Katherine Dunham, dove il corpo diventa congiunzione tra danza e antropologia

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Di Redazione Metropolitan

Katherine Dunham, coreografa e antropologa impegnata nella costruzione di un intimo dialogo tra danza e antropologia. Il suo, un campo di ricerca e sperimentazione dove la corporeità si fa veicolo interpretativo e analitico.

Nata a Chicago nel 1909, da Albert Millard Dunham e da Fanny June, Katherine Dunham, trascorre l’infanzia nel piccolo sobborgo di Glen Ellyn. Alla morte della madre trasferitasi al sud di Chicago vive un’adolescenza turbolenta, segnata da pregiudizi razziali ed insanabili rivalità parentali. Sarà da questo background che costruirà la sua futura personalità artistica e intellettuale. Il suo, uno sguardo curioso e attento all’alterità che la condurrà a valicare confini geografici, sociali e culturali.

Katherine Dunham, tra danza e antropologia

Indole curiosa, Katherine Dunham manifesta fin dall’adolescenza uno spiccato interesse verso il mondo teatrale, soprattutto nei confronti della sua caratterizzazione magico-rituale. Questo, fenomeno che trasporrà nella sua futura produzione artistica intrecciando il piano d’osservazione (scientifico) a quello performativo (teatrale). “Blue Moon Cafè“, la sua prima produzione artistica a soli quindici anni. Nel 1928, l’iscrizione all’Università di Chicago svilupperà in lei un crescente interesse sociale oltre che artistico, che confluirà presto nell’attività coreutica. Numerose e variegate le figure che influenzeranno la personalità artistica e intellettuale della Dunham: dagli antropologi, Redfield e Herskovits al filosofo Erich Fromm; per poi passare ai coreografi Adolph Bolm, Vera Mirova e seguaci di Isadora Duncan.

Dalla sua passione per l’arte coreutica e dall’interesse alle cause sociali, in particolar modo quelle che coinvolgessero la comunità afroamericana, nascerà il progetto “Ballet Nègre” rinnovatosi poco dopo in “The Negro Dance Group“. Il progetto sarà la testimonianza tangibile dell’intersecazione tra il fondamento sociale e quello artistico. Per tutta la carriera, Katherine Dunham si impegnerà difatti nell’affermare il valore storico e sociale della comunità afroamericana ricorrendo alla comunicabilità e fruibilità del veicolo coreutico. Antropologia e danza entrano in dialogo tra loro, definendo una nuova area di studio, la Dance Anthropology.

Il viaggio ad Haiti e l’importanza della corporeità

Al fine di dare al suo progetto una forma che fosse il più veritiera possibile, l’artista intraprende un viaggio nelle Indie. Lì, dove l’elemento performativo permea qualunque espressione sociale, comprenderà il pieno valore sociale e storico del dato coreutico. La danza diventerà per la Dunham veicolo tangibile di un’identità culturale e sociale, allontanandosi dalla limitante accezione espressiva attribuitagli. Appartengono così al postumo viaggio ad Haiti, le maggiori produzioni artistiche: “L’Ag’Ya (1938)”; “Woman with a Cigar (190); “Tropical Revue (1943)”; “Cabin in the Sky (1930-1942)” con la collaborazione del celebre George Balanchine. Nonostante fosse costantemente attiva nella lotta alla legittimazione dell’identità afroamericana, Katherine Dunham si ricorderà soprattutto per l’enorme contributo offerto al mondo coreutico dando il via ad una vera e propria “Negro Dance“.

Annagrazia Marchionni

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