Nato a Teramo il 6 ottobre 1945, Ivan Graziani è stato uno dei cantautori più delicati e colti del panorama musicale italiano. Un artista che ha cantato la figura femminile fra incanto e ammirazione; incastonandola nella dimensione mitica e immutabile del ricordo e della giovinezza.
Ivan Graziani, l’unicità e la semplicità di figure femminili non omologate
Quello di Ivan Graziani è il falsetto più talentuoso e delicato del panorama musicale italiano. I brani del cantautore abruzzese si popolano di nomi, volti e figure femminili inattuali e autentiche. Ogni testo è una piccola narrazione letteraria che esordisce con un richiamo alla memoria; una figura immersa nel ricordo di un tempo non ben precisato. Nonostante l’artista abruzzese non esplichi chiaramente i contesti, è chiaro il riferimento agli anni giovanili. Numerose sono le donne che si susseguono nelle melodie di Graziani; Cleo la vergine bianca, Paolina amara come il sale, Marta dalle labbra rosse e i seni pesanti.
La lotta di Isabella e l’amore platonico e non convenzionale di Federica, protagonista di Maledette Malelingue. E, ancora, le donne senza nome, eppure così tangibili, come la figura femminile di Signora Bionda dei Ciliegi; la ragazza di Firenze canzone triste, motivo di contesa e discordia. Quello che riesce a fare Ivan Graziani è descrivere ogni figura femminile rendendola unica, non omologandola o facendola aderire a un modello in voga; ecco che, a ognuno di questi nomi che si susseguono, il cantautore abruzzese affianca una particolare caratteristica.
Un parallelismo con il poeta crepuscolare Guido Gozzano
Le donne di Graziani non sono donne che scalpitano per stare in prima fila; sono bellezze pure, fatte di piccole risse quotidiane, flebili gioie momentanee. Sono donne belle per altre qualità che esulano dalla mera estetica. Graziani parla di capelli, sorrisi, che non sono imputabili all’aspetto ma agli atteggiamenti. Queste sue descrizioni rimandano quasi a un verso di Gozzano, tratto dalla Signorina Felicita, in cui il poeta crepuscolare descrive una ragazza ”priva di lusinga” apparente; eppure, le efelidi e le sottili trecce ”color del sole” la rendono simile a un tipo di beltà fiamminga. L’immagine di Agnese color cioccolata è un ulteriore esempio di beltà non prepotente né, tanto meno, omologata.
La leggerezza malinconica di un tempo che non c’è più: la figura di Agnese
Questo pezzo risale al 1979 ed è inserito nell’album Agnese dolce Agnese. Ivan Graziani prende spunto dal tema del Rondò dalla Sonatina in Sol maggiore op. 36 n. 5 di Muzio Clementi. L’attacco del brano, “Se la mia chitarra piange dolcemente”, è invece un omaggio a While My Guitar Gently Weeps dei Beatles, scritta fa George Harrison. Agnese rappresenta tutto ciò che non si può più riavere indietro. In una serata malinconica, Ivan Graziani, rievoca la figura passata di Agnese; compagna di lunghe gite in bicicletta durante una vacanza estiva. La dimensione temporale, stavolta, si evince dalla descrizione che l’artista fa della ragazza; pelle color cioccolata, abbronzata quindi, e dall’immagine delle biciclette in riva al mare, in un giorno di agosto.
Il ricordo luminoso della giovinezza stride con una realtà cittadina grigia, immersa nel gelo dell’inverno, in cui il cantautore si ritrova in solitudine a bere i suoi ”liquori inquinati”; ripensando a un tempo aureo Graziani fa affiorare alla memoria il rapporto con Agnese, la sua tenerezza, le confidenze della gente che osservava il suo corpo con malizia e allegria. Il cantautore, vista la giovane età e l’inesperienza, non sa rispondere a queste confidenze se non con timida gelosia. A distanza di anni ripensa a quei momenti con struggimento e malinconia, rimpiangendo di non averla mai baciata. Agnese è il ricordo dorato e abbagliante di qualcosa di perduto durante la giovinezza; un momento che non tornerà mai più ma che, puntuale, fa capolino fra i ricordi.
Lugano Addio: Marta, il tema della nostalgia e i riferimenti politici
Il ricordo di Ivan Graziani si lega indissolubilmente alle ballate, alla malinconia struggente e alla nostalgia; un compendio reiterato da un tono di voce delicato ma, al contempo, potente. Graziani non era un cantautore commerciale; le sue storie colpiscono per la disarmante realtà in cui le propone. Lugano Addio è il brano contenuto nell’album I Lupi; la canzone si dispiega interamente sul filo della nostalgia ma se da un lato c’è la figura rassicurante di Marta, ragazza semplice e non vistosa, dall’altro c’è la purezza dei discorsi politici e attuali, per quel tempo, conditi dall’amore nascente di due ragazzi:
Tu, tu mi parlavi di frontiere
Di finanzieri e contrabbando
Mi scaldavo ai tuoi racconti
“E mio padre sì” tu mi dicevi
Quassù in montagna ha combattuto
Poi del mio mi domandavi
Sul finire del diciannovesimo secolo Pietro Gori, giornalista anarchico, fu accusato di aver preso parte all’omicidio di Sadi Carnot, presidente francese. Per evitare una pena che si sarebbe rivelata atroce fugge dall’Italia fermandosi proprio a Lugano. Tuttavia, dopo esser stato in carcere due settimane, la Svizzera lo espelle dal proprio territorio. In questo frangente compone una delle canzoni considerate simbolo e manifesto anarchico di quel periodo, Il canto degli anarchici espulsi, nota in seguito con il titolo Addio Lugano bella (1895). E’ il 1977 quando il giovane Ivan Graziani decide di riprendere questo antico brano rivisitandolo in chiave melodica; Lugano Addio è, infatti, una delle prime canzoni di successo del cantautore di Teramo.
Il pesante significato politico del brano originale è ora scandito dalla dolcezza del richiamo nostalgico, nel ricordo di una ragazza amata: Marta. Quello che cita Graziani è un amore adolescenziale; Marta che abbandona la sua fanciullezza, tradita da quei seni pesanti forieri di fuga dall’età dorata. Vestita in modo semplice, le scarpe da tennis e con la giacca a vento, i due si immergono l’uno nell’altro, in un’ignavia ingenua; troppo semplici per aver coscienza di appartenere a due mondi differenti. Troppo candidi, per capire che la vita sarà un ostacolo.
Il padre di Marta combatte fra le montagne; la sensibilità di Graziani rivolge il ricordo all’immagine del padre vissuto in un panismo marino fatto di onde, spiagge e stelle, immerso nel dolore dei semplici. I racconti di Marta fanno trasalire l’Ivan ascoltatore che, tuttavia, nella sua immensa lucidità ritorna al suo mondo. In un documentario della RAI, prima della riproduzione, del brano affermerà:
”Allora la canzone che faccio adesso si chiama Lugano Addio. C’è veramente poco da spiegare, è una storia abbastanza semplice di un ragazzo del sud e di una ragazza del nord, chiaramente si innamorano il che è una cosa normalissima, ma si innamora sopratutto di quello che lei rappresenta cioè quello che è il mondo, che è totalmente diverso dal suo.”
Ivan Graziani, Firenze canzone triste: una donna da amare in due e il mito della giovinezza nella memoria
Ascoltare Ivan Graziani non è mai solo ”ascoltare” ma venderne la storia; assaporare le scene, i dialoghi, i pensieri degli innumerevoli personaggi che popolano i suoi racconti. Le sue canzoni sono sceneggiature di film musicate, in cui aleggiano sentimenti, rabbie, dissapori, emozioni contundenti. Firenze canzone triste è un brano del 1980 dove si racconta la sfortunata vicenda di un triangolo amoroso; c’è una donna che, a differenza di molti brani del cantautore di Teramo, non ha nome. Si coglie, però, tutta la potenza della sua figura e, soprattutto, la sua immagine eterea, diversa, come tutte le figure femminili descritte da Ivan Graziani. Protagonisti della vicenda sono tre ragazzi a Firenze per ragioni di studio.
La ballata è un continuo dialogo fra i due contendenti; il soggetto narrante e il Barbarossa, studente irlandese di filosofia. I due sono rimasti senza la donna contesa nel momento in cui, la stessa, getta nell’Arno i suoi disegni con l’intento di andarsene. Da sfondo, anche stavolta, la giovinezza e il ricordo della stessa; in questa occasione, tuttavia, non rifulge il rimpianto ma il sottile dolore che anche gli anni giovanili possono dare.
”Io sono nata da una conchiglia diceva, la mia casa è il mare con un fiume non la posso cambiare”.
L’immagine di una donna non consueta, – ”strano tipo di donna che era” – pura nelle sue fragilità, con i suoi momenti di rabbia, ferma nelle sue convinzioni. La dolcezza di questo brano si compie quando anche il Barbarossa torna in Irlanda, dopo la laurea in filosofia; il soggetto narrante, adesso, naufraga nella consapevolezza di una solitudine tangibile: anche il suo rivale è andato via e, ora, non ci sarà davvero più nessuno a parargli della donna che ama, dissolta insieme ai suoi disegni giù da Ponte Vecchio, come se non fosse mai esistita. Il Graziani-Narratore si rivolge al Barbarossa come un compagno di avventura chiedendosi cosa fare, adesso, se nessuno potrà parlargli più di lei. Ecco che la figura del rivale diventa quasi amica: il candore di un’anima che preferisce avere un nemico e perdere, magari soffrendo, pur di non rimanere cristallizzato in una solitudine subita dall’abbandono del suo amore.
Stella Grillo
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