La figlia unica di Guadalupe Nettel e tutte le madri possibili

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Di Giorgia Lanciotti

Protagoniste dell’ultimo romanzo di Guadalupe Nettel, La figlia unica, uscito in Italia per La Nuova Frontiera, sono Laura e Alina, due giovanissime amiche. Le due si conoscono da ragazze a Parigi, da cui se ne vanno per tornare, da grandi, a vivere in Messico. Qui faranno i conti con tutto ciò che essere adulte comporta, e forse anche di più.

Guadalupe Nettel: la polivalenza della maternità

guadalupe-nettel © allonsanfán

Uno dei temi su cui le due donne si trovano inizialmente d’accordo è la maternità, che vedono come un ostacolo. Mentre Laura si fa chiudere le tube, credendo che evitare biologicamente la maternità sia evitarla in ogni caso, ad Alina accade qualcosa che le fa cambiare idea. La ragazza si innamora di Aurelio e, insieme, vogliono dei figli. Tuttavia, una volta scoperta la gravidanza, accade qualcosa che inverte la rotta del destino che sembrava puntare in direzione della famiglia felice.

Il lettore affronta vicende imprevedibili, fa i conti con esiti sorprendenti e scenari che si aprono davanti agli occhi pagina dopo pagina. La maternità, da giovane tanto ripudiata e poi altrettanto desiderata anche tra innumerevoli difficoltà affrontate nel perseguirla, diventa per Alina qualcosa di temibile. Al settimo mese di gravidanza i medici le comunicano che il cervello della figlia che non si è sviluppato. La bambina nascerà, ma non sopravviverà al parto. Alina passa dalla gioia di allestire una stanza per neonati, al dolore di doverla disfare ancora prima che qualcuno, di nuovo e piccolo, la faccia sua; dalla felicità di accogliere una nuova vita alla sofferenza di accettarne la morte.

La figlia unica ci (re)insegna che la maternità ci riguarda come specie

Alina fa i conti con il dolore di dover partorire una creatura che le è vissuta dentro, senza diventarne madre, invece Laura è convinta che nessuno la chiamerà mai «mamma». Ma la maternità le passa accanto lo stesso. Anche a lei, per vie traverse, tocca la sorte di esplorarne la realtà che è nel nido di piccioni sul suo terrazzo, nell’appartamento accanto in cui vivono Doris e suo figlio Nicolás.

Laura è decisa a non diventare madre, ma quanto vi è distante quando si prende cura del bambino mentre la madre è in preda ad una crisi depressiva e non riesce ad accudirlo? E quanto lo è nei momenti in cui si occupa delle uova di piccione deposte sul suo terrazzo? In questo romanzo Nettel ci fa osservare la maternità sotto una luce diversa: come esperienza naturale, per gli esseri umani, come evento che ci tocca come specie. Cadiamo nell’errore pensando che tale condizione sia univoca, perchè invece è molteplice, ed il fatto che una donna non voglia diventare madre, non vuol dire che non sia in grado di provare affetto materno, di non avere l’istinto e il dono della cura.

Guadalupe Nettel: ne La figlia unica la famiglia si sceglie

C’è una grande forza che domina anche le madri più fragili, come Doris, che combattono ogni giorno contro loro stesse e i propri demoni, allontanando i figli per salvarli. E c’è maternità anche laddove una madre ha paura di sua figlia, di come sarà. Nettel ci ricorda che è umano avere timore, a volte quasi il terrore, e che lo è altrettanto perdersi, cadere, essere confuse, immobilizzate. Ma ci si può rialzare, trovare nuove soluzioni ai problemi apparente inaffrontabili, tracciare nuovi percorsi, nuove direzioni, tentare l’impossibile, optare proprio per quello che sembrava più assurdo.

Fedele al suo andamento imprevedibile, il romanzo si conclude con un’anticonvenzionale definizione della famiglia, che è quella che ci scegliamo più che quella in cui siamo capitati. Come costruirla lo decidiamo noi, chi deve farne parte è chi vuole esserne parte. Se la famiglia biologica non funziona, ci dice Nettel attraverso la storia e i pensieri di Laura, non dobbiamo costringerla ad esistere.

Guadalupe Nettel: desacralizzare miti umani

Dobbiamo desacralizzare esperienze che sono diventate intoccabili, quasi dei miti, e riportarle a ciò che sono, ovvero naturali, proprie della specie a cui apparteniamo. Quante madri si fanno carico dei figli altrui? I delfini, per esempio, ma accade anche per alcune specie di uccelli. Ricordiamoci del parassitismo di cova e facciamo finalmente pace col fatto che esiste anche tra gli umani. Quante volte le donne hanno accudito figli non biologici come se fossero i propri? Basti pensare alle balie delle famiglie ricche, che lasciavano che altre donne più povere di loro accudissero i propri figli mentre loro si occupavano di quelli dei loro padroni.

In conclusione, La figlia unica di Guadalupe Nettel mette voglia di vivere, e rivivere ancora. Esiste il destino e il modo in cui decidiamo di vivere ciò che ci è capitato. Ricominciamo oggi, perchè domani chissà.

Giorgia Lanciotti

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