Vassilij Kandinsky, universalmente considerato il fondatore dell’Astrattismo, giunge in realtà all’apice della sua carriera artistica attraverso un processo di evoluzione. Pochi sanno, infatti, che c’è stata una fase in cui il pittore abbracciò l’arte tradizionale russa.

Kandinsky, dall’Espressionismo all’Astrattismo

Kandinsky nasce nella Russia della seconda metà dell‘800, una Russia che poteva considerarsi in un periodo proficuo politicamente e spiritualmente. Il giovane resta fin da subito incuriosito dall’arte e così prende le sue prime lezioni di pittura. Tuttavia, studia anche legge all’università di Mosca e nel 1896 rifiuta il ruolo di professore universitario a Dorpat per dedicarsi allo studio dell’arte a Monaco, dove il suo insegnante è Franz von Stuck. In un primo momento, sentendosi molto affascinato dai quadri di Monet, si dedica alla realizzazione di paesaggi.

Già da questo momento, tuttavia, è chiaro l’iniziale distacco dall’idea di linee nette e definite. I suoi quadri, infatti, sono un’esplosione di colori che, di fatto, sovrastano i contorni; questi si riducono semplicemente ad accompagnare gli oggetti. Si accorge ben presto che il soggetto di un dipinto in realtà non ha poi così tanta importanza e che ciò che conta è suscitare e risvegliare l’anima. Il linguaggio del colore diventa, quindi, più intenso e l’arte vive sempre più come espressione psicologica ed intima dell’anima.

L’Astrattismo e i ricordi d’infanzia

Impressione III (Concerto), Kandinsky. PhotoCredit: Wikipedia.
Impressione III (Concerto), Kandinsky. PhotoCredit: Wikipedia.

Il suo viaggio verso l’astrazione è strettamente connesso ai ricordi, o meglio alle sensazioni che gli ricordano l’infanzia. Ogni colore, ogni tratto è indice di un’esperienza vissuta: il bianco di un ramo scortecciato o il nero di una gondola vista a Venezia coi genitori a soli tre anni, e il nero, ancora, della carrozza di un fiaccheraio fiorentino. Fiabe, leggende, riti sciamanici della sua terra, e poi i cavalli. Questi ultimi, tra l’altro, ispireranno il nome per l’associazione all’avanguardia da lui creata nel 1912.

Si trattava della famosa Il cavaliere azzurro, fondata insieme a Franc Marc, a Monaco. Nascono, così le prime Impressioni e Improvvisazioni, come la famosissima Impressione III (Concerto), in cui compaiono un fondo giallo, una macchia nera, il pianoforte di Schönberg, una figurina, il pianista, ancora riconoscibile.

Kandinsky e il completo dissolvimento della forma

Ancora la forma, seppur dissolta, risultava un limite per il pittore russo che giunge ad annullare completamente le linee. Così, i suoi quadri diventano un’incredibile esplosione di colori, in cui non si riescono a distinguere oggetti e soggetti. Scrive anche un libro, che teorizzasse il perché dell’allontanamento di Kandinsky dall’arte figurativa. Lo spirituale nell’arte descrive le basi filosofiche che lo portano ad allontanarsi dalla forma, intesa nel senso più classico del termine. Ricordi e reminiscenze tratte dal passato non possono di certo mostrarsi come immagini nette e chiare. Appaiono più come tracce e macchie di colore luminoso, che emergono dal profondo. Così, l’arte diventava un modo per manifestare la propria spiritualità: una vera e propria chiave per poter aprire la porta della propria anima.

Per l’artista, la pittura deve somigliare alla musica e i colori ai suoni, perché la musica è un’espressione pura che non ha necessità di imitare la natura. Allo stesso modo, la pittura deve sganciarsi dai riferimenti alla realtà e dare così vita a una maggiore spiritualità.

Il potere del colore

Vassily Kandinskij, Giallo, rosso, blu, olio su tela. PhotoCredit: Dueminutidiarte.com.
Vassily Kandinskij, Giallo, rosso, blu, olio su tela. PhotoCredit: Dueminutidiarte.com.

Come si è visto, il colore in Kandinsky assume un valore importantissimo. E non a caso, il pittore ha subito indubbiamente l’influenza dell’arte tradizionale russa. Da questo base di fondo, l’artista si evolve dando ai suoi quadri i colori di una delle tavolozze più vaste e interessanti di tutti i tempi. Lascia ai colori primari il ruolo principale, regalandoci accenti purissimi di giallo, di rosso e di blu, ma non cade nel banale accostando anche sfumature rosa e azzurre che alleggeriscono la composizione e lo rendono spesso così facile da riconoscere.

Così Kandinsky definiva, ad esempio, la forza nascosta nelle variazioni delle diverse tonalità di blu:

La vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde diviene più intensa e intima. Più il blu è profondo e più richiama l’idea di infinito, suscitando la nostalgia della purezza e del soprannaturale. E’ il colore del cielo, come appunto ce lo immaginiamo quando sentiamo la parola “cielo”.

Martina Pipitone