Julian Assange non ha bisogno di molte introduzioni: da quando il giornalista, programmatore e attivista australiano e ha fondato Wikileaks nel 2006, di lui e della sua “organizzazione contro la segretezza di informazioni ritenute di interesse pubblico” si è fatto davvero un gran parlare.
Questo non è affatto sorprendente quando si consideri che sulla sua “Wikipedia non censurabile” sono stati pubblicati circa 8.5 milioni di documenti governativi — tra cui i giganteschi fascicoli relativi agli orrori del campo di prigionia di Guantanamo nonché alle guerre in Afghanistan — con il famoso video “Collateral Murder” — ed in Iraq. Tra gli altri “scoops” famosi, in ordine sparso: la pubblicazione di circa mezzo milione di messaggi inviati tramite cerca-persone durante l’11 settembre; la documentazione della pressione esercitata dall’amministrazione Obama per garantire anche all’estero l’impunità agli ufficiali che avevano praticato tortura sotto Bush; le rivelazioni sul culto di Scientology (che peraltro per Assange hanno certo un particolare significato, dato la sua storia di conflittualità con la setta).
Gli editori e la redazione di New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel, El Pais hanno scritto un appello assai importante sul caso del fondatore di WikiLeaks «…è tempo che il governo degli Stati uniti ponga fine alla causa contro Julian Assange per aver pubblicato segreti di stato…».
Si tratta di una pagina rilevantissima della sequenza che iniziò nel 2010, quando i cinque giornali internazionali (un network cui parteciparono gli italiani Espresso e la Repubblica nel periodo in cui sulle testate scriveva Stefania Maurizi, autrice del recente volume Il potere segreto) pubblicarono molte rivelazioni nate dal lavoro del gruppo diretto dal giornalista australiano. Com’è noto, le notizie riguardavano i misfatti delle guerre in Iraq e in Afghanistan, nonché una serie di 251.000 messaggi riservati del dipartimento di Stato Usa. Il cosiddetto Cablegate svelava brutture e arcani indicibili, ivi comprese gesta italiane non commendevoli.
I “leaks” rivelavano diverse vicende di corruzione, scandali e spionaggi a livello planetario. Come scrisse allora il New York Times, i documenti divulgati mostravano senza trucchi un storia incontrovertibile. Descrivendo come il governo prende le sue più importanti decisioni. Quelle cioè che hanno il costo più alto, umano e finanziario per il Paese. Oggi, nel 2022, “questa fonte documentaria eccezionale continua ad essere sfruttata dai giornalisti e dagli storici“. In essa, infatti, trovano ancora materia per la pubblicazione di rivelazioni inedite“.
I giornali in questione, pur blasonati e interni alle élite internazionali, abbassarono la testa già nel 2011, quando le onde cominciarono ad incresparsi. E Assange fu lasciato solo, salvo l’impegno della citata Maurizi e di pochi altri.
Assange è rinchiuso nel carcere speciale di Belmarsh nel Regno unito e si stanno definendo proprio in questi giorni le procedure dell’appello contro l’estradizione oltre oceano, grazie al collegio difensivo di cui è componente la moglie avvocata Stella Morris.
Julian Assange rischia 175 anni di carcere per “aver fatto il giornalista”
Per il fondatore di Wikileaks Julian Assange, questa e molte altre rivelazioni di documenti sensibili hanno avuto conseguenze estremamente gravi. Il 12 aprile 2019, Assange è stato arrestato a Londra su mandato di arresto Usa. Da 3 anni e mezzo è detenuto nel Regno Unito. In una prigione di alta sicurezza destinata normalmente a terroristi o esponenti della criminalità organizzata
Il presidente eletto del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva ha incontrato il caporedattore della piattaforma WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson. E ha chiesto che Julian Assange sia “liberato dalla sua ingiusta carcerazione“. Lula si insedierà alla presidenza del Brasile l’1 gennaio prossimo. E ha reso noto via Twitter di essersi incontrato con Kristinn Hrafnsson e con il giornalista Joseph Farrell. “Mi hanno informato sulla situazione sanitaria e sulla lotta per la libertà di Julian Assange- sottolinea-. Ho chiesto loro di inviare ad Assange la mia solidarietà”. La presa di posizione di Lula avviene all’indomani di un importante passo dei media internazionali. E cioè la diffusione da parte di cinque quotidiani (New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel e El Pais) di una lettera aperta. Nella quale si chiede agli Stati Uniti di far cadere le accuse contro Julian Assange in nome della libertà di stampa
Si ricostruisce ancora nell’appello, “questa visione delle cose ha avuto un’evoluzione sotto il mandato di Donald Trump”. Quando il dipartimento di giustizia si è basato su una legge vecchia di oltre un secolo: l’Espionage Act. Una norma concepito durante la prima Guerra mondiale per poter incriminare potenziali spie. E che però non era mai stato usata contro i giornalisti. L’atto d’accusa contro Julian Assange ha creato “un precedente pericoloso” che, secondo l’appello dei media, “minaccia la libertà di informare“. E “rischia di ridurre la portata del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”. Quindi, avvertono i cinque giornali, “dodici anni dopo le prime pubblicazioni è venuto il momento di una decisione da parte del il governo degli Stati Uniti”. Ossia “abbandonare i procedimenti contro Julian Assange per aver pubblicato informazioni segrete. Pubblicare non è un reato”.
“È importante non confondere l’obiettivo con il metodo”, afferma Assange. I cui legali hanno presentato all’inizio di luglio un ultimo possibile ricorso contro l’estradizione. Che, se realizzata, metterebbe a rischio il loro difeso di una pesantissima condanna da parte dei tribunali statunitensi