“Je so pazzo”, un racconto dedicato alla rivolta di Masaniello

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Di Stefano Delle Cave

Benvenuti nell’universo letterario di StoryLine. Il 7 luglio 1647 scoppiava a Napoli la famosa rivolta di Masaniello a cui questo racconto è dedicato. Per realizzare un testo originale ci siamo ispirati alla canzone “Je so pazzo” di Pino Daniele che trae le mosse dall’ultimo discorso del famoso capopolo napoletano ucciso dieci giorni dopo la sua rivolta

Il sapone da barba gli andava a riempire la faccia scavata dalla fatica e dal disagio dovuto al tempo passato in prigione. I suoi familiari gli avevano consigliato, ora che finalmente riuscito ad uscire dal carcere e che la sua storia era sulla bocca di tutti, di essere una persona adattata alla nuova vita e alle esigenza richieste dai guadagni proposti dalla stampa.Jatevenne”, aveva risposto, “Je so pazzo e voglio essere chi voglio je”. Così Saverio Di Lucia non aveva voluto per una volta indossare una maschera imposta da qualcun altro. Lui che era stato un instancabile lavoratore a nero di una fabbrica di scarpe per i figli, marito amorevole per la moglie e colpevole dell’omicidio di un parcheggiatore abusivo di colore perchè razzista per lo stato. Lui che per la famiglia aveva sempre fatto tutto e che per i suoi piccoli si era finto pazzo per far accendere i riflettori sul suo caso dove la sua unica colpa era quella di sceso a fare una passeggiata con il cane al momento sbagliato. Saverio si radeva mentre pensava che da detenuto qualsiasi era diventato il divertente Masaniello di una prigione e a come tutto fosse iniziato

Je so pazzo, storia di una follia

Je so pazzo di Pino Daniele, fonte nincam2969

Ho un cancro e non mi resta molto”. Cosi qualche mese prima aveva esordio la moglie durante un colloquio in carcere trasformando improvvisamente il freddo inverno di Saverio in una vampata di rabbia e dolore. “Forse avrai capito male”, disse questi in un primo momento cercando di nascondere il repentino furore interno come meglio poteva. “No hai capito benissimo. Io nun c’ha pozzo chiù fa. Save devi uscire di qua, Sara e Carlo hanno bisogno del loro padre”. “Io so’un semplice sfigato che si è preso una botta in testa e che stato colto con una pistola in mano anche al cadavere di un poveraccio, a me non mi crede nessuno”. “Savè tu non puoi solo lamentarti ma devi invece spingere le persone a vederti e ascoltarti”.

Saverio in quell’istante vide la sua mente attraversata da un turbinio di pensieri come un’improvvisa fuga spettacolare, uno sciopero della fame e una lettera al presidente della Repubblica. Niente che però riuscisse a placare il suo dolore finchè vide quel pazzo del suo vicino di cella tirarsi pugni sulla spalla davanti al figlio mentre tutti lo guardavano. “Sai qual’è la verità”, disse alla moglie, “Je so pazzo e lo Stato questa volta non mi deve condannare”.

Saverio si stava abbottonando la camicia. Accanto a lui sul comodino la foto dell‘amata Bernardina con un piccolo lumino. Purtroppo un tumore maligno al cervello l’aveva stroncata qualche giorno prima che lo liberassero ma aveva fatto in tempo a sapere la buona notizia. “Finalmente mi posso riposare”, aveva detto lei che non si era risparmiata un minuto come domestica fino a che non le era stato più possibile uscire di casa. Saverio dette un bacio alla fotografia ripensando a quella donna e a tutto quello che aveva fatto nei giorni precedenti. Resto a guardarla sorridendo come se l’avesse improvvisamente li davanti. Poi, “mi dispiace vado di fretta”, disse voltandosi e pensando al frastuono fuori, “Lo so non mi daranno sempre ragione perchè io per loro sono solo un erorre da cancellare ma tranquilla Dina perchè Je so pazzo e oggi voglio parlare”. Prima di uscire e presentarsi Saverio si guardò improvvisamente i palmi delle mani. Nei suoi occhi le immagini di due cicatrici che gli ricordavano quando lo spettacolo aveva avuto inizio. “E’ tornato”, disse in quell’istante.

Masaniello è tornato

“Masaniello è tornato”, aveva detto Saverio inveendo con le mani ferite insieme ad altri detenuti e dibattendosi sulla porta della cella. Così era iniziato in carcere lo spettacolo che lo aveva visto diventare un fenomeno da baraccone. “Je so pazzo” diceva sempre pensando che così l’avrebbero ascoltato e avrebbero riaperto il caso. Anzi aveva continuato buttando giù tavoli e vivande dalla sala mensa. “Me so scucciato, voglio uscire”, aveva detto al direttore. Nel frattempo mentre le sue gesta in carcere continuavano arrivarono le prime notizie sui giornali e la sua storia tornò all’ordine del giorno. “Che ti sei messo in testa?”, disse la moglie quando si rivide in carcere. “Sto cercando di vivere il mio giorno da leone Dina e la pazzia è il mio modo per ruggire”.Ricordati che Masaniello è morto”. “Io non muoio so cchiù vivo e primma”. Così Saverio era tornato alla sua vita dopo 2 mesi quando un errore venne finalmente riconosciuto sconfessando un errata perizia del pubblico ministero sul segno che gli aveva lasciato la botta in fronte.

Improvvisamente la porta si apriì. “Save forza ti stanno aspettando, ci sta pure Canale 24”, fece una voce stridula a Saverio ancor prima che suo cognato mettesse piede in camera. “Te l ho gia detto, Je so pazzo e voglio essere chi voglio je”, rispose Saverio. “Save ricordati o contratto”. Pochi istanti dopo Saverio era di nuovo solo mentre guardava un ultima volta la foto di Bernardina. “Sono sempre stato qualcosa per qualcono ma io per me chi sono?”, si chiese mentre una nuvola di flash cominciava ad investirlo. Poi la luce della telecamera e la paura lo aveva spinto ad indossare nuovamente quella maschera che sempre lo aveva protetto. Era di nuovo Masaniello, il pazzo capopolo che piaceva alla gente e addirittura richiesto anche dalla politica. Era il 7 luglio e un vento rivoluzionario animava Saverio che si sentiva pronto anche a fare quei miracoli che la gente iniziava a chiedergli quasi fosse un novello San Gennaro.

Epilogo

10 giorni più tardi Saverio era con la testa all’in su nella sua auto. Da ore ormai si rendeva conto di come quella maschera che aveva indossato fosse diventata pesante e difficile da portare “Je so pazzo e non mi rompete”, continuava a dire a chiunque voleva che si fermasse quando il suo comportamento aveva ormai lasciato la finzione per abbracciare la follia della realtà. Ma Saverio era sordo e continuava ad andare avanti per la sua strada e ancora adesso pensava di voler liberare tutti i poveri derelitti della città. Poi un rivolo di sangue, che da un buco in testa era arrivato agli occhi, gli aveva ricordato di essere solo un povero calzolaio e che il pazzo vero non è chi è costretto ad indossare una maschera ma chi gliela fa portare.

Stefano Delle Cave

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