C’eravamo tanto amati, ma poi ci siamo detti la verità. Non tutte le crisi sono consapevoli, ed è forse quello che manca per l’accettazione, per vivere una decostruzione per tempo. I pareri più in disaccordo, se vedete, son di quelli che credevano “che andasse tutto bene”. E invece abbiamo smesso di appendere gli striscioni sui balconi da un bel po’. Il governo Draghi non arriva in un momento inaspettato, è solo l’accelerazione di una crisi che si muoveva come un serpente, silenziosa e velenosa. 

Se considerazioni sociologiche e filosofiche associano la pandemia alla guerra, allora non dovrebbe di certo stupirci un cambio di governo in questa circostanza. Corsi e ricorsi: forse dovremmo ricordare il cambio di governo avvenuto dopo la sconfitta di Caporetto, durante la Prima Guerra Mondiale. E siamo nel 1917. Quello che accomuna è l’esigenza di una stabilità che possa far fronte alle conseguenze di eventi così totalizzanti, ed entrambi estremamente drammatici. 

Governo Draghi, whatever it takes

La paura spaventa, e che banalità. Ma è un filtro che sfoca le ragioni insite che sono proprie di un’istituzione. Per cui, che il timore del concetto “crisi” spaventi i cittadini è una reazione naturale – nel senso primario – ma che questa crisi fosse l’inevitabile riflesso dell’anno del terrore, è altrettanto ordinario. 

E a questo punto si perde pure il romanticismo, ma la crisi (prima) e il nuovo governo Draghi (poi) non ha nulla di straordinario e sorprendente durante questo periodo. Eventi così destabilizzanti, come la pandemia, esigono una stabilità politica decisa e pronta. E se il vecchio governo non era forte tanto quanto l’esigenza dell’Italia, ben vengano anche le crisi. Si distrugga e si ricostruisca. A patto che si focalizzi l’obiettivo: il solo benessere del paese, al di là della pandemia. A maggior ragione della pandemia. 

Che in Italia il fascino del passato sia una litania eterna è ben noto, ma piuttosto che ergere a nostalgia o condanna il ritratto di Conte, si inizi a conoscere chi ci governerà. Di Mario Draghi cosa sappiamo? Tra una e l’altra giravolta politica, non è soltanto l’uomo al centro di una manovra di palazzo. È il più politico dei tecnici, che in qualche modo ci aveva già salvato con «whatever it takes», la salvezza dell’euro. E adesso improvvisamente tutti si ricorderanno del 26 luglio 2012, quando lo stesso Mario Draghi, a cui oggi affidiamo paura e speranza, alla guida della Banca centrale europea ha difeso “a ogni costo” la moneta unica europea dalla grave crisi economica che affliggeva l’eurozona. 

Sentivamo di avere bisogno di più

Una credibilità che non basta a consolare commercianti, e oltre 1,2 milioni di persone che (non più) lavorano nella ristorazione e non solo, inclusi tutti: che nella fiducia di un nuovo governo restano comunque a contare le pene del presente. Ma se sentivamo di avere bisogno di più, ora abbiamo qualcosa di migliore. E che non sia una risposta immunitaria ai problemi urgenti, si prospetta perlomeno una difesa più solida? Non si tratta di essere autoritari ma autorevoli, e il nuovo governo si presenta così: con una maggioranza più qualificata e Mario Draghi, prudente e realista. 

Col senno di poi siamo tutti migliori, ma se la crisi (strumentale, dicevano?) è servita a creare una squadra più solida, allora ha funzionato anche la strategia – se pur ce ne fosse una. Un governo Draghi che molti definiscono «marziano», forse per un riserbo che lo contraddistingue dagli ultimi mandati. 

Una strategia che non ha minato i partiti, ma che inevitabilmente ha fatto luce anche su questioni politiche di minoranza. Quelle delle donne: soltanto otto su 23 ministri, e nessuna proveniente dai partiti di sinistra. E, sempre sulla stessa linea, questa fase «costituente» non fa che rappresentare le falle e le forze del sistema. 

Ma non è questo il momento della polemica, è il tempo di una ripresa che prevedeva fatalmente una pulizia. Allo stesso modo con cui il lockdown ha fatto con vecchie routine che ci stavano deteriorando. Non che un governo di qualità sia la soluzione al problema, ma una formula politica che possa attivare il motore di ripresa. A partire dal programma degli investimenti e dal piano vaccinazione. 

Si pensava che forse la grande sfida era cercare consensi senza il rischio di far cadere il governo, ora capiamo che la missione non è soltanto una questione politica. È tutto nel vecchio slogan di Mario Draghi, come un amuleto per tempi incerti, che oggi riacquista un valore morale oltre la moneta. 

«Whatever it takes» ancora una volta, ma adesso per qualcosa di più. L’Italia, l’intero paese, il nostro, «A qualunque costo».