James Ivory, raffinato signore del cinema

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Di Redazione Metropolitan

Un anziano ed elegante signore con il volto di Timothée Chalamet stampato sulla camicia agli Oscar 2018. È così che forse i più giovani ricordano James Ivory, raffinato e prolifico autore del cinema statunitense. Regista, sceneggiatore e produttore: la sua filmografia conta oltre trenta film in cinquant’anni di carriera. Nel giorno del suo novantaduesimo compleanno lo festeggiamo ricordandone il grande percorso artistico, culminato con l’Oscar alla sceneggiatura per Chiamami col tuo nome.

Il sodalizio della Merchant Ivory e l’amore per l’India

Ancor prima di debuttare nel lungometraggio, Ivory fondò la casa di produzione Merchant Ivory insieme al compagno Ismail Merchant, regista e produttore indiano. Ad essi si unì presto la scrittrice e sceneggiatrice Ruth Prawer Jhabvala, ebrea tedesca trapiantata a sua volta in India. A partire dal 1963 e per circa un decennio, dunque, i primi film del trio si focalizzavano sulla cultura sud-asiatica, influenzati dagli esordi documentaristici di Ivory. Molti furono dei veri flop, come Il guru (1969) – ispirato all’esperienza musicale indiana di George Harrison – ma mostravano già un’attenta ricerca stilistica.

Shakespeare Wallah, James Ivory - Photo credit: web
Shakespeare Wallah, James Ivory – Photo credit: web

Il rapporto con la letteratura

Al di là di una prima partecipazione alla Berlinale nel 1965 con Shakespeare Wallah, il vero successo per Ivory arrivò dagli adattamenti di opere letterarie. Con Gli europei (1979), tratto dall’omonimo romanzo di Henry James, partecipò per la seconda volta al Festival di Cannes, dopo Savages (1972). Con Quartet (1981), tratto dal romanzo di Jean Rhys, tornò sulla croisette appena due anni dopo. Furono quattro i film consecutivi di Ivory presentati dal festival francese, e otto in totale, un altissimo riconoscimento della qualità delle sue opere.

Fu poi Venezia nel 1986 e nel 1987, a riservare rispettivamente l’anteprima di Camera con vista e Maurice. Entrambi tratti da opere letterarie, segnano uno il primo grande capolavoro di Ivory e l’altro una forte presa di posizione sul tema dell’omosessualità. Nel periodo più acuto della crisi dell’AIDS degli anni ‘80, infatti, Maurice mette in scena una romantica storia d’amore gay, con Hugh Grant protagonista.

I capolavori indimenticabili

Quando si parla di James Ivory sono tre i titoli che subito vengono in mente: Camera con vista, Casa Howard e, soprattutto, Quel che resta del giorno. Camera con vista, nato dalla penna di Edward Morgan Forster, è portato sullo schermo da attori del calibro di Maggie Smith, Daniel Day-Lewis e una giovanissima Helena Bonham Carter. Vinse tre premi Oscar (sceneggiatura, costumi e scenografia), anche se non quello alla regia per Ivory. Collezionò inoltre decine di riconoscimenti, tra cui due David di Donatello, che consacrarono definitivamente Ivory nel panorama cinematografico internazionale.

Casa Howard (1992), tratto sempre da un’opera di Forster, torna alla società inglese, come Camera con vista, raccontando il difficile rapporto tra le classi, fra amori ed eredità. Ancora una volta interpretato da grandi del cinema britannico come Anthony Hopkins ed Emma Thompson. La stessa stupenda coppia di protagonisti dà vita alla tormentata storia di Quel che resta del giorno (1993), titolo più celebre della filmografia di Ivory. Capolavoro che racconta il commovente conflitto interiore fra un uomo e il ruolo a cui rimane fedele, a costo della propria felicità.

Quel che resta del giorno, James Ivory - Photo credit: web
Quel che resta del giorno, James Ivory – Photo credit: web

“Call me by your name” e l’Oscar tardivo

Ben tre volte, quanti sono i capolavori prima citati, Ivory fu nominato come Miglior Regista agli Academy Awards. L’unica statuetta vinta, tuttavia è quella della quarta candidatura, per la Miglior sceneggiatura non originale di Call me by your name. La premiazione, avvenuta a marzo 2018, fa di Ivory il vincitore più anziano nella storia degli Oscar, a ben ottantanove anni. Un’attesa molto lunga, considerando che come co-sceneggiatore Ivory firmò gran parte dei suoi film, ma un giusto riconoscimento allo splendido contributo nel film di Guadagnino.

Articolo di Valeria Verbaro