Approvata in linea definitiva lo scorso 28 marzo, la nuova Legittima Difesa diventa ufficialmente legge. Ma gli italiani hanno davvero bisogno di un simile provvedimento per sentirsi più al sicuro?
Il Parlamento ha definitivamente approvato il 28 marzo 2019 la proposta di legge (A.S. 5 e abb.-B; A.C. 1309-A) che modifica di fatto la disciplina della Legittima Difesa, provvedimento che entrerà ufficialmente in vigore solo a seguito della promulgazione del Presidente della Repubblica e della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Un risultato accolto con fragoroso plauso da Salvini e i suoi sostenitori / promotori della riforma al grido de “La difesa è sempre legittima”, se si considera il fatto che un simile progetto venne presentato per la prima volta alla Camera dei Deputati dalla Lega Nord nel novembre del 2015. Ma cosa aggiunge di nuovo una simile proposta che già non fosse previsto nella riforma operata dalla legge n.59 del 13 febbraio 2006?
In buona sostanza, restano invariati i principi già regolati dall’art. 52 del codice penale italiano e arricchiti dalla modifica operata dalla già citata legge del 2006 (in materia di autotutela in un privato domicilio), secondo i quali “non è punibile colui il quale, in possesso di un’arma o altro mezzo di coercizione legittimamente detenuto, reagisca a un potenziale pericolo (che riguardi la propria o altrui incolumità, i beni personali o di altri, e ovunque la violazione avvenga in un esercizio commerciale, imprenditoriale o professionale), purché la difesa sia proporzionata all’offesa”. Ovverosia, il fatto di essere direttamente minacciato con una pistola o un coltello mi autorizza a difendermi di conseguenza per avere salva la vita.
La vera svolta operata dalla nuova legge è da evidenziarsi essenzialmente nella scomparsa del cosiddetto “fattore di probabilità” di trovarsi a fronteggiare un potenziale pericolo per cui si debba ritenere necessario il ricorso alla legittima difesa. Detto altrimenti, “non mi interessa avere la certezza di correre o meno un serio rischio per la mia vita, sono AUTORIZZATO A SPARARTI anche se solo provi ad entrare in casa mia”. Si tratta, insomma, di un’ulteriore presunzione dell’articolo 52 c.p., oltre che una conseguenza diretta della modifica allo stesso art. per cui si prevede la perenne sussistenza del rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa.
Naturalmente, in virtù di un tale ampliamento del diritto del cittadino di “farsi giustizia da solo”, va ad aggiungersi l’esclusione della punibilità per colui che abbia agito, in nome della propria (o altrui) salvaguardia, in condizioni di minorata difesa o “grave turbamento”. E per completare il tutto, oltre all’inasprimento del quadro sanzionatorio per i reati contro il patrimonio e la riduzione dei tempi per quel che riguarda la formazione di ruoli d’udienza e la trattazione dei processi (fermo restando che nessun caso sarà esente dalle doverose analisi di fronte alla corte di giustizia), in caso di eccesso colposo il responsabile del fatto viene esonerato da ogni responsabilità.
Da segnalare poi, tra le ultime voci, l’introduzione del fondo per il patrocinio legale per chi andrà a processo: lo Stato, ovvero, si incaricherebbe direttamente di assicurare la difesa, l’assistenza e la rappresentanza in giudizio nei confronti di chiunque sia stato assolto, prosciolto o il cui procedimento penale sia stato archiviato per fatti commessi in condizioni di legittima difesa o di eccesso colposo di legittima difesa.
Ma su quali basi si fonda effettivamente questa accanita lotta “a favore del cittadino” da parte dei leghisti che, inevitabilmente, ha ricevuto nel tempo il consenso dalle fazioni più estremiste di destra?
Presupposto che di base non vi è ad oggi in Italia “un’allerta criminalità” di alcun tipo, cosa dovremmo considerare veramente? I dati principali che riguardano la criminalità organizzata in generale (integrando di fatto estorsione e prostituzione) consacra gli italiani al primo posto nella classifica dei reati compiuti all’interno del Paese. E questo, naturalmente, si lega direttamente al rapporto che intercorre tra mafia, camorra, n’drangheta e le “organizzazioni straniere” (es. la mafia nigeriana), perché il mercato illegale, checché se ne dica, resta ancora il più prolifico di sempre per certi uomini di potere (affari di almeno 150 milioni l’anno).
Ma se in alcuni momenti, soprattutto negli ultimi anni, qualcuno deve aver avuto l’impressione che buona parte della propaganda elettorale facesse leva sull’invasione degli immigrati, possiamo provare anche qui a tentare di fare chiarezza. Se è vero che negli ultimi 10 anni i dati hanno rilevato un aumento del 71,18% del numero di stranieri, con la conseguente crescita del 2% dei reati loro attribuibili, anche qui è doveroso sottolineare un progressivo calo. Anche perché, il picco maggiore per quel che riguarda i furti in abitazione è da individuarsi negli anni della crisi economica che vanno dal 2010 al 2014, con graduale riduzione a partire dal 2015. A questo, poi, non dobbiamo dimenticare di associarvi il consueto rapporto di 1 a 10 tra stranieri e italiani.
Come giustificare allora i dati presentati dal Ministro Salvini al Parlamento Europeo, e in generale le dichiarazioni della destra italiana secondo cui c’è correlazione tra l’aumento dell’immigrazione e quello della criminalità? Le indagini ISTAT testimoniano, fondamentalmente, che i cosiddetti reati a “forte reiterazione” (furti, spaccio, rapine, sfruttamento della prostituzione) sono molto più comuni presso gli stranieri che non gli italiani. E il motivo è presto detto: gli autoctoni hanno maggiore probabilità di usufruire delle “misure alternative al carcere” rispetto agli immigrati, così come di rientrare in generale nei programmi di rieducazione che di norma il sistema penitenziario dovrebbe prevedere. La detenzione, in parole povere, del “criminale” di colore sarebbe di brevissima durata e senza alcuna effettiva possibilità di poter migliorare la propria condizione di vita, oltre che la qualità della società in cui vive. E questo, inevitabilmente, riporta l’individuo a commettere nuovi reati.
Aggiungetevi, inoltre, che in Italia appena l’8,5% delle risorse viene speso per i detenuti a fronte dell’80% circa solo per il personale. Stiamo parlando di qualcosa come 11€ al giorno (per un anno) a detenuto, che dovrebbero comprendere vitto, assistenza, rieducazione, istruzione, attività culturali, ricreative e sportive.
L’impressione che si ha, da questa analisi sommaria, è che la corsa agli armamenti professata dalla nuova legge passata in Parlamento lo scorso 28 marzo (e per la quale Salvini vorrebbe già accostarvi una maggiore e più facile accessibilità a pistole e simili) nasconda fra le righe, nemmeno troppo spesse, il rischio di ripercuotersi inevitabilmente contro lo straniero, prima che contro il cittadino italiano stesso. A cambiare quindi, non sarà la sicurezza del Paese, ma l’atteggiamento dei suoi abitanti. Soprattutto perché una tale ondata di fanatismo e xenofobia, come quella a cui assistiamo ogni giorno, trova e continua a trovare “raison d’etre” nella dilagante ignoranza che ci consacra, ad oggi, al primo posto in Europa e al dodicesimo nel mondo (dati Ipsos MORI).
Jacopo Ventura