
Il 31 ottobre, in occasione della celebre festa di Halloween, al cinema arriva “La Famiglia Addams”: il film d’animazione diretto da Greg Tiernan e Conrad Vernon. A prestare la voce ai grotteschi coniugi dai gusti sopra le righe, ci pensano Pino Insegno e Virginia Raffaele.
La Famiglia Addams, come gli innumerevoli adattamenti ci dimostrano, non è un prodotto destinato a finire nel dimenticatoio. Tutt’altro. Dalla prima apparizione, risalente nientepopodimeno che agli anni ’30, Morticia, suo marito Gomez e la prole al seguito hanno ricevuto svariati tributi attraverso iconiche interpretazioni.
All’appello, tra serie tv e lungometraggi cinematografici, a mancare era la versione a cui anche i grandi nomi dell’animazione si sono irrimediabilmente assoggettati: la CGI. Così, sotto le note della colonna sonora che fa schioccare le dita a chicchessia, la macabra famigliola ottiene anche questo conformismo. L’ennesimo, d’altra parte.
Per quanto mi riguarda, discreta estimatrice della rivisitazione degli anni ’90, ho accolto la notizia con legittima riluttanza. Lo ammetto. Il motivo è intuibile e difficilmente opinabile: la ridondanza. Dal primo annuncio al teaser trailer di lancio, mi sono chiesta se fosse davvero strettamente necessario. Vuoi per la neverending love story tra me e il disegno tradizionale, vuoi perchè appunto degli Addams ho visto abbastanza; il risultato non poteva essere un entusiasmo da standing ovation, una volta appresa la notizia di questo nuovo tributo.

Il mio animo prevenuto, in parte, è stato sopito. Nella fattispecie, non ho visto nulla di nuovo ma potevo vedere di molto peggio. Questa Famiglia Addams in computer grafica non è stata comunque un flop come, sinceramente, mi aspettavo.
La trama, che di elaborato non ha nulla ma risulta godibile nelle sue intenzioni, parte dallo sposalizio di Morticia e Gomez, per poi ripercorrere la nascita di Mercoledì e Pugsley, il reclutamento di quel bontempone di Lerch e la partecipazione inevitabile di zio Fester, Mano e nonna Addams. L’alternativa famigliola, relegata in un manicomio diroccato nel New Jersey, si ritaglia il proprio spazio in un mondo che non li ha mai accettati per le loro innocue stranezze.

Ecco che spicca, come tra le più attese delle ricorrenze, il tema del diverso. Un argomento che difficilmente fallisce se trattato con la giusta dose di leggerezza che compete ad un film d’animazione di questo tipo. L’elemento minaccioso, che non a caso giace dietro le spoglie sgargianti di una conduttrice televisiva ipocrita e patinata, mina le fondamenta di un equilibrio costruito ad hoc da una famiglia “stramba” e portatrice di un solo diritto inalienabile: la libertà.
Gli spunti di riflessione sgorgano dagli sketch disseminati nella storia,mentre l’imponente dimora degli Addams troneggia in lontananza in contrasto con una ridente cittadina colorata e perfettamente omologata. Il richiamo a Edward mani di forbice – non a caso il regista al timone per questo adattamento doveva essere l’amato Tim Burton – mi ha fatto piedino sotto la poltrona del cinema.

L’aspetto grafico del prodotto, nel mio essere spettatrice appassionata del “bello non canonico”, l’ho trovato discreto, davvero nulla di che. Probabilmente la reale nota di demerito che sento di dover affibbiare. A livello visivo è tutto un po’ impersonale e poco espressivo, elementi che non sarebbero stati individuati facilmente nel caso in cui il babbo di “Nightmare before Christmas” & co, appunto, avesse devoluto le sue energie a questo progetto. Sì, me la sono presa non poco, Tim.
Risponde molto bene, invece, il team dei doppiatori italiani. Tralasciando la garanzia di Mondial Casa, gestita dal maestro Pino Insegno, bravissima la Raffaele e la Bertè. Promozione anche alle nuove leve: Eleonora Gaggero e Luciano Spinelli, rispettivamente Mercoledì e Pugsley Addams. Ma, signori, rivelazione assoluta Raoul Bova, irriconoscibile nei panni del grottesco e imbranato zio Fester. Voto diesci, senza pensarci troppo.
In conclusione, consiglierei di visionare la fatica di Conrad Vernon? Sono tendenzialmente possibilista. E’ un film da vedere in famiglia, con le aspettative dentro il comodino della biancheria. Il messaggio più rappresentativo che ho sentito in sala, distinto in un vociare generale che ha più volte attentato alla mia flebile pazienza, è stato: “papà, ma perchè fanno quelle cose?” “Perchè a loro piace così”. Breve, conciso, educativo.
Seguiteci su: Facebook e Instagram!