di nuovo ritorno sul tema del cambiamento, tema sul quale qualche anno fa ho lavorato a fondo, perché il cambiamento si comincia ad affrontarlo attivamente quando si riconosce di
avere anche del potere di fronte ad esso, anche se all’inizio non lo vediamo e ci sembra
stranissimo anche solo immaginarlo.

Un sipario sulle derive del passato

Il Covid ci sta dicendo qualcosa dei comportamenti passati: molti dei problemi attuali li abbiamo per non esserci preparati ad affrontare certe situazioni, per aver deciso di disinvestire in alcuni campi, di ridurre gli investimenti in altri, ma ci dice anche qualcosa dei comportamenti futuri, che dovremmo mettere in atto nel futuro, sostanzialmente sono
comportamenti che vanno nella direzione ecologica.

Certe derive devono essere interrotte, il primato dell’economia, in particolare del modello capitalistico, deve essere arginato, per il bene del pianeta.
Mi fermo perché si aprono file giganteschi…

Ciao Irene, come stai?
A livello sociale, bene, tutto sommato.
Consapevole dei miei privilegi e delle responsabilità conseguenti.
Felice di condividere queste riflessioni con un sacco di bella gente, prevalentemente giovani.
Realisticamente fiduciosa ma non senza ansia…

A livello personale, male.
La mia salute mentale raramente è stata così fragile e sto cercando di capire come accogliere questa fragilità. Credo che parlarne sui social mi abbia aiutata, ma penso ci siano tanti altri passi da fare.

Rossella Papa