“Kabul”, un racconto dedicato all’immane tragedia afghana

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Di Stefano Delle Cave

Benvenuti nell’universo narrativo di StoryLine. In queste settimane gli occhi del mondo sono puntati sull’Afghanistan e il drammatico ritorno dei talebani al potere. Abbiamo dedicato questo racconto a quanto è avvenuto a Kabul soffermandoci sul quell’aeroporto che è diventato il luogo simbolo del dramma afghano e sul terribile attentato che lo ha colpito. Lo abbiamo fatto ispirandoci a storie vere riportate dalla cronaca di questi giorni.

Un mese prima avrei fatto fatica a credere a qualcosa di simile. Ora il sole tagliente che si alzava sul cielo dell’aeroporto di Kabul mi mostrava quell‘inferno tra la vita la morte in tutta la sua durezza spazzando via ogni mio dubbio. “Oggi è il giorno del giudizio”, mi disse un vecchio passante indicando con le sua dita sporche le decine di persone assiepate accanto al filo spinato in attesa della loro sorte. Un brivido mi percorse la schiena ricordandomi che questa è la vera realtà vissuta da un reporter di guerra non quella di un film che vedi al cinema dove è tutto irrimediabilmente finto.

Kabul, il bambino, il ribelle e la partoriente

Questa puntata di StoryLine è dedicata a Kabul ed alla questione afghana
Mi voltai e vidi un uomo accanto ad una donna in avanzato stato di gravidanza, immagine realizzata dal pittore Sergio Totaro

Mi feci coraggio e mi avvicinai alla folla con il mio tesserino stampa da inviata della stampa estera appeso al collo. “Mirnah Jamad” c’era scritto sopra con una bella foto con i capelli al vento ma con l’hijab addosso stentai a riconoscermi. Ebbi poco tempo però di vivere la mia repentina crisi d’identità che venne interrotta quasi subito dal pianto di un bambino. Mi avvicinai a lui . “Mustafà”, ripeteva continuamente indicando probabilmente il suo nome. È solo perchè, spiega, aveva perso i suoi genitori morti dopo l’ultimo attacco talebano che ha cercato di disperdere la folla dell’aeroporto di Kabul con pistole e bastoni. Gli porsi un po’ d’acqua della mia borraccia e gli feci cenno di venire con me verso il filo spinato pensando di chiedere soccorso ai soldati americani.

Avrei potuto anche dire che per oggi avevo il mio articolo da passare al giornale ma qualcosa cambiò ogni aspettativa. “Signora”, mi sentì chiamare da qualcuno dietro di me. Non mi voltai e cercai di tenere il più possibile Mustafà sotto controllo. “Giornalista, aiuti una donna incinta. Aiuti”, sento chiamare ancora. Mi girai e vidi un uomo accanto ad una donna in avanzato stato di gravidanza. “Sta per partorire. È mia moglie mi aiuti a portarla oltre il filo spinato. Io mi chiamo Omar. lavoravo con gli americani e se mi trovano i talebani mi ammazzano. Lei ha un tesserino stampa e magari la faranno passare. Può essere il nostro angelo non mi abbandoni”. Nonostante le parole di quell’uomo mi limitai a sollevare la donna incinta insieme a lui come una persona normale in un posto dove la normalità sembrava sempre più essere una parola astratta.

Scegliere Tra la vita e la morte

le immagini dell’esplosione causata dall’attentato di Kabul citato in questo racconto, fonte La Repubblica

Mustafà camminava davanti a noi che faticosamente scortammo la donna incinta sperando di muoverci tra la folla di disperati che cercavano semplicemente di scappare non accettando l’inferno in cui sarebbero stai costretti a vivere. Accanto a me volti di persone che avevano perso tutto credendo alle promesse americane di una vita migliore. Cercai di non pensarci ma di andare avanti per salvare 3 persone e di portare a termine il mio compito da angelo quotidiano. “Mirnah”, mi ferma Mustafà avvertendo un pericoloso rumore. Dietro di me la folla cominciò a correre. I talebani stavano disperdendo nuovamente tutti per accusare l’occidente e dire che in fondo non c’era nulla da temere. Noi 4 ci dirigemmo velocemente verso il filo spinato ma durante la corsa caddi a terra. Per fortuna venni rialzata prima di essere calpestata da Omar.

Avvicinandomi alla folla notai che gli ammericani stanno cercando di tenere lontana come possono la calca di gente ai gate cercando di mettere in salvo i bambini ed alcune persone che avevano collaborato con loro . Ci avvicinammo il più possibile all’ingresso accanto al filo spinato. Omar mostrò i documenti e il suo tesserino americano . Notarono il mio della stampa e lo fecero entrare insieme alla moglie. Cercai di parlargli di Mustafà nonostante mi chiesero di allontanarmi poi un un’improvvisa esplosione al Gate d’ingresso mi scaraventò a terra. Una calca di persone mi spinse via mentre gli americani chiusero nuovamente i cancelli. Mi rialzai con la faccia coperta di polvere e graffi e del sangue che mi scorreva sulla mano. Non ebbi tempo di pensare a. Mi guardai piuttosto intorno per vedere dove fosse Mustafà ma intorno a me vidi solo brandelli di cadaveri di civili e soldati.

Epilogo

Cercai disperata tra la gente temendo che Mustafà si fosse perso un’altra volta o che fosse morto nell’attentato. Poi un pianto mi rivelò che era ancora vivo ed a pochi centimetri da me per terra ferito . Lo strinsi forte al petto, lo presi in braccio e mi riavvicinai al filo spinato. C’era un soldato americano. Richiamai la sua attenzione ma lui mi disse allontanarmi perchè avrebbero potuto esserci altre esplosioni. “Non è per me è per lui”, gli ripetei sollevando con tutta la mia forza Mustafà. Il soldato lo afferrò e lo portò oltre il gate. Lo ringraziai mentre il piccolo mi guardava in lacrime alzando un braccio . “Va sei libero adesso. Verrò a trovarti negli Usa”, gli dissi salutandolo mentre si allontanava velocemente in barella. Lo abbandonai rientrando tra la folla molto stanca. Mi era rimasta forza di alzare gli occhi al cielo. Vidi decollare un aereo immaginandomi che dentro via sia Omar. Credetti di sentire perfino il pianto del bambino appena nato provenire da lì. Anche i miei occhi si riempirono di lacrime perchè senti finalmente il suono della vita interrompere una continua musica di morte contrassegnata ora da una raffica di mitra che cercava di colpire l’areo ormai in volo. “Oggi vi racconto che cos’è l’inferno”, scrissi qualche tempo dopo, ormai evacuata all’estero, “è un posto di poche migliaia di metri dove per sopravvivere devi oltrepassare un filo spinato non sapendo se mai verrà il turno e se quando lo sarà sarai ancora vivo”.

Stefano Delle Cave