Italia: parità di genere in arrivo tra 135 anni

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Di Francesca Mazzini

Dopo che la politica è riuscita a dare il peggio di sé nella propaganda per le elezioni del 2022 – tra pensioni anticipate per le mamme e il reddito di 1000 euro per le donne casalinghe – e la vittoria del partito di Giorgia Meloni, la situazione in Italia per quanto riguarda la parità di genere continua a degenerare. Non ci resta che piangere.

In Italia dal 1977 a oggi – in 45 anni – il tasso di occupazione femminile è salito di appena 17 punti percentuali (dal 33% al 50%): la parità di genere nel mondo del lavoro – per non parlare di quella sui diritti civili – non è stata ancora raggiunta. Con i dati recenti alla mano, volendo fare un prospetto per il futuro, non ci siamo nemmeno vicini. E la politica di certo non aiuta, anzi continua a promuovere i soliti stereotipi legati al genere. 

Parità di genere in Italia: il rapporto del World Economic Forum

I tempi per la parità di genere hanno subito un’ulteriore dilatazione a causa del Covid, precisamente di 36 anni in più, secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che come ogni anno monitora il gender gap. 

Il rapporto stima che ci vorranno in media ancora 135,6 anni in Italia per raggiungere la parità di genere. Il bilancio ha visto un netto peggioramento negli ultimi anni. La pandemia ha fatto crollare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Sono diminuite le opportunità per le ragazze e le madri, che hanno visto ulteriormente appesantirsi il carico delle incombenze di cura della famiglia. I soliti stereotipi citati in precedenza.

Le statistiche del World Economic Forum hanno preso in considerazione quattro parametri: opportunità economiche, potere politico, istruzione e salute. I paesi classificati tra i primi più equi al mondo sono Islanda, Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia. L’Islanda è al primo posto per la dodicesima volta, con il 10,8% del suo divario di genere ancora da chiudere.

L’Italia si piazza al 63° posto della graduatoria che ha preso in analisi lo standard di vita in 156 paesi. Il governo Conte II, che è quello tenuto in considerazione dalla rilevazione, aveva raggiunto un record storico con una percentuale del 34% fra ministre, viceministre e sottosegretarie. L’altra faccia della medaglia, però, è la partecipazione economica, che ci vede scivolare al 114esimo posto, fanalino di coda a livello europeo: persistono le disparità di reddito e le donne in posizioni manageriali sono ancora poche. Il reddito stimato delle donne italiane è in media pari a solo il 57,2% di quello degli uomini e la differenza da colmare sulle retribuzioni è del 46,7%. 

Gender gap: la vittoria dei paesi del nord Europa

I paesi del nord Europa si sono classificati nelle prime posizioni della statistica del World Economic Forum per quanto riguarda il tema del gender gap.

«L’impatto della pandemia sulle donne è ancora probabilmente sottovalutato e non è pienamente visibile nei dati disponibili finora» – dice Saadia Zahidi, Direttrice generale del World Economic Forum – «ma le perdite visibili in termini di empowerment politico e partecipazione economica sono preoccupanti ed evidenziano la necessità per i governi e le imprese di impegnarsi nella ripresa con l’obiettivo dell’uguaglianza di genere bene in mente». 

La Zahidi sottolinea che i paesi nordici sono un modello di come creare resilienza a lungo termine, assicurando che ci siano infrastrutture di assistenza per sostenere le famiglie che lavorano, così come il supporto per i lavoratori che sono stati licenziati e per le imprese in difficoltà. 

«Tutto questo ripaga nel tempo in termini di uguaglianza di genere» conclude Zahidi. Non a caso, quindi,  l’occupazione femminile è più bassa dove è più debole la rete delle infrastrutture sociali, come per esempio in Italia, dove aiuti di questo tipo sono praticamente assenti su tutto il territorio. 

Francesca Mazzini

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