In un’epoca in cui l’iperconnessione dilaga, la Gen Z riscopre il telefono con i fili e riporta in auge le macchine usa e getta; le stesse che le generazioni degli anni ’80 e ’90, utilizzavano nelle gite scolastiche o durante le vacanze al mare. Oggetti cult dell’infanzia e adolescenza dei Millennial, che la Generazione Z sta riscoprendo e utilizzando in un mondo ormai consunto dal consumismo e dalla frenesia.
La riconquista del passato attraverso il telefono con i fili: la Gen Z e l’operazione nostalgia
Sembra che la Generazione Z, i nuovi giovani, stiano simpatizzando con il mondo analogico riportando antiche reliquie tecnologiche in auge. Da qualche anno son tornati di moda i giradischi e i vinili; poi è stata la volta degli IPod e, adesso, del telefono con i fili e delle macchine fotografiche usa e getta. La fenomenologia del telefono con i fili risiedeva nella sua limitatezza; il tempo di utilizzo era scarso, così come la comunicazione era essenziale. Proprio questa scarsità denotava l’interazione di un significato prezioso e la stessa modalità si potrebbe applicare alle macchine usa e getta.
Oggi con le ram, le memorie esterne e i cloud vari ogni immagine può essere custodita: anche quella del millesimo aperitivo fatto di cocktails colorati e patatine. Prima però anche nella fotografia vigeva il principio di limitatezza e scarsità; le macchine avevano scatti limitati e, quindi, bisognava far attenzione a non sprecare i click e riservarli per ciò che si riteneva più importante. Un po’ come per gli i messaggi di testo gli antenati, oramai, della messaggistica istantanea; risparmiare parole per chi non possedeva il dono della sintesi e doveva far rientrare tutto l’argomento in 160 caratteri era un sport olimpico.
L’estetica della nostalgia si sta diffondendo sempre di più e non è un caso che la cosa abbia intaccato proprio la comunicazione e la fotografia. In un momento storico in cui esistono svariate possibilità di scelta, la Generazione Z si sta rivelando propensa all’unicità; proprio come quelle telefonate furtive e speciali che avvenivano fino a pochi anni fa. I giovanissimi, probabilmente, bombardati dai continui stimoli digitali cercano di riscoprire l’autenticità del passato.
La malinconia di epoche mai vissute
Avere nostalgia di epoche mai vissute è una costante di ogni uomo, come insegna Woody Allen in Midnight in Paris; ma la pellicola è ispirata a quella che si definisce “Sindrome dell’età dell’oro”: un rifiuto della banalità del presente per apporre lo sguardo alla gloria del passato. Mitizzare il tempo che fu, secondo questa curiosa definizione, diventa un rifugiarsi dall’insoddisfazione del tempo presente. Esistono diversi termini che indicano questa sensazione; il neologismo Anemoia che indica la nostalgia per una situazione, tempo, o luogo mai avvenuto nella propria vita e la parola intraducibile, proveniente dalla lingua gaelica, Hiraeth: una profonda sensazione malinconica sperimentata verso epoche mai vissute.
Questa sensazione agrodolce potrebbe essere la spiegazione per cui, la Gen Z, oggi è attratta dal mondo analogico di cui non ha esperienza; l’immagine del telefono con i fili e la rotellina da ruotare per comporre un numero, l’atto di parlare gironzolando e attorcigliando il filo del telefono fra le dita; e, ancora, ascoltare il trillo del ricevitore, aspettare che il negativo di una fotografia si sviluppi con l’ansia di aver sprecato uno scatto e aver messo il dito sull’obiettivo. Tutte sensazione ormai vetuste, quasi buffe, in un tempo in cui esiste l’Intelligenza Artificiale.
Ma gli iconici telefoni rosa, fucsia e pastello che popolavano le serie americane fanno il loro ingresso nella società di oggi per dare un messaggio più attuale che mai. Questo ritorno alle estetiche anni ’80 e ’90, anche nel modo di vestire, forse rivela un desiderio più profondo: la brama di riservatezza, di sfuggire alla rintracciabilità a tutti i costi e carpire stimoli più autentici e funzionali. Sul The Guardian si legge:
”Il colosso delle telecomunicazioni ha definito la telefonia fissa una “curiosità storica che non è più necessaria”. Forse è così, ma è proprio per questo che alcuni clienti della generazione Z sono così affascinati dalla tecnologia analogica. Non hanno bisogno del servizio; usano ancora i cellulari per la maggior parte delle attività quotidiane. Apprezzano invece l’estetica della linea fissa. Ricorda loro un’era più semplice, pre-digitale. Le linee telefoniche sono il modo in cui parli con i tuoi amici per ore, dove le conversazioni vanno più in profondità del semplice testo”.
-Alaina Demopoulos, ‘’I love to twirl the cord’: the young people pushing for a landline renaissance”, The Guardian, 15 Febbraio 2024
La Gen Z e la necessità di un’esperienza comunicativa più profonda: simbologia del telefono con i fili
I telefoni con i fili, i flip phone e i dumb phone stanno diventando, attualmente, oggetti di culto per la Gen Z; i social media hanno reso tutto più accessibile ed è normale sentirsi in una condizione di ‘Information overload‘ o sovraccarico informativo. Quello che la nuova generazione cerca è un’esperienza comunicativa più profonda; non si tratta solo di marketing della nostalgia, questo ritorno al passato denota una sofferenza tacita in cui i giovani stanno lanciando un messaggio chiaro: l’oversharing ha stancato, è diventato démodé. Oggi si ritorna a un concetto di riservatezza in cui contano i propri spazi emotivi.
Per anni i Millennials sono stati la generazione giovane; quella con le prime promozioni estive e natalizie, card illimitate per scambiarsi SMS, quella degli MMS, delle prime video-chiamate o, ancora, che sognava sui celebri spot della Sip ( Futura Telecom) degli anni ’90; uno dei più noti è quello dell’avviso di chiamata del ”Mi ami? Ma quanto mi ami???” o, ancora, il celebre spot con Massimo Lopez e il suo indimenticabile slogan:
“Una telefonata ti allunga la vita”
Se oggi una parte di generazione più giovane vuole tornare all’ebbrezza dell’analogico forse si deve anche ad alcuni paragoni sul recente passato e l’attuale modernità che, sembra, non avere alcuna traiettoria tranne quella della frenesia. Si brama un ritorno agli anni ’90 o ai primi anni 2000 perché il ricordo di quell’epoca risulta più spensierato e senza pressioni sociali. Uscire senza avere l’ansia si controllare i social, né il timore di vedere qualcosa sul web che faccia soffrire; aspettare una telefonata con tutto il corredo di sensazioni che l’azione comporta: trepidazione, ansia, felicità, attesa. Insomma, quello che si cerca di fare è scardinare le mode artefatte per pregustare la semplicità.
Un parallelismo letterario: il telefono fisso filo conduttore di sentimenti
Il telefono ha sempre avuto un ruolo importante anche il letteratura. Simbolo di attesa, ma anche di vicinanza; di ansia del ritorno, di timore, trepidazione, paura di un rifiuto. Dino Buzzati nel libro Un amore costruisce il suo protagonista sul filo dell’attesa struggente; per Antonio Dorigo attendere una telefonata di Laide è soffrire. Per il protagonista de Il Giardino dei Finzi-Contini, aspettare una chiamata di Micol significa sentirla più vicina e sognare il suo ritorno.
Quando il telefono fisso si utilizzava, quasi sommessamente, solo per informazione autentica tralasciando la patina dell’effimero anche la comunicazione sembrava riflettere una lealtà più devota ai sentimenti. Persino in letteratura vi sono delle attestazioni che sembrano descrivere gli auspici a cui oggi i giovani anelano. La poetessa Daria Menicanti (1914-1995), per esempio, scrive:
Soprattutto mi piace col telefono
entrargli nella camera lontana
di là dal monte,
sentire il mio squillo
che si avventa nel buio. Poi la cara
voce fra tutte che risponde:
Sì-ì?(Da “Canzoniere per Giulio”, Manni, Lecce 2004)
Il telefono, in questo contesto, è custode di segreti notturni; dall’altro lato del filo, chissà dove, la poetessa immagina attraverso questo strumento di entrare in una stanza lontana, probabilmente dell’amato; nel buio, quasi assurdamente, un filo unisce le due voci: quella che si brama di udire – e che finalmente risponde – fra tutte.
In questo caso il telefono ha una funzione di vicinanza; oggi, sembra quasi che la funzione primaria di ”avvicinare” abbia lasciato il posto a una miriade di funzioni che fanno quasi tutte rima con l’opprimere; attraverso immagini, competizione, pubblicazione continua e insensata. Un’altra poesia che corona il telefono come strumento custode del sentimento è, appunto, Telefono di Marino Moretti:
Sei tu! sei tu! sei tu! Mentre ti parlo,
mentre t’ascolto, immobile, mi pare
che la tua voce seguiti a vibrare
in questo orecchio mio per lacerarlo.
Sei tu! sei tu! La tua voce mi giunge
da una profondità d’anima oscura:
io ti rispondo, amica, ma ho paura,
che vicina mi sei tu che sei lunge.
Ho paura di te, di quest’ordigno
che al mio povero cuor che più non sogna
dona la voce tua, la tua menzogna
come per uno spirito maligno!
E mi par quasi che fra tanto fasto
d’illusioni solo quest’ordigno
fedele al muro, come un vecchio scrigno
pieno di voce tua, mi sia rimasto!
(Da “Poesie 1905-1914”, Treves, Milano 1919)
Forse questo ritorno alla comunicazione centellinata da parte della Generazione Z, dal telefono fisso ai flip phone, e alla nostalgia di un recente passato si deve a una società che sempre più si è piegata alla levitas; l’estetica della Vita Lenta è diventata un trend da social, non uno stile di vita da perseguire. Le mode impongono leggerezza e, indirettamente, una traiettoria impalpabile da perseguire.
Ritornare al mondo analogico diventa una difesa da mettere in atto, da parte dei più giovani, contro una levitas dominante che impedisce di godere la genuinità di un’esistenza che non deve essere performante e competitiva a tutti i costi come i costrutti sociali moderni impongono. Nasce quindi l’esigenza di scardinare l’effimero riappropriandosi di una dimensione incontaminata che non si prostri alla vacuità.
Stella Grillo
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