La Cedu condanna l’Italia per pregiudizi sulle donne

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Di Redazione Metropolitan

Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2008 una ragazza di 22 anni venne stuprata da 7 ragazzi. I ragazzi coinvolti erano tutti universitari tra i 20 e i 25 anni, alcuni italiani e altri stranieri. Ora la Cedu, a distanza di anni, ha condannato l’Italia a risarcire la ragazza.

La Cedu condanna l’Italia per “aver violato i diritti di una presunta vittima di stupro”

I ragazzi si diedero appuntamento con 4 ragazze, tra cui anche la vittima, alla fortezza da Basso, il monumento che si trova all’interno delle mura di Firenze. La ragazza, poi vittima di violenza, conosceva soltanto due di questi. Dopo che le altre ragazze che erano con lei, si allontanarono lasciandola sola con il gruppo, i ragazzi misero in atto uno stupro in branco lasciando successivamente la ragazza scioccata dall’accaduto.

In riferimento a ciò, la Cedu, Corte europea dei diritti umani, ha condannato l’Italia “per aver violato i diritti di una presunta vittima di stupro con una sentenza che contiene dei passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima, dei commenti ingiustificati e un linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana“.

I fatti a cui si riferisce la Cedu riguardano la sentenza che nel 2015, in appello, assolse i sei ragazzi condannati in un primo momento a 4 anni e 6 mesi di reclusione, ma che rimasero in carcere soltanto un mese.

I fatti

I 6 ragazzi, in un primo momento vennero condannati per violenza sessuale di gruppo, aggravata dal fatto che la vittima fosse ubriaca. In appello però vennero assolti perché “il caso non sussisteva”. La procura generale di Firenze decise di non impugnare la sentenza che è così diventata definitiva.

La ragazza, dopo la sentenza, decise di fare ricorso alla Corte di Strasburgo che, accogliendo la sua richiesta, ha condannato l’Italia a risarcire la vittima con 12mila euro poiché durante il processo sono stati violati aspetti della sua vita privata.

Secondo la Corte dunque è “ingiustificato il riferimento alla biancheria intima che la ricorrente indossava la sera dei fatti, come i commenti sulla sua bisessualità, le sue relazioni sentimentali o i rapporti sessuali che aveva avuto prima dei fatti presi in esame come sono inappropriate le considerazioni fatte sull’attitudine ambivalente rispetto al sesso della ricorrente“.

L’avvocato Titti Carrano, che rappresenta la ragazza, ha rilasciato delle dichiarazioni all‘Ansa dichiarandosi “soddisfatta che la Corte europea dei diritti umani abbia riconosciuto che la dignità della ricorrente è stata calpestata dall’autorità giudiziaria. Quella sentenza ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando così la violenza, e ha rivittimizzato la ricorrente, usando anche un linguaggio colpevolizzante“.