L’artista belga Julien Friedler ci racconta un pochino della mostra, ed io vorrei starlo a sentir parlare per ore ed ore.

Panoramica su Roma, Vittoriano, bella giornata di sole novembrino (fuori).

Ala Brasini, interno giorno.

Mostre in corso: Pollock, Wharol.

Inaugurazione della mostra:

behind the world

Julien Friedler

Entro nella sala, ci sono altre persone, (registro: una sessantina d’anni a testa), che si muovono nello spazio espositivo brancolando tra i quadri, mi chiedo se c’è un ordine, una numerazione, una disposizione, ma non lo so e la gente circola. Mi metto davanti a Le Totem et les deux chevaliers, accaparrandomi il punto di vista centrale.

Quadro grande, molto grande, acrilico e collage su tela, anche se non vedo niente di incollato, ma magari è sotto vari strati di colore. Colore grasso, acido, e anche se ce n’è poco, l’occhio è catturato dal contrasto psichedelico tra giallo e rosa.

Ma dentro c’è blu, bianco, arancione, rosso. Ci resto per un bel po’ davanti, attratta e distratta da delle figure, una famiglia o dei mostri oppure è meglio non definirli, ma sicuramente qualcuno c’è perché ci sono degli occhi, fondi di bottiglie scure che osservano. No, forse non c’è nessuno, è solo un percorso, il mio.

Dominique Stella, curatrice, storica dell’arte moderna e contemporanea ex direttrice del Palazzo Reale a Milano, ha curato le mostre in Europa (…ok, get it), scrive sulla pittura della profondità, di cui Julien è rappresentante:

Non si ispira al reale (materiale)

(…)

rappresenta l’emergere di una visione al di là delle apparenze.

Ma io ancora non lo so perché me ne sto imbambolata davanti Corps & Artifice e mi viene in mente Matisse, prendo appunti come: tensione, contrazione, rilascio, rivoli. Azione, no spazio pensiero razionale, scrivo qualcosa che decade sotto il peso della materia.

Quadro grosso, molto grosso, acrilico ciccione. Vengo strappata via dalle mie seghe mentali, ci richiamano nell’altra sala, in cui potremmo interagire con l’artista Julien. Mi sento una bambina eccitata alla festa di compleanno (anche se i miei compagni hanno trenta anni per gamba) che va nella stanza destinata alle candeline e alla torta.

Ma non cantiamo tanti auguri.

J.F : Le Totem et les deux chevaliers, 2014

Siamo in circolo con Julien, sessantottino nel senso che gli anni son quelli, intorno a noi le sue grandi tele, però non vedo quelle in fondo perché di mezzo c’è l’opera La Foresta delle Anime di cui non farò cenno se non ora. Fatto cenno.

Poi vedrò anche quelle che ci sono là dietro e volevo che c’era mamma che mi dava la mano, tanto sono spaventosamente tribali.

“È così che potremmo descrivere la pittura di Julien Friedler, la cui fonte ha origine dalla sua pratica di esplorare l’inconscio e (…) egli si abbandona alla meditazione che si oppone al mondo delle forme (…) arrivando così allo splendore degli abissi”. Dominique Stella

Lo splendore degli abissi, capito? Questa è una figata. Parlerà anche di mondi galattici e subconscio collettivo, ma dovreste andare alla mostra, se siete curiosi.

Dominique Stella introduce l’artista. Sembra un artista, ma forse, un po’ più un intellettuale, anche se ormai non so più su che base fare delle osservazioni, di questi tempi così stilisticamente confusi. Ed è proprio da qui, in effetti, che parte Julien; dallo stile e quindi, anzi, soprattutto e sopra a tutto, dall’identità.

“Signor Friedler, che cos’è?” sarebbe la domanda a cui spontaneamente risponde. Dice che si interroga sul ruolo dell’artista nel tempo dell’oggi, accenna alle possibili catastrofi climatiche e alle guerre, ai vecchi valori che rotolano giù in un click e cosa si può fare, può fare un’artista al riguardo. Come rimettere al centro l’identità personale e collettiva dell’essere umano, come recuperarla e ri-conoscerla in questo sfacelo contemporaneo. Suvvia, con l’arte!

J.F : Ode Stanique, 2018

Dice che si è reso conto (e gli diamo retta, dato che stiamo parlando di uno psicoanalista) che la contemplazione di un’opera porta alla meditazione, alla catarsi e alla trance e che da questi elementi traiamo benefici e pace. Siamo d’accordo. Le sue opere scardinano la fiducia cartesiana nella ragione umana restituendoci la libertà di essere anche la parte oscura, di metterci all’ombra del nostro indomito inconscio. Ed ovviamente Julien, parla anche di quella roba lì; nonostante tutto è stato un allievo di Lacan, non può, dunque, aver dimenticato gli insegnamenti del maitre.

Dice una cosa che mi ha molto colpito e su cui occorre ancora riflettere, ma che ha nella sua costruzione e costituzione, una forza poetica travolgente. Prima di riportare le sue parole pari e patte, devo precisare che Julien Friedler è d’origine belga e, nonostante sappia parlare italiano molto meglio di me, ammetto che potesse voler dire qualcosa che suoni diversamente, o che abbia sfumature non traducibili dal francese all’italiano. Comunque, sull’inconscio:

“è il fiume creativo che ci anima e si porta dentro parte del nostro destino”.

Sottolinea che questo nostro insondabile inconscio che non si sa dov’è, ma c’è, ha bisogno di esistere perché esiste e dunque va sondato. Grazie a questa bestia selvaggia che incateniamo troppo spesso alle catene della ragione, siamo scrittori e poeti, musicisti e attori, grandi artisti.

J.F : Corps & Artifice, 2018

Gli domando, data la dimensione e la tecnica delle tele, se c’è un disegno, uno schizzo, uno schema. Si, c’è uno schema, o almeno da lì si parte, ma si arriva sempre oltre, l’inconscio straborda e la ragione iniziale è insignificante di fronte all’emozione.

Io amo questo genere di pittura, ok, forse non c’è nessun genere, però possiamo dire che, almeno, c’è un tipo di pittura. Una pittura acrilica e mista con glitter e laminati vari che io vedo e rivivo nel gesto. C’è il gesto, la materia.

Perché è attraverso la testimonianza di un colore che cola, si rapprende, si schiaffa sulla tela, che io colo e mi rapprendo e mi schiaffeggio e mi distendo nell’opera. Attraverso la materia entro nel gesto, e quando sono nell’azione non ho tempo di pensare, di stressare il mio cervello con i perché.

Non ci sono dubbi nell’atto; forse ce ne erano prima, sicuramente dopo, ma mentre l’artista spampina ripetutamente un colore nella tela, lo stratifica e lo scava, non c’è dubbio. C’è catarsi, come a teatro. Non mi sorprende infatti, sapere che Julien è solito coinvolgere il pubblico nelle sue opere e non mi stupirebbe apprendere che l’artista conosca il lavoro di Alejandro Jodorowsky. Crede moltissimo nei legami, nell’interazione, nello scambio, non a caso ha fondato il movimento Spirit of Boz.

questionario di un partecipante

Poi certo, come lui stesso ci dice, dentro ci sono le ombre dell’action painting e della scuola di New York, Pollock a capo, e ovviamente Kandiskij, forse il Mondrian meno conosciuto ma chissà quanti altri.

E poi gli chiedo in cosa differisce il metodo in cui scrive un libro da quello in cui compone un’opera. Se ancora non ve lo avevo detto, l’artista qui presente è anche uno scrittore, filosofo, poeta, scultore.

Fa una distinzione tra quello che è un testo concettuale (dice proprio così) e un romanzo. Per esempio nel suo ultimo romanzo di 600 pagine circa, c’è lo stesso approccio che c’è nell’opera, un po’ come le “Mille e una notte” il testo è labirintico e si può entrare a metà o dalla fine al rovescio, sfogliandolo magari tipo manga. No, scherzo.

J.F : L’Autre, 2018

Così dobbiamo fare con i grandi dipinti, dobbiamo scegliere noi qual è l’entrata, farci la nostra avventura dentro, e muovere il nostro pensiero tridimensionalmente (si può dire?) nello spazio tutto attorno. E vi avverto che non è semplicissimo, perché lo spazio in realtà non c’è. L’aria, il respiro bianco dato dal fondo della tela, quasi mai. Ci sono colori che ci cascano addosso e occhi di falco che ci guardano, denti di fantasmi e noi stessi, nudi con noi stessi. Si può far fatica a respirare, ma forse, più che tentare di prendere aria, l’artista vuole che ci immergiamo e ci facciamo crescere le branchie per vagare nell’oceano della percezione.

Dice Julien che più che sul messaggio, lui si concentra sullo stile.

Ricordatevi che stile ed identità vanno a braccetto.

Continuo il percorso, compilo un questionario che servirà per un’opera in continuo divenire. Domandone, tipo: “dio esiste, sei felice, oggi, il futuro, chi sono”. Giro intorno, entro esco, girotondo, rientro, riesco. Riesco a uscire.

E sono fuori dal complesso (mondo di Julien), me lo porto a casa, m’è piaciuto parecchio.